domenica 8 giugno 2025

Trenitalia e lo zen dei biglietti regionali (Puntata 475 in onda il 10/6/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Immaginiamo di doverci muovere in città coi mezzi pubblici, bus o metro. Abbiamo un biglietto da convalidare, o magari una carta di credito o la app di pagamento sul telefonino, convalidiamo o passiamo la carta e facciamo la nostra corsa.

Immaginiamo ora che il percorso comprenda un treno regionale – recentemente quelli cittadini si sono chiamati anche treni metropolitani ma non mi pare sia più così, la tassonomia dei treni è una materia affascinante e molto cangiante, ricordo ancora per esempio gli espressi con gli scompartimenti con i sedili in finta pelle, le copie di paesaggi italiani in bianco e nero in cornicette d’ottone. Oppure gli “interregionali” che dichiaravano con precisione nel nome di varcare il confine amministrativo ora invece anche loro definiti regionali - ma sto divagando e diventando troppo sentimentale.

Dicevo immaginiamo che il nostro spostamento in città includa un treno regionale. A Roma per esempio sono preziosi perché sopperiscono alle poche linee di metro. Un paio di giorni fa ne ho preso uno a Mandela, una stazione sulla Tiburtina, e nei 45 chilometri circa fino a Roma si è fermato 14 volte: un servizio di prossimità analogo a quello di una metropolitana.

Rispetto a una metropolitana o a un bus urbano, però, il modo in cui funziona il biglietto è completamente diverso. Nei primi nessuno pretende che tu sappia in anticipo quale convoglio prenderai e che compri il biglietto almeno cinque minuti prima, con il biglietto elettronico regionale Trenitalia invece sì: il biglietto è specifico per un solo treno. Puoi cambiarlo dalla app prima dell’orario previsto di partenza, ma se mancano meno di cinque minuti alla partenza prevista non puoi comprare il biglietto, e quindi a maggior ragione se il treno è in ritardo secondo la logica Trenitalia non ci puoi salire. Devi aspettare nella banchina il successivo, così, per dispetto.

Per quale motivo avranno deciso che i treni regionali siano l’unico mezzo di trasporto locale dove improvvisare è vietato?

Fino a un paio di settimane fa ho sempre constatato come regole così vessatorie fossero bilanciate dalla ragionevolezza del personale. Per esempio nella tratta da Roma Trastevere all’aeroporto di Fiumicino, un treno ogni 15 minuti, se il primo treno disponibile non è più acquistabile per ritardo o imminenza ho sempre comprato il biglietto per il successivo prima di salire, spiegandolo al personale di bordo che ha puntualmente constatato la buona fede (visto che ho già pagato per un treno successivo che materialmente non potrei prendere dopo aver già preso il precedente, in nessun modo sto pagando meno del dovuto) e non ha mai obiettato.

Questo è stato vero fino a un treno dall’aeroporto di Cagliari Elmas a Cagliari. Biglietto da 1,2 euro mi pare, corro sul primo convoglio disponibile col biglietto già fatto sul primo treno acquistabile, cioè il successivo, e il capotreno Nicola O. mi commina una multa di cinquanta euro e rotti, oltre all’acquisto del nuovo biglietto. Gli chiedo se non sia una regola stupida quella dei cinque minuti. Ammette che lo è, e accetta perfino di verbalizzarlo, giuro, ce l’ho scritto, ma non di comportarsi come tutti i suoi colleghi fino a ora in modo più ragionevole della regola a suo dire stupida.

Mi prendo la briga di fare pazientemente un reclamo ponendo tutte le considerazioni fatte qui, e invece di rispondere al quesito (perché fate regole vessatorie senza senso?) Trenitalia mi ripete la regola.

Ho provato a parlarne scrivendo a Gianpiero Strisciuglio, recentemente nominato amministratore delegato di Trenitalia, ma non mi ha risposto. Né lo ha fatto l’ufficio stampa. Ma io non mollo l’osso, cercherò ancora di contattare Strisciuglio per chiedergli cosa ci guadagna Trenitalia a rendere i biglietti regionali così farraginosi e multare viaggiatori rei di comprare il primo biglietto disponibile per un treno che parte entro cinque minuti. Sarà che Trenitalia vuole instillare lo zen della pianificazione e della lentezza a normali pendolari stressati? Ing. Strisciuglio, venga a raccontarcelo, è il benvenuto a Derrick.

martedì 27 maggio 2025

Il vento giusto (Puntate 673-4 in onda il 27/5 e 3/6/2025)

Illustrazioni di Paolo Ghelfi
Questo testo è apparso in una forma simile su QualEnergia, che ringrazio.

