martedì 21 ottobre 2025

Calenda e i guadagni delle reti energetiche (Puntata 691 in onda il 21/10/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascolare qui.

In un contesto in cui quasi mai qualcuno manifesta in pubblico criticismo su chiunque abbia un po' di potere, l'invettiva di Carlo Calenda di qualche giorno fa contro Flavio Cattaneo mi è parsa una piccola boccata d'ossigeno.

Calenda però la chiude buttando sul personale una cosa che invece (come lui stesso anticipa) ha una valenza pubblica.

Vediamo di cosa si tratta per chi non ha seguito il battibecco: Calenda nota come Enel Distribuzione, gruppo Enel, faccia utili notevolissimi, e menziona un 40% che potrebbe essere compatibile con dati recenti del rapporto tra risultato operativo o netto dell’azienda e il fatturato. In effetti nel 2024 Enel Distribuzione aveva un risultato operativo netto di oltre 3 miliardi e mezzo per un fatturato di poco più di 9.

Si tratta in effetti di una redditività notevolissima, ed è comune in Italia nelle aziende che gestiscono reti dell’energia. Aziende che come dice Calenda hanno un rischio limitato, visto che la struttura delle tariffe che le remunera, stabilita dall’ARERA, è disegnata per garantire un ragionevole ritorno sugli investimenti e rifusione dei costi operativi. In più, i clienti sono captive, cioè non possono scappare a meno che non smettano di consumare energia, visto che i gestori delle reti sono monopolisti nella loro area di competenza.

Non ha senso però prendersela con Cattaneo che amministra una delle aziende beneficiarie, e men che meno Cattaneo dovrebbe "stare zitto" (come gli suggerisce Calenda nel suo attacco) sui suoi risultati economici. Anche perché una società quotata cosa dovrebbe fare? Nascondere gli utili? Introdurre sussidi interni da business regolati ad altri in concorrenza?

Piuttosto, se il punto sollevato è fondato (e io credo di sì) c'è un problema delle istituzioni dello Stato che evidentemente non riescono a regolare come dovrebbero questi settori. Leggo che Calenda correttamente ha sollevato la questione anche in Parlamento e che il ministro Pichetto ha girato la responsabilità su ARERA, reazione comprensibile visto che l’Autorità è tenuta a essere indipendente dal Governo e che il disegno di dettaglio delle tariffe di rete le compete.

La questione politica in ogni caso c’è, ed è particolarmente importante, visto che non c'è membro del Governo o del Parlamento che non invochi bollette più basse, e visto che dopo alcuni mesi dalla scadenza Governo e Parlamento non sono ancora riusciti a esprimere i nuovi vertici di ARERA.

Ma attenzione, sulla remunerazione delle reti energetiche non c'è solo la questione del quanto, ma anche del cosa. Quali parti dell’infrastruttura hanno effettivamente bisogno di investimenti urgenti che magari giustificano (piccoli) premi economici? Quali invece al contrario devono smettere di spendere soldi collettivi in nuovi asset perché incoerenti con la strategia energetica e climatica? (Spoiler: la risposta a quest'ultima domanda è: le reti gas).

Di sicuro sovraremunerare indiscriminatamente o quasi ogni euro investito nei settori regolati non è una buona idea né per la competitività né per la transizione energetica.


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martedì 14 ottobre 2025

Bici e lotta di classe (Puntata 690 in onda il 14/10/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui

Si direbbe che l’Economist mi ascolti, soprattutto quando mi trovo nella sua patria. Nella penultima puntata parlavo dell’uso crescente delle bici a Londra, osservando il quartiere di Chelsea e notando come un mezzo così tradizionale, semplice, umile, stia tornando a far parte della routine anche – anzi: soprattutto, e questa è la cosa un po’ strana e interessante – delle classi urbane privilegiate.

Un ricco articolo del secondo numero di ottobre 2025 dell’Economist riprende il tema, innanzitutto con qualche dato.

Se è vero che le nuove tecnologie, come le auto elettriche e i robotaxi, stanno accompagnando le città nella nuova era, è anche vero che il ritorno alle semplici bici è quantitativamente più significativo. Se i robotaxi di Waymo (gruppo Google) sono arrivati a dare 250 mila passaggi alla settimana, solo a New York, scrive l’Economist, in tre giorni si fanno lo stesso numero di corse di bike sharing.

Io osservavo in particolare Chelsea, ma leggo che anche nella City muoversi in bici è ormai il doppio più frequente che in auto. Altro caso di grande successo delle politiche di limitazione alle auto è Parigi, dove in tutta la metropoli ci si muove ora più in bici che in auto, mentre le tradizionali città ciclabili d’Europa, Copenaghen e Amsterdam, si sono spinte ancora più avanti nell’intensità di pedalata, anche grazie alla diffusione delle bici elettriche.

Pechino, che 30 anni fa aveva di fatto tolto spazio ai ciclisti per darlo alle auto, sta anche lei tornando indietro, mentre i tuktuk elettrici stanno diventando la norma a Dakhra, capitale del Bangladesh (chissà com’è la situazione invece a Delhi: quando ci sono stato 4 anni fa gran parte dei tuktuk erano convertiti a gas metano, chissà se sono stati nel frattempo elettrificati).

La pedalata assistita sta però creando qualche problema di sicurezza a causa della maggiore velocità delle bici elettriche rispetto alle muscolari, soprattutto quelle illegalmente modificate per andare forte come motorini, che tendono a violare i limiti di velocità delle piste ciclabili mettendone a rischio la sicurezza.

Mentre le recenti elezioni politiche in Repubblica Ceca hanno visto i populisti-reazionari prevalere anche grazie al partito dei motoristi, a Montreal, la metropoli più ciclabile d’America, le prossime elezioni municipali vedono la contrapposizione tra i supporter delle bici e quelli delle auto che lamentano la crescente limitazione cui sono soggetti, benché, scrive l’Economist, solo il 2% dello spazio stradale cittadino sia riservato alle bici, contro l’80% alle auto e il resto ai pedoni.

L’ignoranza probabilmente gioca un ruolo determinante, come nel caso dei commercianti che continuano a ritenere che la ciclopedonalizzazione delle loro strade sia un danno al business, mentre i dati osservati mostrano costantemente il contrario.

Come dicevo nella puntata a Chelsea, se non è difficile immedesimarsi in una lotta di classe dove i meno abbienti vedono malvolentieri lo sfoggio di supercar a bordo strada, è un po’ curioso quando l’invidia sociale prende come simbolo negativo la bici, cioè il mezzo più economico e meno impattante sugli altri, quello che tutti possono permettersi.

Ma tu guarda questi fighetti privilegiati che pedalano anziché fare il pieno, inquinare e girare con una tonnellata e dieci metri quadri di ferraglia attorno a sé.


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sabato 11 ottobre 2025

Srilanka (Puntata 689 in onda il 7/10/25)

Tuktuk al forte olandese di Galle
Una serie di clip registrate durante un viaggio in Srilanka tra il 29/9 e il 7/10/2025.

La puntata si può ascoltare qui.


Tempio a Dambulla



Stazione di Liyanagemulla


martedì 30 settembre 2025

Vita da ZTL (Puntata 688 in onda il 30/9/25)

Foto fatta a Londra
nei pressi di Battersea
Puntata registrata in presa diretta per il ciclo Le camminate (im)possibili. Si può ascoltarla qui. Segue una trascrizione un po' aggiustata.

È un sabato mattina di inizio autunno. Sto passeggiando nel quartiere di Chelsea, a Londra.

C'è molta calma, parchi con famiglie, auto di lusso parcheggiate davanti alle case vittoriane e tantissime bici. Bici dei circuiti a noleggio con pedalata assistita, bici pieghevoli, private, bici anche usate visibilmente per fare sport.

I lampioni sulla strada hanno quasi tutti una presa alla base per ricaricare le auto elettriche, non solo a Chelsea che è un quartiere molto ricco.

Londra da anni ha introdotto uno dei sistemi di disincentivo economico più forti al mondo all'utilizzo dell'auto privata, tassando sia l'inquinamento sia la congestione. Avere un'auto e usarla a Londra costringe oggi a contribuire notevolmente al bilancio dell'amministrazione cittadina.

E da quello che posso vedere rispetto ai viaggi di anni fa, di auto ce ne sono meno. La città è più bella, più silenziosa, meno inquinata. È piacevole andare in giro a piedi.

