Quarta puntata del ciclo dedicato agli idrocarburi
non convenzionali e in particolare allo shale
gas (gas di scisti).
Ci eravamo fermati l'ultima volta ai rischi ambientali.
Avevamo menzionato quelli legati all'inquinamento di falde acquifere e in
generale alla dispersione dei liquidi di perforazione, ed avevamo accennato a
quelli sismici, su cui mi sembra le preoccupazioni degli studiosi siamo più
sporadiche e controverse.
La possibilità di rischi sismici legati all'attività
estrattiva di idrocarburi o di altro non è una novità assoluta. Intanto sono
possibili fenomeni di instabilità legati allo svuotamento delle rocce madri
dagli idrocarburi o da acqua (quando non rimpiazzati da altri fluidi), fenomeno
cui in Italia è stato attribuito anni fa il caso della subsidenza in alto
Adriatico, cioè abbassamento del livello del terreno e dei fondali.
Uno studio in pubblicazione presso il Journal of Earth and
Planetary Science Letters anticipato dal Wall Street Journal dello scorso 27
agosto lega, almeno in termini probabilistici, fenomeni microsismici allo svuotamento
degli idrocarburi in un giacimento di petrolio di scisti in Texas, l'Eagle
Ford, mentre non trova legami tra sismi e uso della fratturazione idraulica,
che invece uno studio precedente degli stessi autori su un altro giacimento
texano (chiamato Barnett) ravvisava.
Tutti i timori per ora sembrano aver più presa istituzionale
in Europa, sebbene nel vecchio continente lo sfruttamento commerciale del gas
di scisti sia enormemente più limitato, mentre le stime riguardo alle riserve
sono interessanti, benché inferiori a quelle americane.
In Francia, per esempio, fonti del governo parlavano due
anni fa di 500 miliardi di metri cubi di gas tecnicamente sfruttabile nel sud
del Paese, mentre il Paese europeo più ricco di gas di scisti, con addirittura
la metà di tutte le riserve continentali, è la Polonia, dove nel marzo 2011 il
ministero dell’ambiente aveva assegnato 80 concessioni per la ricerca e
l’esplorazione, con permessi originariamente acquisiti da gruppi come
ExxonMobil, TotalFina, Bp, Bg, Statoil, Shell e le italiane Eni e Sorgenia.
In Gran Bretagna il governo Cameron ha dato recentemente il
via alle prospezioni per gli idrocarburi di scisti nel Sussex, sollevando
proteste che hanno coinvolto perfino la chiesa anglicana, la quale ha deciso di
sfruttare, cedendo i permessi di perforazione, i diritti minerari di ampie
terre di sua proprietà.
Quali potrebbero essere le conseguenze nei mercati
energetici di un boom anche europeo del gas di scisti? Intanto si
prospetterebbero nuovi scenari in termini di minore dipendenza dalle
importazioni russe e nordafricane. Poi, la disponibilità di gas a buon mercato
valorizzerebbe la scelta industriale italiana di produrre energia
termoelettrica prevalentemente a gas, scelta che viene di continuo additata (e
solo in parte a ragione) come fattore di nostra scarsa competitività e che
invece potrebbe venire emulata da Paesi come la Francia, se confermerà di voler
ridurre l'incidenza del nucleare nel proprio mix.
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