Il testo si può ascoltare qui (prima parte) e qui (seconda).

Il 18 agosto 2021, con 43 minuti di ritardo rispetto ai piani di volo, è atterrato al Pinal Airpark un Airbus A330 registrato in Canada come C-GITS.

Non si sarebbe più alzato da quella pista. Pinal Airpark è un deposito nel sud dell’Arizona per aerei destinati allo smantellamento. Grazie all’aria secca del deserto, i metalli dei velivoli parcheggiati si degradano più lentamente. E perché il sole non disintegri le plastiche e gomme degli interni, alcuni parabrezza vengono oscurati e i portelli di cabine e stive lasciati socchiusi per ventilarle un po’. La pioggia non è un problema al Pinal Airpark.

L’estate successiva, con mia figlia, nei pressi del forte Santa Catarina abbiamo atteso a lungo il traghetto che dall’isola Terceira, nell’arcipelago portoghese delle Azzorre, ci doveva portare all’isola Graciosa. Era in ritardo a causa del vento impietoso e del mare grosso.

Appena a bordo mi sono sistemato in una poltrona e ho aperto il laptop in vista delle molte ore di navigazione, ma dopo due minuti l’avevo già richiuso in preda alla nausea. Sono arrivato a Graciosa distrutto malgrado il soccorso di una coppia di attempati lusitani che ci ha regalato due compresse per il mal di mare.

Vent’anni prima del suo ultimo volo, il C-GITS era stato battezzato “Azores Glider” (aliante delle Azzorre) dopo le riparazioni in seguito a un atterraggio molto duro a Terceira. Aveva subito danni per la violenza del contatto con la pista e letteralmente grattugiato via le gomme e perfino i cerchioni dei carrelli posteriori. Era arrivato molto più veloce del normale, di punta, senza gli ipersostentatori che normalmente permettono di rallentare prima del touch down, senza gli spoiler che aumentano l’aderenza alla pista, senza il sistema antibloccaggio dei freni. Senza motori. Planando fino all’impatto in un silenzio che dev’essere apparso surreale a chi fosse alle prime luci del giorno d’estate sulla pista di Lajes, Terceira, Azzorre.

I cerchioni ormai privi di pneumatici hanno tagliato per un lungo tratto l’asfalto come avrebbe fatto un apriscatole.

Ai comandi c’era un canadese del Québec con discutibili capelli lunghi e un passato da contrabbandiere di marjuana con aerei da turismo che gli era costato negli anni Ottanta sedici mesi di carcere negli Stati Uniti. Il suo nome era Robert Piché.

Piché aveva appena pilotato per 120 km a motori spenti un aereo intercontinentale con 306 persone a bordo. Un record mai battuto su un aereo del genere, e con manovre non previste nemmeno in simulatore. Il carburante, disperso da un tubo sbagliato montato in uno dei motori, si era esaurito all’alba sopra l’oceano Atlantico. A bordo si erano spente tutte le luci e tutte le apparecchiature elettriche tranne gli strumenti minimi per la navigazione e il controllo dell’aereo. Gli assistenti di volo avevano preparato i passeggeri a un ammaraggio senza dire quel che molti intuivano: sarebbe stato potenzialmente letale.

Per 20 minuti i passeggeri hanno assaporato la fine.


La terraferma nel porto di Praia a Graciosa è stata una liberazione. Era ormai tardo pomeriggio, il vento incalzava. Era così bello avere i piedi sul suolo che anziché prendere un taxi ci siamo inerpicati per chilometri sulla strada alta sul mare verso il capoluogo Santa Cruz, tra costruzioni rurali e un paesaggio curiosamente simile a torbiere scozzesi o irlandesi. Il caldo dell’estate continentale sembrava lontanissimo, eppure proprio in quei giorni gl’incendi divampavano nei dintorni di Lisbona, mentre in Italia il governo Draghi si preparava a soccombere alle successive elezioni anticipate.

Passato un valico e percorso un lungo rettilineo in discesa, finalmente si vedevano da lontano le prime case di Santa Cruz, mentre alla nostra destra sfilava una rada zona industriale in cui si notava un capannone più grosso degli altri con una scritta: Central da baterias, Graciolica. Poco dietro, all’interno dello stesso recinto, un parco fotovoltaico.