Ci sono le piste ciclabili, soprattutto quella spettacolare sul Tamigi, ricavata alla base degli edifici sul fiume oppure alta panoramica sull’argine. C'è l'eccezione per le bici rispetto al divieto di accesso nelle strade a senso unico (non solo a Londra). Sempre più genitori girano con le cosiddette cargo bike coi bimbi nel cassone, un uso che sa sempre meno di ostentazione di famiglia sana e felice e più di praticità.

Un bimbo intanto sta commentando una Ferrari parcheggiata.

E passeggiando qui, vedendo la trasformazione della città da un quartiere chiaramente di privilegiati, mi stavo chiedendo questo: se è vero che la fortuna di spostarsi quotidianamente in bici forse non è ancora accessibile a tutti, magari per la mancanza di mezzi pubblici adatti all’interscambio, credo che il passo successivo sia rendere disponibile ovunque l’assetto ciclabile, anziché prendersela con le cosiddette ZTL privilegiate.

Se l'aspirazione di avere tutti una Ferrari parcheggiata davanti casa non è verosimile, e magari nemmeno tanto desiderabile, quella di potersi muovere in bici in una città che diventa per questo più bella, beh, io credo che sia alla portata di molte città che non l’hanno ancora fatto, almeno in Europa.

sabato 20 settembre 2025

Alcamo Diramazione (Puntata 687 in onda il 23/9/25)

Il percorso a piedi dalla stazione
di Alcamo Diramazione ad Alcamo città
Questa puntata si può ascoltare qui.

Chi segue Derrick forse ricorderà un reportage insieme a Paolo Ghelfi da Cina e Laos in cui notavamo come le stazioni delle nuove linee ferroviarie fossero lì spesso lontane dai centri abitati principali. Questo non vale di solito in Europa, ma ci sono pur sempre anche da noi casi in cui una stazione urbana richiederebbe tracciati troppo difficili, per esempio a causa dei dislivelli. Se un secolo fa o prima si progettavano ancora eroiche ferrovie di montagna – molte purtroppo dismesse e solo alcune trasformate in percorsi ciclabili – simili tracciati difficilmente oggi sarebbero economicamente competitivi con il trasporto stradale.

Quindi è normale che alcuni centri di collina abbiano la stazione in basso, un po’ lontana, ma la mia esperienza recente da quella di “Alcamo Diramazione” è stata particolarmente western e impegnativa, e credo meriti un episodio delle nostre Camminate (im)possibili.

Era un primo assolatissimo pomeriggio di settembre e io giungevo con un treno regionale diesel nella tratta non elettrificata Trapani-Piraineto che visita tra l’altro Marsala e Mazzara del Vallo e passa vicinissima al tempio di Segesta.

Sceso nell’ampia stazione dall’aria un po’ trascurata, ho notato di essere stato l’unico a farlo. Il posto era deserto. Mentre uscivo sul piazzale esterno alla ricerca di un bus, ho sentito con un accenno di rimorso il mio treno dare gas accelerando via. Probabilmente un bus di linea per Alcamo dalla stazione esiste, ma io non sono stato in grado di localizzare una fermata, e non c’era nessuno a cui chiedere. Solo il rumore delle cicale e il sole inclemente. E le auto veloci ogni tanto.

Mi sono incamminato verso sud sulla Statale 773 che segue la linea ferroviaria in disuso per Calatafimi e solo dopo un po’ mi ha permesso di svoltare sulla Statale Settentrionale Sicula verso un’area industriale, finalmente in direzione di Alcamo. Ho attraversato la ferrovia in un punto in cui ero passato in treno venti minuti prima e poi son passato sotto all’autostrada sempre camminando sulla banchina polverosa e arsa della Statale. Dopodiché finalmente la mappa mi ha indicato di lasciare le strade trafficate e inerpicarmi per una strada secondaria a tratti sterrata che collega tra loro curiosi terrazzamenti protetti da enormi massi forse di granito ognuno dei quali ospita un capannone o un piazzale che domina il precedente lungo la salita verso Alcamo.

[Registrazione durante la salita].

Questa era la mia voce mentre camminavo.

Entrato ad Alcamo, le vie strette e lunghissime erano ancora avvolte dalla controra estiva. Alla fine ci sono voluti più di sette chilometri dalla stazione. L’afa avrebbe lasciato spazio a temporali e piogge torrenziali la notte stessa.

martedì 16 settembre 2025

I sentieri-fantasma di Marettimo (Puntata 686 in onda il 16/9/25)

Il sentiero verso Cala Bianca
lungo la costiera N dell'isola di Marettimo
Questa puntata può essere ascoltata qui.

Questa è una puntata in diretta differita: reportage dall'isola di Marettimo, nelle Egadi, la più distante da Trapani.

La consideriamo nel ciclo camminate impossibili, forse dovrei dire camminate difficili. Sto tornando all'unico villaggio dell'isola dove passerò la notte dopo circa 5 ore di cammino, quasi completamente in solitaria, dove ho cercato, oltre che di raggiungere la sommità dell'isola, abbastanza facile, scarpinando un po', anche di andare nel suo estremo nord-occidentale dove c'è una caletta che si chiama Cala Bianca, che mi è stata consigliata dagli isolani con cui ho chiacchierato, che però mi hanno anche messo in guardia rispetto a tentare di raggiungerla a piedi, perché è pericolosa, perché i turisti non capiscono che l'isola si vede bene solo dalla barca, cose del genere.

Naturalmente mi è venuta curiosità di tentare questo sentiero verso Cala Bianca. Solo raggiungere l'inizio del tratto più spettacolare richiede un'ora e mezza di cammino almeno. Poi inizia la parte chiusa ufficialmente per una frana. Dall'inizio del sentiero ufficialmente chiuso prima di arrivare alla frana si cammina per almeno una mezz'oretta e ci si avvicina molto a questa Cala Bianca in uno scenario davvero spettacolare, di solitudine estrema. (Ho però incontrato un cervo, forse, che se n’è scappato).

Il sentiero è abbandonato non so da quanti anni, ci cresce la vegetazione, ho dovuto mettere i calzoni lunghi per non strisciarmi tutto e a un certo punto, purtroppo, mentre ci si alza, restando comunque a mezza costa a picco sul mare con a sinistra delle guglie bellissime che qui chiamano le Dolomiti isolane, purtroppo sì: si attraversa un calanco con uno smottamento che ha reso un po' pericolosi alcuni metri del sentiero.

Niente che non si possa mettere in sicurezza facilmente anche solo aggiungendo una corda. Nessuno però l'ha fatto, il sentiero è stato abbandonato e sembra quasi definitivamente.

Eppure si tratta di una via che ha evidentemente una lunga storia, fatto originariamente con un certo investimento di fatica. Alcune parti addirittura sono costruite a forma di scale per aiutare i passaggi più aerei ed è di una panoramicità favolosa. Può creare forse qualche problema a chi soffre gravemente di vertigini, ma è un sentiero fatto per essere alla portata di tutti, purché si abbia voglia di camminare.

Qui nell'isola si usa uno smottamento come scusa per abbandonare uno dei suoi sentieri più belli, chiuderlo e diffidare i turisti dall'usarlo. Immagino perché una giornata sui sentieri evita una giornata passata a fare (e pagare) i giri in barca. Ma non credo che questo atteggiamento sia particolarmente utile dal punto di vista degli introiti turistici.

La maggior dei visitatori oggi viene in giornata da Favignana o addirittura da Trapani o Marsala e quindi effettivamente si: deve scegliere tra giro in barca o escursioni a piedi. Ma se io appassionato di camminate so che c'è un sentiero riaperto che va a Cala Bianca, e invece che vederlo cancellato dai cartelli lo vedo promosso, magari vengo a Marettimo per esplorarlo insieme agli altri dell’isola, esplorazione che richiede certo più giorni rispetto alla toccata e fuga del giro in barca diurno.

Marettimesi, barcaioli inclusi: prendetevi cura dei vostri sentieri. Credo vi convenga.

Un minivideo dal sentiero verso Cala Bianca è qui.

Tutte le "Camminate (im)possibili" di Derrick, in ordine anticronologico, sono qui.

martedì 9 settembre 2025

Propaganda e tecnologia nell'energia (Puntata 685 in onda il 9/9/25)


Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Nel disegno di legge delega nucleare è stata inserita spesa pubblica per una campagna informativa in materia per 7,5 milioni di Euro nei soli 2025 e 2026.

