Torno dopo la
pausa di agosto, e come prima cosa ricordo Dino Marafioti, recentemente scomparso, che centinaia di
volte ha introdotto Derrick in versione radiofonica su Radio Radicale il martedì mattina.
Inizia oggi un piccolo ciclo dedicato agli idrocarburi non convenzionali e in particolare allo shale gas (gas di scisti).
Tema non certo nuovo per chi segue Derrick, ma che voglio riprendere alla luce tra le altre cose
della ricerca che ho fatto per la redazione di un articolo su Toscana Energia Box, la
rivista di Toscana Energia, e di alcuni scambi con Luca Pardi di
Aspo Italia, che ringrazio.
Negli USA il boom dello shale gas ha ormai raggiunto anche
l'immaginario dei non addetti, tanto che lo scorso maggio era in programmazione
a New York un musical critico, intitolato Marcellus Shale dal nome di una
vastissima riserva di idrocarburo di scisti nella zona del New England ben
visibile in questa mappa.
L'abusato acronimo NIMBY
("non nel cortile dietro casa mia", in inglese) per simboleggiare
l'avversione a insediamenti industriali in questo caso ha una rilevanza quasi
letterale, visto che negli Stati Uniti ci sono casi di pozzi di idrocarburi shale realizzati molto vicino a insediamenti
abitati, anche perché per sfruttare queste risorse serve un numero maggiore di pozzi
rispetto a quanto occorra per gli idrocarburi convenzionali, e ciò è più compatibile
con la conformazione geografica e con il diritto degli Stati Uniti che con
quelli europei. Negli USA infatti vaste aree superficiali possono essere
utilizzate dai proprietari dei terreni (o da chi ne abbia acquistato da loro il
diritto) che hanno anche la facoltà di forarli, diversamente da ciò che avviene
di norma in Europa.
Perché estrarre idrocarburi
non convenzionali richiede più pozzi?
Perché il gas o l'olio si trovano intrappolati in rocce scarsamente permeabili
e non porose come invece nei giacimenti convenzionali. Una conseguenza è che, per
usare le parole dell’esperto Massimo Nicolazzi, nel gas non convenzionale “ogni
pozzo è un piccolo giacimento a sé”. Quindi i tanti fori servono per andarsi a
prendere direttamente tutto l'idrocarburo, che non arriva per pressione da altre
zone della riserva.
Altra caratteristica
distintiva dello sfruttamento degli idrocarburi di scisti è la necessità di
frantumare le rocce contenenti l’idrocarburo al fine di liberarlo. Questa
tecnica, detta fracking, utilizza
un’azione idromeccanica con liquidi ad altissima pressione, che una volta
recuperati e filtrati restituiscono il petrolio o il gas.
L'esistenza di scisti
ricchi di idrocarburi in molte aree del mondo non è una scoperta recente. La
novità degli ultimi anni però è che le tecniche di fracking, introdotte per la prima volta negli USA negli anni
Quaranta, si sono sviluppate su larga
scala a costi più competitivi e con aggiornamenti tecnici, come la capacità di
perforare più facilmente in orizzontale.
Il termine "rivoluzione"
mi sembra giustificato se non altro per gli effetti di mercato globali che sta
comportando.
La prossima volta ne vedremo i dettagli, ma una possibile sintesi è che nel 2012 più di un terzo del gas estratto negli Stati Uniti era shale, contro il 2% nel 2000.
Le conseguenze sono state il crollo del prezzo locale fino a un minimo nel 2012, e la riduzione costante delle importazioni USA con effetti a cascata sul mercato dei combustibili, incluso il mercato del carbone, diventato più economico e più utilizzato in Europa, come conseguenza dell'essere stato spiazzato dal gas in America.
(Curioso, no?, che il continente paladino della lotta ai cambiamenti climatici consumi il carbone che gli USA non vogliono più).
La prossima volta ne vedremo i dettagli, ma una possibile sintesi è che nel 2012 più di un terzo del gas estratto negli Stati Uniti era shale, contro il 2% nel 2000.
Le conseguenze sono state il crollo del prezzo locale fino a un minimo nel 2012, e la riduzione costante delle importazioni USA con effetti a cascata sul mercato dei combustibili, incluso il mercato del carbone, diventato più economico e più utilizzato in Europa, come conseguenza dell'essere stato spiazzato dal gas in America.
(Curioso, no?, che il continente paladino della lotta ai cambiamenti climatici consumi il carbone che gli USA non vogliono più).
Ho letto un articolo simile qualche giorno fa qui: http://www.goccediverita.it/usa-vs-siria-la-guerra-delloro-nero-continua/
RispondiEliminaChe ne pensi?
Non è tanto simile. Due osservazioni:
RispondiElimina1 - non credo che gli USA stiano tagliando l'import di idrocarburi per motivi politici.
L'export di petrolio invece ha limitazioni legislative negli US. Non quello del gas, che visti i prezzi americani rispetto a quelli asiatici ed europei sarebbe economicamente sensatissimo, ma richiede i tempi tecnici per l'approntamento di terminali di liquefazione.
2 - Dire che aumentare la produzione di petrolio in Italia ridurrebbe il prezzo della benzina (o del petrolio) in Italia è insensato. I mercati dei prodotti non sono mossi da un aumento della pur non irrilevante produzione italiana. Casomai aumentano un po' il pil, le royalty e qualche rimessa per compensazioni alle comunità locali. (Per l'effetto netto occorre computare anzitutto i danni all'ambiente e all'attrattività turistica).