L’Azores Glider sarebbe potuto arrivare con un motore funzionante da Toronto all’arcipelago portoghese malgrado la perdita di carburante, se solo Piché e il suo giovane copilota avessero seguito le procedure corrette dopo che gli strumenti di bordo molto prima dell’alba li avevano avvertiti del consumo anomalo. Avrebbero potuto spegnere il motore con la perdita e far passare il carburante residuo nell’ala senza perdita. Invece hanno fatto il contrario: per bilanciare i pesi hanno spinto il carburante verso il buco, fino a trovarsi completamente a secco sopra l’oceano.

Senza la spinta dei motori si è fermata anche la pressurizzazione della cabina. Sono scese le maschere per l’ossigeno mentre Piché iniziava la discesa in planata. L’unica fornitura elettrica residua del bestione intercontinentale era affidata a un piccolo generatore eolico d’emergenza sotto alla carlinga, sceso automaticamente per forza di gravità.

La mattina dopo l’arrivo a Santa Cruz mia figlia e io abbiamo preso due bici a noleggio per esplorare l’isola. Un’ora più tardi, alla fine di un ripidissimo strappo di salita, eravamo sul punto più alto di Graciosa tra aerogeneratori in funzione. Un sentiero faceva il periplo di un antico cratere vulcanico. Ma il vulcano attivo dell’isola è la caldeira do Enxofre, più a Ovest, dove in una grande grotta echeggiano bolle di fanghi sulfurei.

Le indagini dopo l’incidente AirTransat 236 hanno acclarato che il potenziale disastro è stato causato prima da un errore di manutenzione e poi dalla reazione sbagliata dei piloti alla perdita di carburante. Questo non ha impedito a Robert Piché di essere da allora considerato un eroe, di ricevere un premio dall’associazione internazionale dei piloti e di iniziare una carriera parallela di conferenziere. Il giorno del suo ultimo volo prima della pensione ancora i passeggeri gli chiedevano selfie e autografi. Che cosa strana la vita, ha detto in un’intervista: un giorno finisci in galera, un altro temi di morire e dopo un’ora ti chiamano eroe. Su di lui, oltre a decine di video di ricostruzione dell’incidente più o meno accurati, è stato prodotto un film biografico (Piché entre ciel et terre, disponibile su YouTube nella versione originale in québécois).

Nel 2018 la società energetica Graciolica ha ordinato a Wartzila e altre aziende tecnologiche le macchine per creare a Graciosa un sistema di generazione elettrica e batterie in grado di funzionare al 100% con fonti rinnovabili.

All’inizio del 2020 la nuova configurazione ha iniziato a ridurre le ore di attivazione dei vecchi generatori diesel. Nel novembre dello stesso anno l’intera isola ha funzionato per 150 ore consecutive al 100% con eolico e fotovoltaico.

Chissà se l’Azores Glider è ancora intero, a parte i motori e gli strumenti più preziosi che saranno stati subito cannibalizzati. Le sue capacità di volare a vela come fosse un aliante di pochi quintali, testate per la prima volta da Piché per salvare la vita sua e dei passeggeri, hanno contribuito al prestigio di Airbus, oggi di gran lunga il più grande produttore di aerei civili al mondo e un caso di successo di un’azienda globale pianificata e incubata dall’Unione Europea. La sua divisione ZeroE dal 2020 sviluppa soluzioni per aerei a zero emissioni dannose con celle a combustibile e motori elettrici, o con turbine direttamente alimentate a idrogeno.

Il villaggio di Santa Cruz a Graciosa è fresco anche a luglio, spazzato dal vento dell’Atlantico. Non è il posto giusto per imparare il portoghese a causa del dialetto che si mangia ancora più vocali che nel continente. Trovare una bici senza la catena corrosa dalla salsedine è difficile. Nel piccolo porto di pescatori hanno tirato su un muro bianco in alcuni punti, credo per difendersi dalle mareggiate che il nuovo clima sta rendendo più aggressive. Ma a Graciosa, riguardo al clima, non si limitano all’adattamento.

martedì 20 maggio 2025

Il ponte sul Topino (Puntata 672 in onda il 20/5/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi.
Chi è Paolo Ghelfi?
Questa puntata si può ascoltare qui.

Pontecentesimo. Sapete dov’è? È una frazione di Foligno, provincia di Perugia, città certo meno turistica (e più grande) rispetto alle vicinissime Assisi e Trevi, ma interessante anche per i tanti canali che la raffrescano. Acqua che arriva anche dal fiume Topino che dà il nome alla valle a NE della città dove passano la via Flaminia (sia nel tracciato romano che nella versione superstradale) e la ferrovia per Ancona di cui Derrick si è occupato più volte. Una valle fresca e lussureggiante dove l’acqua è anche nel nome di Capodacqua, con la sua stazione ferroviaria ormai chiusa come quella di Valtopina. (Di stazioni che chiudono o rischiano di farlo ho parlato a Derrick riguardo a Colli di Monte Bove - link sotto).