Un comunicato del presidente di coordinamento FREE, Attilio Piattelli, ingegnere nucleare e imprenditore del settore, ha fatto notare che nulla di questa entità si è mai visto per comunicare altre tecnologie dell’energia o per l’efficienza energetica. Eppure sarebbe ben più immediata l’utilità di sapere come fare una pergola fotovoltaica in balcone o come usare i nuovi contatori elettronici e diventare più efficienti o come legare i propri consumi alle sole energie rinnovabili liberandosi dai costi del gas. Energie che oggi esistono, si costruiscono e costano meno di altre.

La strana miopia politica di focalizzarsi su applicazioni enormi e costose e di tralasciare quelle diffuse spesso più rilevanti e utili è un tema che qui copriamo spesso. Facciamo il ponte sullo stretto ma non le ferrovie regionali in Sicilia e altrove. L’alta velocità ma non la capillarità e l’intermodalità. A Roma da anni piazza Venezia è brutalizzata dai lavori della metro, ma la città non è stata finora in grado non dico di organizzare, ma nemmeno di ospitare sistemi di mobilità condivisa di dimensioni rilevanti. Operatori come la spagnola Acciona coi suoi scooter elettrici sono dovuti scappare dall’Italia, ci avete fatto caso? Ma anche il campione Eni sta zitto zitto ritirando dalle strade le sue EnJoy, avete notato? Il Governo intanto alloca i nostri soldi per la propaganda nucleare.

Un numero di qualche tempo fa dell’Economist definiva “greenhushing” quel fenomeno per cui le tecnologie della transizione energetica non si fermano affatto, ma nemmeno si sbandierano, per non contraddire la retorica ufficiale oggi dominante, quella del rientro dal green deal, del gas di cui ci sarà sempre bisogno e del nucleare. E a proposito di una transizione diffusa che malgrado tutto non si ferma, gli ascoltatori di Derrick più antichi ricorderanno Ecofuturo, una rete di operatori di tecnologie e applicazioni fondata e diretta da Fabio Roggiolani, che organizza ogni anno un convegno ma anche un vero e proprio mondo virtuale, che si chiama Ecofuturo World. Un mondo parallelo, si direbbe, rispetto alla retorica del momento. In tre dimensioni con città, uffici, installazioni energetiche e no, e anche fiere. Ce ne parla Gianni Girotto, già senatore per il M5S e presidente della commissione industria del Senato.

[Audio Girotto]

Grazie Gianni Girotto. Il sito è https://world.ecofuturo.eu/it ma, se posso permettermi, forse il nome giusto sarebbe: ecopresente.


martedì 26 agosto 2025

Sicurezza dei ciclisti su strada, con Omar Di Felice (Puntata 684 in onda il 26/8/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

144. Sono i morti di ciclisti in incidenti stradali nel 2025 in Italia fino al 17 agosto secondo il rapporto che ASAPS fa con dati SAPIDATA (grazie all’associazione amici della polizia stradale per questo lavoro ed è curioso che non sia un organo istituzionale pubblico a fornirne i dati bensì – e ringrazio anche a loro – un’azienda di servizi sanmarinese, SAPIDATA appunto).

Il dato di 144 morti in meno di 8 mesi – 12 dei quali da cosiddetti pirati della strada poi scappati - è in aumento rilevante rispetto all’anno scorso di oltre il 20% se si confrontano i primi sei mesi. È un indicatore che diventerebbe ancora più impressionante se lo si parametrasse ai pochi chilometri fatti in bici rispetto all’auto in Italia, dato che al momento non sono riuscito a reperire.

Ho chiesto un commento a un campione di ciclismo di cui sono anche fan: Omar Di Felice, credo l’atleta italiano che ha vinto di più a livello internazionale nella disciplina dell’ultracycling, che consiste in gare su strada di lunghezze e dislivelli impressionanti.

Sentiamolo:

https://on.soundcloud.com/sCoNPwUAukYBHBfAp0

Grazie a Omar Di Felice. Che sui suoi social del tema scrive in modo dettagliato. Per esempio consiglia ai ciclisti di non buttarsi sul ciglio della strada, ma di occupare la corsia normalmente, come prevede il codice, per evitare di incoraggiare sorpassi delle automobili senza spazio di sicurezza.

Se non conoscete ancora questo atleta vi consiglio di seguire in particolare i suoi viaggi in solitaria in luoghi remoti e a volte estremi del mondo, tra cui uno recente in Tibet. Di Felice è anche autore di quattro libri. Io per prepararmi a questa puntata ho letto il suo “Pedalando nel silenzio di ghiaccio”, Rizzoli 2019, in cui parla della sua crescita come atleta e persona attraverso le imprese in bici della prima parte della sua carriera.

Ringrazio anche Valeria Galli già del team di comunicazione di Di Felice per averci messo in contatto.
 

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martedì 5 agosto 2025

Prolunghiamo il carbone? (Puntata 683 in onda il 5/8/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Il 31 luglio 2025 Azione e Forza Italia hanno presentato un ordine del giorno per proporre di modificare la strategia energetica rimandando di 13 anni la chiusura delle centrali a carbone che il Governo ha previsto per quest’anno (impegnandosi anche nel piano energia-clima approvato dall’Unione Europea). E il Governo che parere ha dato? Positivo!

I proponenti motivano la richiesta con la necessità di attendere l’arrivo dei primi impianti nucleari.

Ora, quando il piano energia-clima è stato mandato a Bruxelles già prevedeva il fantanucleare entro il 2040, eppure non ravvisava nessuna necessità di mantenere gli impianti a carbone, che del resto in gran parte sono già chiusi e anche i 4 attivi funzionano pochissimo perché non competitivi sommando i costi del carbone e dei permessi ad emettere la tanta CO2 che producono.

Dunque da dove deriva l’improvviso timore per la sicurezza energetica da parte dei proponenti l’OdG?

Vediamo: l’elettricità in Italia, al netto delle importazioni, si fa con gas (sempre meno) e con le rinnovabili (sempre di più). Quest’anno potrebbe essere quello del sorpasso di queste ultime sul primo. Difficilmente le rinnovabili installate verranno smontate o sole vento e piogge si spegneranno nel giro di pochi anni. Riguardo al gas, per garantirne la disponibilità e quella di centrali per bruciarlo sono in campo da anni forme di sussidio ai costi fissi delle centrali, e in seguito alla crisi Ucraina si sono fatti investimenti per alcuni miliardi (a spese di tariffe e temo in futuro tasse) per diversificare gli approvvigionamenti con nuovi rigassificatori e tubi. Inoltre, già prima dell’impegno scozzese di Von Del Lyen di comprare più energia americana di quella che l’America è in grado di vendere, l’Eni aveva già siglato un contratto di lungo termine di acquisto di gas liquefatto statunitense.

Ora, evidentemente per il Governo tutto questo, fatto in nome della sicurezza, non garantisce più la sicurezza. Implicitamente, veniamo a sapere da un ordine del giorno agostano che malgrado ci stiamo svenando sul gas, temiamo di non avere abbastanza energia e dobbiamo richiamare in servizio centrali che tutti i paesi avanzati d’Europa stanno chiudendo o hanno già chiuso (l’ha fatto perfino il Regno Unito, che di carbone ne sa qualcosa).

Se poi aggiungiamo che tra tredici anni non avremo nessuna centrale nucleare (questa è una previsione di Derrick), se l’OdG diventasse legge avremmo legiferato il mantenimento a tempo indeterminato del carbone.

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mercoledì 30 luglio 2025

Riprendiamoci lo spazio (Puntata 682 in onda il 29/7/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

Come sarebbero le nostre città senza automobili? È un tema già toccato in diverse puntate, una dell’aprile 2020 (link sotto) quando osservavo le auto inutilizzate per il covid impolverate parcheggiate sulle strade del mio quartiere, lì inutili a occupare almeno metà della carreggiata disponibile. Sarebbero mai più state usate? In quel clima di incertezza sembrava possibile che ci aspettassero novità radicali, che si potesse approfittare della crisi per liberarci di alcuni ferri vecchi.

Delle cose sono cambiate, ma non – perlomeno in Italia – l’invasione di scatolette metalliche perlopiù ferme in città o in lento movimento a intasarne e inquinarne le strade.

