Lo scorso 25 settembre la Camera ha licenziato (per
successivo passaggio al Senato) una delega al Governo a rivedere il sistema
fiscale, che prevede anche l’introduzione di criteri ecologici per la revisione
delle accise sui prodotti energetici da legare, chiede il testo, al contenuto
di carbonio e alle emissioni di ossido di azoto e zolfo.
Proprio così: un Paese che dà oltre 10 miliardi all’anno alle fonti energetiche rinnovabili, ne dà anche a una fonte non rinnovabile per antonomasia, a cui, secondo Legambiente, si aggiunge circa mezzo miliardo di ulteriore sostegno anche attraverso sconti autostradali e assicurativi pagati dai contribuenti.
Chiamiamola carbon tax (ma attenzione: una carbon tax può
essere realizzata in modi anche diversissimi, qui il termine è necessariamente
usato in modo vago). Ebbene, il gettito di questa carbon tax, prevede la bozza,
sarà destinato a ridurre la tassazione sui redditi, a finanziare le tecnologie
a basso contenuto di carbonio e a concorrere alla revisione del sistema dei
sussidi alle fonti rinnovabili.
Si tratterebbe di una riforma coerente con molte indicazioni
europee. Ricorderete la celebre lettera della BCE all’ultimo governo Berlusconi
nel difficile agosto 2011 quando l’Italia era a un passo dal default, le borse
crollavano e lo spread saliva. Lì la staffetta Trichet-Draghi chiedeva tra le
altre cose che la pressione fiscale si riducesse sui redditi per portarsi di
più su cose e patrimoni (e che si reintroducesse l’IMU sulla prima casa, no
comment).
Pochi mesi dopo Vieri Ceriani della Banca d’Italia, poi divenuto
sottosegretario all’economia, audito in Senato proponeva modifiche al sistema fiscale coerenti con le indicazioni BCE, in più
specificando di adottare criteri ecologici nel tassare i consumi.
Già molto prima, nell’estate 2010, la deputata radicale
Elisabetta Zamparutti firmava una bozza di legge delega per una carbon tax
finalizzata a ridurre il cuneo fiscale sul lavoro e a trovare una forma di
aiuto alle fonti rinnovabili alternativa agli incentivi sull’energia prodotta,
l’insostenibilità dei quali tre anni dopo è diventata un tema popolare.
Nel frattempo Bruxelles sta per emanare una nuova direttiva sulla tassazione dei prodotti energetici che prevede che le accise dipendano
dal contenuto energetico e dal potenziale di emissioni climalteranti dei beni.
Bene. Se l’Europa, e finalmente il Parlamento, vanno in
questa direzione, sarà utile che Derrick si occupi di un fenomeno che è costato
secondo il rendiconto generale della Ragioneria dello Stato oltre un miliardo e
mezzo nel 2012: le esenzioni dalle accise sul gasolio a favore
dell’autotrasporto.
Proprio così: un Paese che dà oltre 10 miliardi all’anno alle fonti energetiche rinnovabili, ne dà anche a una fonte non rinnovabile per antonomasia, a cui, secondo Legambiente, si aggiunge circa mezzo miliardo di ulteriore sostegno anche attraverso sconti autostradali e assicurativi pagati dai contribuenti.
Alla faccia degli slogan sulla transizione all’economia
verde e sui prodotti a chilometri zero. (Anzi, questa politica i prodotti a
chilometri zero li rende artificiosamente meno competitivi).
Io credo che dare soldi pubblici a una cosa e al suo contrario
sia semplicemente folle, perché, al costo di sottrarre risorse al welfare e di
distorcere i mercati, nemmeno persegue una direzione coerente.
Per il ciclo di puntate che inizia oggi ringrazio
Marianna Antenucci.
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