Pontecentesimo, dunque, è una delle prime località che s’incontrano imboccando la val Topina poco fuori Foligno.

Se siete lì o più a nord nella valle e avete una bici, o siete a piedi, e appartenete a quel piccolo novero di privilegiati dotati di arti inferiori e di capacità deambulatoria, sappiate che a Foligno con l’energia muscolare non potete arrivarci, salvo abbandonare lungamente la valle con centinaia di metri di dislivello nella zona di Ravignano.

Perché non si può andare dalla Valtopina a Foligno in bici o a piedi? Perché, seppure per solo un chilometro, la vecchia Flaminia converge nella superstrada vietata a bici e pedoni. E non ci sono alternative in quel breve collo di bottiglia. Nemmeno sentieri.

Il cancello tra il ponte abbandonato e
la superstrada Flaminia,
dove c'era lo svincolo di ingresso.
Fino ad alcuni anni fa il tratto di superstrada obbligatoria era di soli 150 metri, grazie a un ingresso dalla via Flaminia Nord di Foligno adiacente a un ponte sul Topino. Un ponte che da almeno cinque anni è in rovina e ospita una modesta discarica informale. È piegato trasversalmente forse per uno smottamento e forse è pericoloso per il flusso del fiume se dovesse cedere e ostruirlo in caso di piena. L’ingresso sulla superstrada (che probabilmente era pericoloso in assenza di corsie di accelerazione) è stato chiuso e al suo posto c’è un cancello, apribile fino a qualche tempo fa e poi bloccato da una catena. Poco dopo il ponte, allontanandosi dalla superstrada, c’era un passaggio a livello sulla ferrovia, oggi letteralmente murato (inglobando le barriere mobili nel muro con un inquietante effetto-Pompei).

Per curiosità sono andato a vedere le immagini satellitari e da terra di Google dove il ponte, l’ingresso in superstrada e il passaggio a livello sono ancora aperti.

Bene. La mia opinione è che la messa in sicurezza o l’aggiornamento di una superstrada non possa implicare l’istituzione di una barriera bloccante per le forme di movimento inadatte alla superstrada. Se mai, si affianca la sede stradale a corsie protette per pedoni e ciclisti, o si degrada quel tratto eliminando le esclusioni e imponendo agli automobilisti di rallentare.

Chi va in bici sa quanto spesso occorre violare barriere o divieti per muoversi in un paese dove la progettazione viaria molto spesso dimentica il traffico non automobilistico e ne diventa un impedimento.

Se pensate che questa puntata sia un invito a scavalcare (più facile passare sotto se siete abbastanza smilzi) il cancello sul Topino e avventurarvi sul ponte storto per poter continuare a percorrere in bici o a piedi la bellissima val Topina da o verso Foligno minimizzando la superstrada, la mia reazione è: no comment.


Link

martedì 13 maggio 2025

Lo spegnone (o apagón parte II) (Puntata 671 in onda il 13/5/25)

La precedente puntata sullo spegnone in Spagna è qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

Questa puntata si può ascoltare qui.

Ho deciso che sostituirò il termine “blackout”, almeno in riferimento a quello iberico del 28 aprile 2025, con “spegnone”, che ho introdotto nella scorsa puntata. Del resto se Fiat auto inventò il neologismo “comodosa” in riferimento alla Regata, tre volumi per famiglie erede della 131 lanciata negli anni ’80, perché non può Derrick introdurne uno, spero, altrettanto intuitivo?

E dunque, continuano le conclusioni massimaliste tratte da chi commenta lo spegnone. Per esempio che occorre nazionalizzare il gestore della rete elettrica (che in Spagna come da noi è un’azienda di diritto privato, ma concessionaria di un servizio regolato) o all’opposto che lo spegnone è stata colpa di cattiva politica o regolazione.

Che il gestore della rete spagnola abbia fallito nel farla funzionare correttamente, come ha scritto Carlo Stagnaro, mi sembra la conclusione meno controvertibile.