Senza le auto private i trasporti pubblici di superficie avrebbero bisogno di meno mezzi a parità di persone spostate, perché le corse sarebbero più brevi grazie all’assenza del traffico. Camminare o andare in bici sarebbe ancor più piacevole rapido e sicuro. Avremmo un’infinità di spazio in più da usare per attività più intelligenti rispetto a un immenso parcheggio. Io vivo a Roma nel quadrante sud della città e mi sposto spesso nella parte opposta. Coi mezzi ci metto più di un’ora, in bicicletta la metà. Ma se non dovessi schivare le principali arterie automobilistiche impiegherei ancora meno tempo e sarebbe più bello (già ora, malgrado tutto, lo è).

Se anche continueremo a usare un po’ di auto private, con la guida autonoma sarà possibile sfruttare ogni veicolo di più e condividerlo anziché lasciarlo fermo a occupare spazio.

Il capitale e lo spazio allocati in città nelle automobili private (e nel caso di quelle a combustione la loro tecnologia così arcaica) mi sono sempre sembrati così incongrui. Eppure tanto connaturati nelle nostre abitudini e nella nostra economia tanto che proporre di sbarazzarsene sembra una bestemmia.

Non a Giovanni Mori, ingegnere, già portavoce italiano dei Fridays for Future e candidato europarlamentare che sta promuovendo questa e altre innovazioni nell’ambito di un’iniziativa chiamata Italia Impossibile (link sotto). (Si noti l’assonanza con le “Camminate Impossibili” di Derrick in cui ho provato a muovermi a piedi o in bici in zone urbane dove sembra che questa opzione non sia stata nemmeno lontanamente presa in considerazione nel disegno urbanistico).

Sentiamo allora proprio Mori:

https://youtu.be/EJvfsJef8KY?si=GzLgfOuc1eLjoGsv&t=130

Grazie Giovanni Mori.


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venerdì 25 luglio 2025

Dov'è finito il "train manager"? (Puntata 681 in onda il 22/7/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

La volta scorsa grazie a una segnalazione di Manuele Aufiero abbiamo indagato il fatto che un punto vendita Bricocenter di Milano si fosse rifiutato di ritirare per il riciclo una batteria auto esausta contestualmente all’acquisto di una nuova. Ci sembrava strano e quindi abbiamo raggiunto via mail Adriano Aureliano Ciarletti, direttore generale di Bricocenter in Italia, il quale immediatamente ha risposto che quanto successo non è quel che loro prevedono, e che tutti i negozi devono ritirare le batterie usate. Ottima notizia, siamo grati a Ciarletti per questa interazione. Per favore ascoltatori o lettori di Derrick avvisatemi se capitassero altri casi in cui la promessa, diciamo così, non è rispettata, o casi che riguardano negozi di altre ditte..

La questione batterie al piombo non si è esaurita, perché nel punto vendita di un’altra azienda, Bricofer, a Roma in via di Donna Olimpia, mi è stato detto che il ritiro viene fatto solo di batterie effettivamente vendute dal negozio. Che di fatto equivale a negarlo nella generalità dei casi. Sto cercando di mettermi in contatto con Massimo Pulcinelli, amministratore unico e verosimilmente proprietario o comproprietario di Bricofer, figlio se ho capito bene del fondatore. Appena ho notizie ne parleremo.

C’è poi un altro disservizio su cui avevo promesso aggiornamenti, riguardo alle condizioni vessatorie dei biglietti elettronici regionali di Trenitalia che anche per i treni metropolitani permettono l’ingresso solo nello specifico treno acquistato almeno cinque minuti prima dell’orario di partenza, e non nei successivi o precedenti, cosa che impedisce di prendere un treno all’ultimo momento o di prenderne uno in ritardo ma che ci torna comodo (per esempio in caso di ritardi a catena su una linea il biglietto non ci permette di salire sul precedente in ritardo. Cos’è se non un dispetto ai clienti?).

Pochi giorni fa viaggiavo (col biglietto giusto) su un regionale partito e arrivato con più di un’ora di ritardo, e nel gelo dell’aria condizionata io e gli altri seccati passeggeri ci chiedevano dove fosse il cosiddetto “train manager” (Trenitalia si esprime così) che secondo un’ulteriore vessazione dei biglietti regionali deve necessariamente vidimare il biglietto elettronico per dar diritto alla compensazione in caso di grave ritardo. Guarda caso però il train manager non c’era. Come succede spesso, quando ci sono disservizi nei regionali i controllori, o capitreno che siano, si nascondono. Mi sono allora improvvisato rappresentante dei viaggiatori vessati e ho iniziato a bussare nell’unica porta dove il soggetto (mai visto in un’ora e mezza di viaggio) poteva essersi ficcato: la cabina del macchinista.
La train manager a quel punto è uscita, e alla mia domanda di perché fosse scomparsa ha avuto il coraggio di dirmi che si era messa lì dentro proprio per farsi trovare. Ora alle domande da fare al management Trenitalia si aggiunge questa:  perché un biglietto che si può usare in un solo treno e non modificare dopo la sua partenza ha bisogno di una vidimazione per ricevere il pur magro (vedremo quanto) rimborso?

Comunque, volevo riferirvi che anche Giampiero Strisciuglio, amministratore delegato di Trenitalia, e il suo ufficio stampa stanno facendo come la nostra train manager: si sottraggono per ora alle mie richieste di spiegazioni da condividere su Derrick. Speriamo ci siano novità positive in futuro.


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martedì 15 luglio 2025

Riciclo batterie al piombo (Puntata 680 in onda il 15/7/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Le batterie al litio sono diventate molto popolari. Alimentano anche i veicoli elettrici e l’industria del riciclo si prepara a quando i volumi di quelle esauste diventeranno rilevanti. Ma che ne è stato delle classiche batterie al piombo che abbiamo in ogni auto tradizionale? Nulla: sono sempre lì e – sorpresa – sono ancora anche in gran parte delle auto elettriche moderne per alimentarne i circuiti a bassa tensione. (Curiosità: la Panda Elettra del 1990 usava le batterie al piombo anche per la trazione).

Su queste batterie l’industria del riciclo è matura e profittevole, il che ne rende la dispersione nell’ambiente, ma anche il conferimento coi rifiuti urbani, non solo vietati perché dannosi (il piombo e gli acidi usati come elettroliti sono tossici), ma anche insensati economicamente. Tant’è che oltre al consorzio obbligatorio esiste almeno un’azienda (Rebat) che le ritira su appuntamento e le paga anche (attenzione: non ho provato, mi baso su quanto scrive il sito che metto sul blog di Derrick).

Qualche giorno fa ricevo questo vocale da Manuele Aufiero, ingegnere nucleare e imprenditore milanese nel campo dell’energia che conosco per una collaborazione su un altro tema.

[Vocale di Manuele Aufiero e parte successiva della puntata]

Aufiero poi racconta che il punto vendita si è rifiutato di ritirare la sua vecchia batteria e che il responsabile presente in quel momento lo ha motivato sulla base di una direttiva interna. Io ho provato in un altro punto vendita milanese di Brico, quello in via Corsica, dove l’addetto del reparto ha detto che invece sì le batterie le ritirano, ma non ne avevo una per metterlo alla prova. Aufiero ha fatto un’ulteriore verifica nel punto vendita di via Washington a giorni di distanza e un diverso dipendente gli ha ripetuto che no: hanno ricevuto istruzioni di non ritirare batterie esauste.

Ora, la legge, in Europa e in Italia, prevede l’obbligo di chi le vende di ritirare le batterie al piombo usate e di conferirle correttamente per lo smaltimento. Per questo l’episodio raccontato da Aufiero è rilevante e preoccupante.

Derrick sta cercando di mettersi in contatto con Barbara Casartelli e Adriano Ciarletti [in precedenza avevo scritto erroneamente il nome di un precedente incaricato, mi scuso con entrambi], rispettivamente capa della sostenibilità e direttore generale di Brico Italia, entrambi invitati alla futura puntata con cui chiuderemo spero positivamente il caso. Nel frattempo, ascoltatori e lettori cui sia stato negato il ritiro di batterie al piombo da negozi che le vendono sono invitati a scrivere a derrick.energia@gmail.com.

