martedì 12 novembre 2013

D180 - Il nuovo nucleare inglese di Stato - Parte 2

L’ultima volta abbiamo commentato la notizia che il governo inglese in carica ha chiuso un accordo con una cordata industriale guidata dalla francese Areva per costruire e operare in Gran Bretagna almeno due reattori nucleari per produzione elettrica. Reattori attesi tra dieci anni e a cui per i successivi 35 il governo inglese garantirà un prezzo dell’energia di circa 108 Euro al MWh, indicizzato all’inflazione, che è più o meno il doppio del prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Gran Bretagna e circa il 60% di più di quello italiano.

Il Governo inglese è convinto che saranno soldi ben spesi, sia per superare le prospettive di carenza di capacità di generazione elettrica locale (e su questo è facile controbattere che si tratta di una soluzione che – se il problema c’è davvero – arriverà tardi) sia per combattere il riscaldamento globale – cosa a cui gli ambientalisti oppongono che le fonti rinnovabili, se continuano anche solo in piccola parte il loro trend di sviluppo, costeranno meno di questo nucleare.

Carlo Stagnaro mi ha segnalato un articolo dell’economista inglese David Henderson, uscito già nello scorso aprile, in cui le passate stagioni di investimento pubblico inglese in nucleare sono annoverate, insieme alla partecipazione al progetto Concorde, tra i peggiori bagni di sangue alimentati dal denaro pubblico in Gran Bretagna. E alla luce della novità, scrive Henderson, non sembra che la storia stia insegnando granché agli amministratori.

Ma la cosa che mi ha colpito di più in questo testo è un passaggio che parafraserei così:

“Si tende a presumere che gli approvvigionamenti energetici richiedano forme nazionali di strategie che si sostituiscano ai mercati [anche quando questi ci sono e funzionano, aggiungo io]. E che i governi debbano sostituirsi ai consumatori predefinendo i bisogni energetici da soddisfare. Eppure, quando parliamo di beni e servizi, non c’è bisogno che abbia senso soddisfare a qualunque prezzo.”

Ora, anche volendo essere meno tranchant di Henderson, si deve ammettere che decidere oggi per la prossima generazione il prezzo giusto di un bene che il mercato è spontaneamente in grado di produrre e remunerare è un bell’azzardo. Un azzardo probabilmente molto più alto rispetto al rischio che – per motivi oscuri – gli imprenditori decidano di non fare centrali elettriche nemmeno se il prezzo dell’energia tende a salire.

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