Abbiamo già visto che ci vorrà un po’ per sapere tecnicamente cosa è andato storto, ma la speranza che prima o poi ciò avvenga è alimentata dal fatto che anche un’istituzione europea, l’ACER, agenzia di coordinamento delle autorità indipendenti dell’energia, parteciperà alle indagini, così come l’organo di coordinamento dei gestori delle reti elettriche ENTSO-E.

Ricapitoliamo quali caratteristiche ha il sistema elettrico iberico: molte fonti rinnovabili, in particolare eolico, un prezzo dell’elettricità che è passato in sette anni da essere tra i più alti al più competitivo d’Europa, come ha ricordato il premier Sanchez pochi giorni dopo lo spegnone, tanto da attrarre investimenti in settori ad alta intensità di fabbisogno elettrico come i datacentre e da ottenere una crescita economica più che doppia della media europea negli ultimi due anni.

In termini di interconnessioni con i paesi limitrofi, Spagna e Portogallo da un lato sono dotate dell’unico collegamento transmediterraneo d’Europa, perdipiù sincrono, con il Marocco, dall’altro sono scarsamente interconnessi con il resto d’Europa. (Su cosa s’intenda per “sincrono” invito a consultare la pagina di introduzione per non tecnici al funzionamento delle reti elettriche in corrente alternata - link sotto).

Questa scarsa interconnessione ha significato che la capacità della rete europea di sostenere quella spagnola in difficoltà fosse ridotta, e quando gli interruttori con la Francia si sono aperti la penisola si è trovata sola nel suo destino. (Interessante che il gestore della rete francese si sia affrettato ad affermare che il distacco non si è configurato come una mancanza di supporto della rete francese). E il distacco di una centrale nucleare sempre in Francia nei momenti della crisi anch’esso viene citato da molti osservatori.

La Spagna curiosamente ha visto negli ultimi anni un rallentamento dell’installazione di batterie elettriche. Se è vero che il sistema iberico partiva da valori elevati di disponibilità di batterie, è anche vero, come ha scritto GB Zorzoli su Staffetta Quotidiana, che la disponibilità complessiva di accumuli iberici non sembra tenere il passo delle fonti rinnovabili a maggior ragione se consideriamo il relativo isolamento del sistema. Un articolo di José Roca dal Periodico de la energia (link sotto) nota che la nuova capacità di batterie è in calo da tre anni in Spagna mentre a livello europeo la corsa è rallentata solo nel 2024, anno che comunque ha visto aumentare la capacità continentale di un altro 15%.

Ma proprio lo spegnone potrebbe dare una sveglia al mercato iberico degli accumuli, anche quelli domestici. Sempre nel Periodico de la energia (link sotto) leggo di un aumento repentino delle richieste di sistemi che siano in grado non solo di autoprodurre e conservare l’energia, ma anche di staccarsi dalla rete in caso di blackout, per non esserne coinvolti.

Se è vero che sempre più il bilanciamento delle reti si fa anche con risorse distribuite, lo shock dello spegnone potrebbe accelerare la tendenza.


Link

martedì 6 maggio 2025

Apagón (Puntata 670 in onda il 6/5/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi
(Dopo che Copilot ci ha delusi
con un precedente tentativo)

La risposta è no: non mi avventurerò in speculazioni sulle cause del blackout spagnolo prima di vedere un rapporto dettagliato  - quand’anche provvisorio – del gestore della rete spagnola o di una delle autorità rilevanti. Voglio però commentare la bellezza del termine spagnolo per blackout: apagón, che viene da apagar (spegnere). La trasposizione letterale in italiano potrebbe essere “spegnone”. Invece noi tristemente usiamo l’anglosassone blackout anche perché l’algido termine “disalimentazione” che usano i gestori delle reti è assai poco evocativo.

Come in tutti i settori che di colpo diventano popolari per un evento, un sacco di gente sta commentando a sproposito. Per differenziarsi e contribuire in senso opposto, questo blog ha inaugurato una nuova pagina (link sotto) con una breve descrizione per non tecnici di come funziona una rete elettrica e sarò felice di ricevere commenti e critiche in materia.

Segnalo poi un eccellente articolo in materia di Luigi Moccia nel suo blog dal nome calviniano Mappe di città invisibili. L’articolo si chiama Le bufale sul blackout spagnolo (link sotto). (Moccia cercherò di corteggiarlo per portarlo in voce prima o poi qui a Derrick).

Può però essere utile impostare la questione e parlare delle caratteristiche del sistema elettrico spagnolo, tra i più avanzati d’Europa per uso di energie rinnovabili e per conseguente riduzione del prezzo dell’energia, il che sta contribuendo a far crescere il paese ben più del resto d’Europa. (Ma attenzione: perfino in Italia dove le rinnovabili coprono ancora in media meno della metà del fabbisogno di energia, ci sono momenti, come il primo pomeriggio dello scorso primo maggio, il cui quasi tutta è da fonti rinnovabili).