Per ora oltre a Manuele Aufiero ringrazio per la consulenza alla puntata Silvia Bodoardo, ordinaria di elettrochimica al Politecnico di Torino e già nota a questi microfoni, e Attilio Piattelli, un altro ingegnere nucleare e imprenditore dell’energia, oggi presidente di Coordinamento FREE. Eventuali errori, naturalmente, sono mia responsabilità ed è importante per Derrick riceverne notizia.

Ciarletti ci ha poi risposto. Ne abbiamo parlato in questa puntata.

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martedì 8 luglio 2025

Nomine collegio ARERA 2025 (Puntata 679 in onda l'8/7/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Scade ad agosto [2025] il collegio dell’ARERA, l’Autorità indipendente su energia, rifiuti, servizio idrico. È un organo della Repubblica il cui collegio è nominato su indicazione del Parlamento, e ha il dovere di essere indipendente dal Governo e dai soggetti che regola o vigila.

Perché è importante questa indipendenza, oltre all’efficacia, di ARERA?

Partiamo da un episodio. A inizio luglio [2025] l’ARERA ha pubblicato uno studio sulla competitività del mercato all’ingrosso dell’elettricità che – in modo a mio avviso fin troppo paludato ma con indubbia rilevanza – afferma l’esistenza di indizi di comportamenti anticompetitivi dei produttori elettrici che potrebbero aver determinato nel 2023 e 2024 un prezzo più alto dell’ordine di grandezza della decina di euro medi (e del dieci per cento del totale). Elettricità Futura, principale associazione dei produttori associata a Confindustria, ha immediatamente reagito con un attacco alla stessa Autorità.

Senza commentare lo stile della reazione, è buon segno se i soggetti regolati o vigilati temono gli interventi dell’Autorità e se il Governo non si sente in grado di influenzarli nell’ambito delle prerogative dell’Autorità stessa.

Per molti motivi. Provo a enunciare solo i primi che mi vengono in mente:

1) Il Governo è azionista di maggioranza di Eni ed Enel, due colossi dell’energia. Questo lo pone in conflitto di interessi tra massimizzazione del dividendo economico e promozione della concorrenza, e quindi dell’economicità dell’energia. È un problema in una democrazia liberale che Eni e il Governo, per esempio, si muovano tipicamente insieme in politica estera, a meno di ipotizzare che quel che è bene per l’Eni lo sua per l’Italia, cosa che si può probabilmente escludere riguardo a qualunque singola azienda e ancor più a una che si occupa di energie fossili mentre il Paese deve raggiungere gli obiettivi di transizione stabiliti nel piano energia-clima.

2) Bollette: sono un oggetto complicato. Un po’ esito di mercati competitivi, un po’ di redistribuzione di partite regolate sui cui s’incanala una quota rilevante di welfare e di politica industriale (due esempi: il bonus energia e gli aiuti ai consumatori energivori). Mentre sulla parte di mercato abbiamo come consumatori l’interesse all’effettiva concorrenza, sulla parte regolata, di natura pubblicistica ma al difuori della legge di Bilancio, serve un organo indipendente che controlli queste partite per evitare che diventino una specie di bilancio-ombra (economicamente rilevantissimo peraltro) gestito dal Governo senza trasparenza.

3) Le infrastrutture. Le reti dell’energia sono un elemento critico di sicurezza e competitività e un settore economicamente sempre più rilevante. Se ne occupano monopolisti regolati locali e nazionali, questi ultimi malgrado il controllo pubblico posseduti prevalentemente da fondi internazionali il cui interesse non è che le reti siano efficienti, ma che vi si investa il più possibile ribaltando in bolletta il più possibile. È compito dell’ARERA trovare il giusto equilibrio tra incentivo agli investimenti necessari ed efficienza, e vigilare affinché gli operatori di sistema non sfruttino le proprie prerogative di concessionari per avere vantaggi in settori attigui ma in concorrenza. Su questo non direi che ARERA abbia sempre brillato fino a ora, ma a maggior ragione non possiamo permetterci niente di meno che collegi forti per limitare investimenti inutili (per esempio sulle nuove infrastrutture gas), rendere efficienti e selettivi quelli sull’elettrificazione e arginare le ambizioni di Snam e Terna di determinare la politica energetica che spetta a Parlamento e Governo.

4) Clima. Se un politico ha il diritto di sparare boiate in materia, e vediamo quanto per alcuni di loro questo sia tristemente il fulcro del marketing elettorale, un’Autorità della Repubblica che si occupa di settori per il clima così rilevanti può e deve vigilare sulla coerenza della politica di questi settori rispetto agli accordi internazionali e agli obiettivi nazionali di transizione e in generale alla tutela dell’ambiente prevista in Costituzione.

Per il nuovo collegio di ARERA servono persone sia competenti sia autorevoli, capaci da un lato di usare con impatto il potere regolatorio in settori così tecnici, dall’altro di resistere quando serve alle lusinghe di operatori e Governi. A maggior ragione per le forze parlamentari di opposizione, in un contesto ormai annoso di ridotta agibilità parlamentare a fronte di Governi-legislatori per decreto, si tratta di una partita fondamentale.

Successivamente alla pubblicazione di questo testo è arrivato il commento di Luca Lo Schiavo, già dirigente ARERA, che ringrazio. Lo riporto anche qui di seguito:

C'è anche un altro motivo importante per assicurare che i componenti del nuovo Collegio abbiano le elevate competenze di settore previste dalla legge 481/95: [...] il confronto con le altre autorità europee in sede Acer [l'autorità di coordinamento UE delle autorità energia] [...]. Il rappresentante di Arera nel BoR di Acer non può balbettare. Ne abbiamo scritto, con Diego Gavagnin (ex dirigente Arera come me) qui: ARERA: a Che Serve l’Indipendenza | l'Astrolabio https://share.google/V7FbL4JpTeIcg1Nd1

martedì 17 giugno 2025

Viaggio in Armenia e Georgia (Puntate 676-8 in onda il 17 e 24/6/2025 e 1/7/2025)

Disegno di Paolo Ghelfi
Paolo Ghelfi e Michele Governatori hanno viaggiato in Armenia e Georgia dal 7 al 16 giugno 2025, anche con uno sguardo alle infrastrutture dell'energia incontrate lungo la strada.

La puntata su Yerevan, Armenia, è ascoltabile qui.

Qui la prima delle due in Georgia (9-11 giugno 2025), tra la capitale Tiblisi e l'estremo Nord dei monti caucasici al confine con la Russia.

Qui la puntata successiva, tra Mzkheta, Ureki sul mar Nero e Kutaisi, con registrazioni fino al 15 giugno 2025.

I minivideo di questo e altri viaggi di Derrick sono qui.

domenica 8 giugno 2025

Trenitalia e lo zen dei biglietti regionali (Puntata 675 in onda il 10/6/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Immaginiamo di doverci muovere in città coi mezzi pubblici, bus o metro. Abbiamo un biglietto da convalidare, o magari una carta di credito o la app di pagamento sul telefonino, convalidiamo o passiamo la carta e facciamo la nostra corsa.

Immaginiamo ora che il percorso comprenda un treno regionale – recentemente quelli cittadini si sono chiamati anche treni metropolitani ma non mi pare sia più così, la tassonomia dei treni è una materia affascinante e molto cangiante, ricordo ancora per esempio gli espressi con gli scompartimenti con i sedili in finta pelle, le copie di paesaggi italiani in bianco e nero in cornicette d’ottone. Oppure gli “interregionali” che dichiaravano con precisione nel nome di varcare il confine amministrativo ora invece anche loro definiti regionali - ma sto divagando e diventando troppo sentimentale.

Dicevo immaginiamo che il nostro spostamento in città includa un treno regionale. A Roma per esempio sono preziosi perché sopperiscono alle poche linee di metro. Un paio di giorni fa ne ho preso uno a Mandela, una stazione sulla Tiburtina, e nei 45 chilometri circa fino a Roma si è fermato 14 volte: un servizio di prossimità analogo a quello di una metropolitana.

Rispetto a una metropolitana o a un bus urbano, però, il modo in cui funziona il biglietto è completamente diverso. Nei primi nessuno pretende che tu sappia in anticipo quale convoglio prenderai e che compri il biglietto almeno cinque minuti prima, con il biglietto elettronico regionale Trenitalia invece sì: il biglietto è specifico per un solo treno. Puoi cambiarlo dalla app prima dell’orario previsto di partenza, ma se mancano meno di cinque minuti alla partenza prevista non puoi comprare il biglietto, e quindi a maggior ragione se il treno è in ritardo secondo la logica Trenitalia non ci puoi salire. Devi aspettare nella banchina il successivo, così, per dispetto.