Abbiamo su questo con un accademico (ne stiamo avendo diversi ospiti a Derrick ultimamente): Fulvio Fontini, ordinario di Economia applicata all’Università del Salento, già membro della commissione PNRR-PNIEC, autore di molte pubblicazioni in tema energia compreso, insieme ad Anna Cretì, Economics of Electricity, manuale di riferimento nei corsi avanzati di economia dell’elettricità.

Sentiamolo qui.

Grazie Fulvio Fontini, speriamo di riaverlo ancora su questo tema.


Link


martedì 29 aprile 2025

Resistenza (Puntata 669 in onda il 29/4/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Scrivo questa puntata il 25 aprile, ogni tanto disturbato dagli elicotteri di ronda per la protezione della città durante la convergenza dei VIP per i funerali del Papa. E di resistenza, anche se non quella con la “r” maiuscola che festeggiamo oggi, voglio parlare partendo dallo scontro tra gli atenei statunitensi e il Governo locale che ora subordina i fondi pubblici a forme di rinuncia alla libertà di ricerca o di espressione.

L’Economist in uno degli articoli in materia ha spiegato perché è molto difficile per gli atenei riorganizzarsi per sopperire di colpo alla mancanza di fondi pubblici anche quando questi non costituiscono la maggioranza degli introiti. Non ho motivo di dubitarne. Ma non penso che un direttore d’ateneo per questo dovrebbe rinunciare a difendere la libertà accademica. Così come penso che un dirigente d’azienda abbia la responsabilità di non assecondare una decisione dell’amministratore delegato che ritenga dannosa per l’azienda stessa o incompatibile con le sue regole, a costo di dimettersi (esito che ho visto molto di rado nelle organizzazioni in cui ho lavorato). E così un ministro rispetto al primo ministro, un funzionario, pubblico e non, rispetto alla sua direttrice, e giù fino a coprire qualunque ruolo.

Molti definiscono Trump un bullo, che rende in effetti l’idea di qualcuno che usa tutte, e forse più, le proprie prerogative per obiettivi non solo apparentemente irrazionali, erratici, ma talvolta anche persecutori. Come dovremmo definire un civil servant che asseconda Trump nell’ambito dei propri poteri solo per non rischiare il posto? Osservante? Leale? O invece, al contrario, inosservante del proprio ruolo.

Quel che sto cercando di dire è che forse l’anticorpo ai potenti bulli, perlomeno in un contesto di pace, sono i cittadini disposti a loro volta a usare tutte, e anche più, le proprie prerogative. Non limitandosi alle urne, perché non bastano le urne a conservare né la libertà né uno stato di diritto, lo vediamo in molti casi.

Nessun dittatore potrebbe andare avanti in caso di ammutinamento collettivo. Ma un ammutinamento non avviene se nessuno lo inizia rischiando la propria incolumità professionale o altro. E se non nasce questa resistenza, potrebbe nascere una dittatura.

Ora, aldilà dei miei afflati, la questione degli atenei statunitensi merita un minimo di approfondimento e sono contento di avere ai microfoni di Derrick Mario Macis, economista professore alla Johns Hopkins University di Washington che del tema ha scritto il 17 aprile su La Nuova Sardegna. Sentiamolo qui.

Grazie a Mario Macis che potete leggere anche nelle pagine de Lavoce.info e di ECO, il mensile di economia di Tito Boeri.

Link

domenica 20 aprile 2025

Rigidità del nucleare francese (Puntata 668 in onda il 22/4/25)

Illustrazione di Copilot
Questa puntata si può ascoltare qui.

Sylvain Rommel è il direttore commerciale di RTE, il gestore della rete di trasmissione elettrica francese.

L’11 aprile 2025 ha scritto una lettera piuttosto cerimoniosa e tuttavia urgente in cui chiede agli operatori che forniscono servizi di bilanciamento di anticipare le loro previsioni in modo da aver più margini per gestire in sicurezza la rete elettrica francese in un contesto di eccesso di produzione.

Ne hanno parlato Ugo Petruzzi su Révolution énergétique e anche Staffetta Quotidiana in un articolo non firmato che ha anche pubblicato la lettera di Rommel.

Ma com’è questa storia che l’eccesso di produzione è un problema? E non si può semplicemente produrre un po’ meno?

Il fatto è che nella generazione elettrica non tutti gli impianti hanno lo stesso livello di programmabilità e di flessibilità.

Le fonti che mostrano negli ultimi anni un boom in buona parte del mondo, in particolare Cina ed Europa, sono il fotovoltaico e l’eolico, molto competitivi ma non programmabili. Siccome hanno costi variabili bassissimi perché non gli serve combustibile, conviene farli funzionare ogni volta che ci sono sole e vento. Il resto del fabbisogno invece deve venire (in misura sempre maggiore man mano che la quota di rinnovabili aumenta) da impianti flessibili che possano modulare la produzione per essere complementari alle rinnovabili. In altri termini: quando ho energia senza costi la uso, e il resto lo faccio con impianti che usano il combustibile. Sempreché questi ultimi possano ridurre la produzione con la prontezza e nelle quantità necessarie.

Se non sono in grado di farlo, occorre ricorrere agli accumuli (per esempio riempire i bacini idroelettrici o caricare batterie) o convincere qualche cliente a consumare di più cedendogli l’energia a un prezzo particolarmente conveniente.

Quest’ultima cosa è successa proprio nei giorni scorsi in una zona dell’Olanda, dove sperimentalmente si è offerta energia gratis ai clienti in modo che i loro maggiori consumi equilibrassero un sistema con molto eolico, fotovoltaico e idroelettrico non programmabile.

Ma la Francia non ha una penetrazione di fonti rinnovabili tale da servire tutta la domanda nemmeno in ore con grande disponibilità di sole e vento, dunque perché semplicemente non riduce la potenza degli altri impianti?

Gli ascoltatori assidui di Derrick la risposta la sanno già: perché il nucleare non è adatto a modulare la sua potenza quanto lo sono invece, per esempio, gli impianti a gas. Così la Francia si trova in difficoltà a bilanciare la rete malgrado la grande capacità di esportazione del sovrappiù produttivo che le interconnessioni europee le permettono.

Più saranno le rinnovabili in Francia e in Europa, più sarà un problema per la Francia gestire la rigidità della produzione nucleare, a meno che non si doti di quantità di stoccaggio in misura proibitiva rispetto ai paesi senza o con poco nucleare, cioè pressoché tutti gli altri.

Dei tanti, il più grosso punto debole delle nuove velleità nucleari italiane è proprio la scarsa capacità di convivenza tra nucleare e rinnovabili non programmabili (l’esatto contrario di quanto ripetono periodicamente anche alcuni ministri), che per essere risolta richiederebbe un ulteriore ricorso agli stoccaggi oltre a quelli già necessari per le rinnovabili, oppure grandi flessibilità da parte di consumatori di elettricità o calore. Cose i cui costi si aggiungerebbero a quelli già proibitivi del nuovo nucleare.

Link:

martedì 15 aprile 2025

Efficientamento e autoproduzione domestica a Torino (Puntata 667 in onda il 15/4/25)

Illustrazione di Copilot



Una puntata con intervista telefonica a Silvia Bodoardo, professoressa torinese, e suo marito Mauro Rajteri su un caso di efficientamento e autoproduzione energetica domestica da fotovoltaico.

Ascoltabile qui.

domenica 6 aprile 2025

Dazi al gas di Trump? (Puntata 666 in onda l'8/4/25)

Illustrazione di Copilot
(che spiega la scritta "tatirri"
come un errore)
 

Questa puntata si può ascoltare qui.

Facciamo il punto sul mercato europeo e italiano del gas naturale approfittando di un eccellente articolo di Bruegel a firma Keliauskaité, Tagliapietra, Zachmann uscito il 2 aprile 2024 il cui link metto qui sotto.

Nel 2024 rispetto all’inizio della guerra l’Europa ha ridotto a 1/3 le importazioni di gas russo, malgrado l’aumento notevole di quelle via nave. Queste ultime peraltro sono le uniche in cui l’UE abbia introdotto un qualche tipo di sanzione, vietando da qualche tempo il transhipping di questo gas, cioè la possibilità di reinstradarlo verso mercati terzi. Questa limitazione riduce le possibilità della russa Gazprom di raggiungere mercati dell’Est non sufficientemente interconnessi da gasdotti in partenza dalla Siberia, e quindi dovrebbe essere un altro colpo ai bilanci già devastati di Gazprom.

Un’altra azione europea è stata all’inizio di quest’anno il non rinnovo dell’accordo di transito di gas russo sui gasdotti ucraini.