Per quale motivo avranno deciso che i treni regionali siano l’unico mezzo di trasporto locale dove improvvisare è vietato?

Fino a un paio di settimane fa ho sempre constatato come regole così vessatorie fossero bilanciate dalla ragionevolezza del personale. Per esempio nella tratta da Roma Trastevere all’aeroporto di Fiumicino, un treno ogni 15 minuti, se il primo treno disponibile non è più acquistabile per ritardo o imminenza ho sempre comprato il biglietto per il successivo prima di salire, spiegandolo al personale di bordo che ha puntualmente constatato la buona fede (visto che ho già pagato per un treno successivo che materialmente non potrei prendere dopo aver già preso il precedente, in nessun modo sto pagando meno del dovuto) e non ha mai obiettato.

Questo è stato vero fino a un treno dall’aeroporto di Cagliari Elmas a Cagliari. Biglietto da 1,2 euro mi pare, corro sul primo convoglio disponibile col biglietto già fatto sul primo treno acquistabile, cioè il successivo, e il capotreno Nicola O. mi commina una multa di cinquanta euro e rotti, oltre all’acquisto del nuovo biglietto. Gli chiedo se non sia una regola stupida quella dei cinque minuti. Ammette che lo è, e accetta perfino di verbalizzarlo, giuro, ce l’ho scritto, ma non di comportarsi come tutti i suoi colleghi fino a ora in modo più ragionevole della regola a suo dire stupida.

Mi prendo la briga di fare pazientemente un reclamo ponendo tutte le considerazioni fatte qui, e invece di rispondere al quesito (perché fate regole vessatorie senza senso?) Trenitalia mi ripete la regola.

Ho provato a parlarne scrivendo a Gianpiero Strisciuglio, recentemente nominato amministratore delegato di Trenitalia, ma non mi ha risposto. Né lo ha fatto l’ufficio stampa. Ma io non mollo l’osso, cercherò ancora di contattare Strisciuglio per chiedergli cosa ci guadagna Trenitalia a rendere i biglietti regionali così farraginosi e multare viaggiatori rei di comprare il primo biglietto disponibile per un treno che parte entro cinque minuti. Sarà che Trenitalia vuole instillare lo zen della pianificazione e della lentezza a normali pendolari stressati? Ing. Strisciuglio, venga a raccontarcelo, è il benvenuto a Derrick.

martedì 27 maggio 2025

Il vento giusto (Puntate 673-4 in onda il 27/5 e 3/6/2025)

Illustrazioni di Paolo Ghelfi
Questo testo è apparso in una forma simile su QualEnergia, che ringrazio.

Il testo si può ascoltare qui (prima parte) e qui (seconda).

Il 18 agosto 2021, con 43 minuti di ritardo rispetto ai piani di volo, è atterrato al Pinal Airpark un Airbus A330 registrato in Canada come C-GITS.

Non si sarebbe più alzato da quella pista. Pinal Airpark è un deposito nel sud dell’Arizona per aerei destinati allo smantellamento. Grazie all’aria secca del deserto, i metalli dei velivoli parcheggiati si degradano più lentamente. E perché il sole non disintegri le plastiche e gomme degli interni, alcuni parabrezza vengono oscurati e i portelli di cabine e stive lasciati socchiusi per ventilarle un po’. La pioggia non è un problema al Pinal Airpark.

L’estate successiva, con mia figlia, nei pressi del forte Santa Catarina abbiamo atteso a lungo il traghetto che dall’isola Terceira, nell’arcipelago portoghese delle Azzorre, ci doveva portare all’isola Graciosa. Era in ritardo a causa del vento impietoso e del mare grosso.

Appena a bordo mi sono sistemato in una poltrona e ho aperto il laptop in vista delle molte ore di navigazione, ma dopo due minuti l’avevo già richiuso in preda alla nausea. Sono arrivato a Graciosa distrutto malgrado il soccorso di una coppia di attempati lusitani che ci ha regalato due compresse per il mal di mare.

Vent’anni prima del suo ultimo volo, il C-GITS era stato battezzato “Azores Glider” (aliante delle Azzorre) dopo le riparazioni in seguito a un atterraggio molto duro a Terceira. Aveva subito danni per la violenza del contatto con la pista e letteralmente grattugiato via le gomme e perfino i cerchioni dei carrelli posteriori. Era arrivato molto più veloce del normale, di punta, senza gli ipersostentatori che normalmente permettono di rallentare prima del touch down, senza gli spoiler che aumentano l’aderenza alla pista, senza il sistema antibloccaggio dei freni. Senza motori. Planando fino all’impatto in un silenzio che dev’essere apparso surreale a chi fosse alle prime luci del giorno d’estate sulla pista di Lajes, Terceira, Azzorre.

I cerchioni ormai privi di pneumatici hanno tagliato per un lungo tratto l’asfalto come avrebbe fatto un apriscatole.

Ai comandi c’era un canadese del Québec con discutibili capelli lunghi e un passato da contrabbandiere di marjuana con aerei da turismo che gli era costato negli anni Ottanta sedici mesi di carcere negli Stati Uniti. Il suo nome era Robert Piché.

Piché aveva appena pilotato per 120 km a motori spenti un aereo intercontinentale con 306 persone a bordo. Un record mai battuto su un aereo del genere, e con manovre non previste nemmeno in simulatore. Il carburante, disperso da un tubo sbagliato montato in uno dei motori, si era esaurito all’alba sopra l’oceano Atlantico. A bordo si erano spente tutte le luci e tutte le apparecchiature elettriche tranne gli strumenti minimi per la navigazione e il controllo dell’aereo. Gli assistenti di volo avevano preparato i passeggeri a un ammaraggio senza dire quel che molti intuivano: sarebbe stato potenzialmente letale.

Per 20 minuti i passeggeri hanno assaporato la fine.


La terraferma nel porto di Praia a Graciosa è stata una liberazione. Era ormai tardo pomeriggio, il vento incalzava. Era così bello avere i piedi sul suolo che anziché prendere un taxi ci siamo inerpicati per chilometri sulla strada alta sul mare verso il capoluogo Santa Cruz, tra costruzioni rurali e un paesaggio curiosamente simile a torbiere scozzesi o irlandesi. Il caldo dell’estate continentale sembrava lontanissimo, eppure proprio in quei giorni gl’incendi divampavano nei dintorni di Lisbona, mentre in Italia il governo Draghi si preparava a soccombere alle successive elezioni anticipate.

Passato un valico e percorso un lungo rettilineo in discesa, finalmente si vedevano da lontano le prime case di Santa Cruz, mentre alla nostra destra sfilava una rada zona industriale in cui si notava un capannone più grosso degli altri con una scritta: Central da baterias, Graciolica. Poco dietro, all’interno dello stesso recinto, un parco fotovoltaico.

L’Azores Glider sarebbe potuto arrivare con un motore funzionante da Toronto all’arcipelago portoghese malgrado la perdita di carburante, se solo Piché e il suo giovane copilota avessero seguito le procedure corrette dopo che gli strumenti di bordo molto prima dell’alba li avevano avvertiti del consumo anomalo. Avrebbero potuto spegnere il motore con la perdita e far passare il carburante residuo nell’ala senza perdita. Invece hanno fatto il contrario: per bilanciare i pesi hanno spinto il carburante verso il buco, fino a trovarsi completamente a secco sopra l’oceano.

Senza la spinta dei motori si è fermata anche la pressurizzazione della cabina. Sono scese le maschere per l’ossigeno mentre Piché iniziava la discesa in planata. L’unica fornitura elettrica residua del bestione intercontinentale era affidata a un piccolo generatore eolico d’emergenza sotto alla carlinga, sceso automaticamente per forza di gravità.

La mattina dopo l’arrivo a Santa Cruz mia figlia e io abbiamo preso due bici a noleggio per esplorare l’isola. Un’ora più tardi, alla fine di un ripidissimo strappo di salita, eravamo sul punto più alto di Graciosa tra aerogeneratori in funzione. Un sentiero faceva il periplo di un antico cratere vulcanico. Ma il vulcano attivo dell’isola è la caldeira do Enxofre, più a Ovest, dove in una grande grotta echeggiano bolle di fanghi sulfurei.

Le indagini dopo l’incidente AirTransat 236 hanno acclarato che il potenziale disastro è stato causato prima da un errore di manutenzione e poi dalla reazione sbagliata dei piloti alla perdita di carburante. Questo non ha impedito a Robert Piché di essere da allora considerato un eroe, di ricevere un premio dall’associazione internazionale dei piloti e di iniziare una carriera parallela di conferenziere. Il giorno del suo ultimo volo prima della pensione ancora i passeggeri gli chiedevano selfie e autografi. Che cosa strana la vita, ha detto in un’intervista: un giorno finisci in galera, un altro temi di morire e dopo un’ora ti chiamano eroe. Su di lui, oltre a decine di video di ricostruzione dell’incidente più o meno accurati, è stato prodotto un film biografico (Piché entre ciel et terre, disponibile su YouTube nella versione originale in québécois).

Nel 2018 la società energetica Graciolica ha ordinato a Wartzila e altre aziende tecnologiche le macchine per creare a Graciosa un sistema di generazione elettrica e batterie in grado di funzionare al 100% con fonti rinnovabili.

All’inizio del 2020 la nuova configurazione ha iniziato a ridurre le ore di attivazione dei vecchi generatori diesel. Nel novembre dello stesso anno l’intera isola ha funzionato per 150 ore consecutive al 100% con eolico e fotovoltaico.

Chissà se l’Azores Glider è ancora intero, a parte i motori e gli strumenti più preziosi che saranno stati subito cannibalizzati. Le sue capacità di volare a vela come fosse un aliante di pochi quintali, testate per la prima volta da Piché per salvare la vita sua e dei passeggeri, hanno contribuito al prestigio di Airbus, oggi di gran lunga il più grande produttore di aerei civili al mondo e un caso di successo di un’azienda globale pianificata e incubata dall’Unione Europea. La sua divisione ZeroE dal 2020 sviluppa soluzioni per aerei a zero emissioni dannose con celle a combustibile e motori elettrici, o con turbine direttamente alimentate a idrogeno.

Il villaggio di Santa Cruz a Graciosa è fresco anche a luglio, spazzato dal vento dell’Atlantico. Non è il posto giusto per imparare il portoghese a causa del dialetto che si mangia ancora più vocali che nel continente. Trovare una bici senza la catena corrosa dalla salsedine è difficile. Nel piccolo porto di pescatori hanno tirato su un muro bianco in alcuni punti, credo per difendersi dalle mareggiate che il nuovo clima sta rendendo più aggressive. Ma a Graciosa, riguardo al clima, non si limitano all’adattamento.

martedì 20 maggio 2025

Il ponte sul Topino (Puntata 672 in onda il 20/5/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi.
Chi è Paolo Ghelfi?
Questa puntata si può ascoltare qui.

Pontecentesimo. Sapete dov’è? È una frazione di Foligno, provincia di Perugia, città certo meno turistica (e più grande) rispetto alle vicinissime Assisi e Trevi, ma interessante anche per i tanti canali che la raffrescano. Acqua che arriva anche dal fiume Topino che dà il nome alla valle a NE della città dove passano la via Flaminia (sia nel tracciato romano che nella versione superstradale) e la ferrovia per Ancona di cui Derrick si è occupato più volte. Una valle fresca e lussureggiante dove l’acqua è anche nel nome di Capodacqua, con la sua stazione ferroviaria ormai chiusa come quella di Valtopina. (Di stazioni che chiudono o rischiano di farlo ho parlato a Derrick riguardo a Colli di Monte Bove - link sotto).

Pontecentesimo, dunque, è una delle prime località che s’incontrano imboccando la val Topina poco fuori Foligno.

Se siete lì o più a nord nella valle e avete una bici, o siete a piedi, e appartenete a quel piccolo novero di privilegiati dotati di arti inferiori e di capacità deambulatoria, sappiate che a Foligno con l’energia muscolare non potete arrivarci, salvo abbandonare lungamente la valle con centinaia di metri di dislivello nella zona di Ravignano.

Perché non si può andare dalla Valtopina a Foligno in bici o a piedi? Perché, seppure per solo un chilometro, la vecchia Flaminia converge nella superstrada vietata a bici e pedoni. E non ci sono alternative in quel breve collo di bottiglia. Nemmeno sentieri.

Il cancello tra il ponte abbandonato e
la superstrada Flaminia,
dove c'era lo svincolo di ingresso.
Fino ad alcuni anni fa il tratto di superstrada obbligatoria era di soli 150 metri, grazie a un ingresso dalla via Flaminia Nord di Foligno adiacente a un ponte sul Topino. Un ponte che da almeno cinque anni è in rovina e ospita una modesta discarica informale. È piegato trasversalmente forse per uno smottamento e forse è pericoloso per il flusso del fiume se dovesse cedere e ostruirlo in caso di piena. L’ingresso sulla superstrada (che probabilmente era pericoloso in assenza di corsie di accelerazione) è stato chiuso e al suo posto c’è un cancello, apribile fino a qualche tempo fa e poi bloccato da una catena. Poco dopo il ponte, allontanandosi dalla superstrada, c’era un passaggio a livello sulla ferrovia, oggi letteralmente murato (inglobando le barriere mobili nel muro con un inquietante effetto-Pompei).

Per curiosità sono andato a vedere le immagini satellitari e da terra di Google dove il ponte, l’ingresso in superstrada e il passaggio a livello sono ancora aperti.

Bene. La mia opinione è che la messa in sicurezza o l’aggiornamento di una superstrada non possa implicare l’istituzione di una barriera bloccante per le forme di movimento inadatte alla superstrada. Se mai, si affianca la sede stradale a corsie protette per pedoni e ciclisti, o si degrada quel tratto eliminando le esclusioni e imponendo agli automobilisti di rallentare.

Chi va in bici sa quanto spesso occorre violare barriere o divieti per muoversi in un paese dove la progettazione viaria molto spesso dimentica il traffico non automobilistico e ne diventa un impedimento.

Se pensate che questa puntata sia un invito a scavalcare (più facile passare sotto se siete abbastanza smilzi) il cancello sul Topino e avventurarvi sul ponte storto per poter continuare a percorrere in bici o a piedi la bellissima val Topina da o verso Foligno minimizzando la superstrada, la mia reazione è: no comment.


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martedì 13 maggio 2025

Lo spegnone (o apagón parte II) (Puntata 671 in onda il 13/5/25)

La precedente puntata sullo spegnone in Spagna è qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Aggiornamento: il governo spagnolo ha riferito il 17 giugno 2025 che lo spegnone è stato causato da un'insufficiente disponibilità di capacità di regolazione di tensione sulla rete al momento critico, sia perché il gestore della rete non ne aveva approvvigionata a sufficienza, sia perché non tutte le centrali termoelettriche che avrebbero dovuto fornirla lo hanno fatto nelle modalità dovute. Link sotto al comunicato del Governo di Madrid.

Questa puntata si può ascoltare qui.

Ho deciso che sostituirò il termine “blackout”, almeno in riferimento a quello iberico del 28 aprile 2025, con “spegnone”, che ho introdotto nella scorsa puntata. Del resto se Fiat auto inventò il neologismo “comodosa” in riferimento alla Regata, tre volumi per famiglie erede della 131 lanciata negli anni ’80, perché non può Derrick introdurne uno, spero, altrettanto intuitivo?

E dunque, continuano le conclusioni massimaliste tratte da chi commenta lo spegnone. Per esempio che occorre nazionalizzare il gestore della rete elettrica (che in Spagna come da noi è un’azienda di diritto privato, ma concessionaria di un servizio regolato) o all’opposto che lo spegnone è stata colpa di cattiva politica o regolazione.

Che il gestore della rete spagnola abbia fallito nel farla funzionare correttamente, come ha scritto Carlo Stagnaro, mi sembra la conclusione meno controvertibile.

Abbiamo già visto che ci vorrà un po’ per sapere tecnicamente cosa è andato storto, ma la speranza che prima o poi ciò avvenga è alimentata dal fatto che anche un’istituzione europea, l’ACER, agenzia di coordinamento delle autorità indipendenti dell’energia, parteciperà alle indagini, così come l’organo di coordinamento dei gestori delle reti elettriche ENTSO-E.

Ricapitoliamo quali caratteristiche ha il sistema elettrico iberico: molte fonti rinnovabili, in particolare eolico, un prezzo dell’elettricità che è passato in sette anni da essere tra i più alti al più competitivo d’Europa, come ha ricordato il premier Sanchez pochi giorni dopo lo spegnone, tanto da attrarre investimenti in settori ad alta intensità di fabbisogno elettrico come i datacentre e da ottenere una crescita economica più che doppia della media europea negli ultimi due anni.

In termini di interconnessioni con i paesi limitrofi, Spagna e Portogallo da un lato sono dotate dell’unico collegamento transmediterraneo d’Europa, perdipiù sincrono, con il Marocco, dall’altro sono scarsamente interconnessi con il resto d’Europa. (Su cosa s’intenda per “sincrono” invito a consultare la pagina di introduzione per non tecnici al funzionamento delle reti elettriche in corrente alternata - link sotto).

Questa scarsa interconnessione ha significato che la capacità della rete europea di sostenere quella spagnola in difficoltà fosse ridotta, e quando gli interruttori con la Francia si sono aperti la penisola si è trovata sola nel suo destino. (Interessante che il gestore della rete francese si sia affrettato ad affermare che il distacco non si è configurato come una mancanza di supporto della rete francese). E il distacco di una centrale nucleare sempre in Francia nei momenti della crisi anch’esso viene citato da molti osservatori.

La Spagna curiosamente ha visto negli ultimi anni un rallentamento dell’installazione di batterie elettriche. Se è vero che il sistema iberico partiva da valori elevati di disponibilità di batterie, è anche vero, come ha scritto GB Zorzoli su Staffetta Quotidiana, che la disponibilità complessiva di accumuli iberici non sembra tenere il passo delle fonti rinnovabili a maggior ragione se consideriamo il relativo isolamento del sistema. Un articolo di José Roca dal Periodico de la energia (link sotto) nota che la nuova capacità di batterie è in calo da tre anni in Spagna mentre a livello europeo la corsa è rallentata solo nel 2024, anno che comunque ha visto aumentare la capacità continentale di un altro 15%.

Ma proprio lo spegnone potrebbe dare una sveglia al mercato iberico degli accumuli, anche quelli domestici. Sempre nel Periodico de la energia (link sotto) leggo di un aumento repentino delle richieste di sistemi che siano in grado non solo di autoprodurre e conservare l’energia, ma anche di staccarsi dalla rete in caso di blackout, per non esserne coinvolti.

Se è vero che sempre più il bilanciamento delle reti si fa anche con risorse distribuite, lo shock dello spegnone potrebbe accelerare la tendenza.


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martedì 6 maggio 2025

Apagón (Puntata 670 in onda il 6/5/25)

Aggiornamento: il governo spagnolo ha riferito il 17 giugno 2025 che lo spegnone è stato causato da un'insufficiente disponibilità di capacità di regolazione di tensione sulla rete al momento critico, sia perché il gestore della rete non ne aveva approvvigionata a sufficienza, sia perché non tutte le centrali termoelettriche che avrebbero dovuto fornirla lo hanno fatto nelle modalità dovute. Link sotto al comunicato del Governo di Madrid.

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi
(Dopo che Copilot ci ha delusi
con un precedente tentativo)

La risposta è no: non mi avventurerò in speculazioni sulle cause del blackout spagnolo prima di vedere un rapporto dettagliato  - quand’anche provvisorio – del gestore della rete spagnola o di una delle autorità rilevanti. Voglio però commentare la bellezza del termine spagnolo per blackout: apagón, che viene da apagar (spegnere). La trasposizione letterale in italiano potrebbe essere “spegnone”. Invece noi tristemente usiamo l’anglosassone blackout anche perché l’algido termine “disalimentazione” che usano i gestori delle reti è assai poco evocativo.

Come in tutti i settori che di colpo diventano popolari per un evento, un sacco di gente sta commentando a sproposito. Per differenziarsi e contribuire in senso opposto, questo blog ha inaugurato una nuova pagina (link sotto) con una breve descrizione per non tecnici di come funziona una rete elettrica e sarò felice di ricevere commenti e critiche in materia.

Segnalo poi un eccellente articolo in materia di Luigi Moccia nel suo blog dal nome calviniano Mappe di città invisibili. L’articolo si chiama Le bufale sul blackout spagnolo (link sotto). (Moccia cercherò di corteggiarlo per portarlo in voce prima o poi qui a Derrick).

Può però essere utile impostare la questione e parlare delle caratteristiche del sistema elettrico spagnolo, tra i più avanzati d’Europa per uso di energie rinnovabili e per conseguente riduzione del prezzo dell’energia, il che sta contribuendo a far crescere il paese ben più del resto d’Europa. (Ma attenzione: perfino in Italia dove le rinnovabili coprono ancora in media meno della metà del fabbisogno di energia, ci sono momenti, come il primo pomeriggio dello scorso primo maggio, il cui quasi tutta è da fonti rinnovabili).

Abbiamo su questo con un accademico (ne stiamo avendo diversi ospiti a Derrick ultimamente): Fulvio Fontini, ordinario di Economia applicata all’Università del Salento, già membro della commissione PNRR-PNIEC, autore di molte pubblicazioni in tema energia compreso, insieme ad Anna Cretì, Economics of Electricity, manuale di riferimento nei corsi avanzati di economia dell’elettricità.

Sentiamolo qui.

Grazie Fulvio Fontini, speriamo di riaverlo ancora su questo tema.

Una puntata successiva sullo spegnone è qui.


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martedì 29 aprile 2025

Resistenza (Puntata 669 in onda il 29/4/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Scrivo questa puntata il 25 aprile, ogni tanto disturbato dagli elicotteri di ronda per la protezione della città durante la convergenza dei VIP per i funerali del Papa. E di resistenza, anche se non quella con la “r” maiuscola che festeggiamo oggi, voglio parlare partendo dallo scontro tra gli atenei statunitensi e il Governo locale che ora subordina i fondi pubblici a forme di rinuncia alla libertà di ricerca o di espressione.

L’Economist in uno degli articoli in materia ha spiegato perché è molto difficile per gli atenei riorganizzarsi per sopperire di colpo alla mancanza di fondi pubblici anche quando questi non costituiscono la maggioranza degli introiti. Non ho motivo di dubitarne. Ma non penso che un direttore d’ateneo per questo dovrebbe rinunciare a difendere la libertà accademica. Così come penso che un dirigente d’azienda abbia la responsabilità di non assecondare una decisione dell’amministratore delegato che ritenga dannosa per l’azienda stessa o incompatibile con le sue regole, a costo di dimettersi (esito che ho visto molto di rado nelle organizzazioni in cui ho lavorato). E così un ministro rispetto al primo ministro, un funzionario, pubblico e non, rispetto alla sua direttrice, e giù fino a coprire qualunque ruolo.

Molti definiscono Trump un bullo, che rende in effetti l’idea di qualcuno che usa tutte, e forse più, le proprie prerogative per obiettivi non solo apparentemente irrazionali, erratici, ma talvolta anche persecutori. Come dovremmo definire un civil servant che asseconda Trump nell’ambito dei propri poteri solo per non rischiare il posto? Osservante? Leale? O invece, al contrario, inosservante del proprio ruolo.

Quel che sto cercando di dire è che forse l’anticorpo ai potenti bulli, perlomeno in un contesto di pace, sono i cittadini disposti a loro volta a usare tutte, e anche più, le proprie prerogative. Non limitandosi alle urne, perché non bastano le urne a conservare né la libertà né uno stato di diritto, lo vediamo in molti casi.

Nessun dittatore potrebbe andare avanti in caso di ammutinamento collettivo. Ma un ammutinamento non avviene se nessuno lo inizia rischiando la propria incolumità professionale o altro. E se non nasce questa resistenza, potrebbe nascere una dittatura.

Ora, aldilà dei miei afflati, la questione degli atenei statunitensi merita un minimo di approfondimento e sono contento di avere ai microfoni di Derrick Mario Macis, economista professore alla Johns Hopkins University di Washington che del tema ha scritto il 17 aprile su La Nuova Sardegna. Sentiamolo qui.

Grazie a Mario Macis che potete leggere anche nelle pagine de Lavoce.info e di ECO, il mensile di economia di Tito Boeri.

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