Tutto sommato un atteggiamento molto cauto da parte dell’Europa, sebbene (ma col senno di poi è facile dirlo) i numeri mostrino che l’abbondanza di infrastrutture e il calo dei consumi rispetto all’inizio della guerra avrebbero permesso di essere più duri con il gas russo senza aspettare, come di fatto è avvenuto, che fosse Mosca a chiudere perlopiù i rubinetti.

L’introduzione di sanzioni sul gas russo via tubo, tra l‘altro, come scrive Bruegel, aiuterebbe gli importatori europei a terminare unilateralmente contratti d’importazione di lungo termine con meno rischi di penali negli arbitrati che ne gestiscono le controversie.

Ma secondo Bruegel c’è un’alternativa più furba al bandire il gas russo o al limitarne le quantità con quote. E sono i dazi, un tema parecchio di moda recentemente.

I dazi non colpiscono solo l’esportatore, ma anche il consumatore del Paese che li impone, che perde una fonte competitiva di un bene. E il bilanciamento tra i due dipende dalle alternative di chi compra e di chi vende, e dai costi di chi vende. Se un esportatore non ha margini per abbassare il suo prezzo o ha alternative altrettanto remunerative per piazzare la merce, l’importatore del Paese che ha messo i dazi, se vuole ancora consumare quel bene importato, dovrà pagare un prezzo aggravato di gran parte del dazio. Ma se l’esportatore non ha validi mercati alternativi e ha ampi margini sui costi vivi di produzione, allora verosimilmente abbasserà lui il suo prezzo per difendere la quota di mercato. Secondo Bruegel, la Russia è in questa condizione per l’export di gas – soprattutto via tubo – in Europa, e quindi imporre tariffe potrebbe essere un’ottima sanzione, producendo un gettito per l’Europa senza rinunciare subito a gran parte della fornitura e senza aumentarne troppo il prezzo.

La riflessione che aggiungo io è: potremmo fare lo stesso con il gas liquefatto americano per rispondere ai dazi di Trump? Vediamo: negli USA il prezzo interno del gas è una frazione di quello eurasiatico, e il principale mercato alternativo, la Cina, ha addirittura rinunciato ad approvvigionarsi dagli USA.

Quindi ci sono margini per abbassare il prezzo e criticità nel trovare mercati alternativi. Di conseguenza sì: dazi sul gas di Trump potrebbero essere un’ottima idea. O almeno una minaccia efficace e credibile che l’imbarazzata Meloni - a nome dell'Europa - potrebbe usare per ritrovare un po’ della sua sicurezza nei rapporti con gli USA.

Link:

lunedì 31 marzo 2025

Il doge (Puntata 665 in onda l'1/4/2025)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Oggi mi prendo un po’ di libertà rispetto all’argomento e torniamo a uno già affrontato qui in almeno un paio di puntate: Elon Musk, di cui abbiamo parlato come imprenditore e riguardo alle sue capacità di imporre svolte notevoli ai settori di cui si occupa. L’Economist ne ha fatto qualche mese fa una copertina in cui lo definiva se non sbaglio il grande “disruptor”, parola che forse non ha una traduzione esatta e la più vicina che mi viene in mente, ma suona più debole di quella inglese, è innovatore. Ma si potrebbe dire pure: demolitore in senso anche positivo, demolitore di ciò che c’è al fine di costruire, si spera, velocemente e radicalmente qualcosa di nuovo.

Ci focalizziamo sul Musk capo di fatto (ma non formalmente, e questo è inquietante) dell’agenzia per l‘efficientamento della pubblica amministrazione statunitense (DOGE). Agenzia che con un manipolo di fedelissimi a Musk sta lavorando in modo a dir poco aggressivo, con vere e proprie invasioni, a volte addirittura effrazioni fisiche o informatiche, nei vari dipartimenti o agenzie pubbliche per scoperchiarne le attività e dismettere quelle che il DOGE ritiene costi inutili. In altri casi l’invasione è stata con mail mandate a milioni di dipendenti pubblici con proposta di un piano di dimissioni oppure con la richiesta di spiegare in breve su cosa il ricettore della mail stesse lavorando negli ultimi tempi.

Bene, sapete una cosa? Se io diventassi CEO di un’azienda in effetti chiederei a tutti su cosa stanno lavorando, e lo chiederei in termini sintetici come ha fatto il DOGE. Se penso alla mia lunga esperienza di lavoro in aziende e organizzazioni molto diverse ho imparato che inevitabilmente, soprattutto quando un rapporto di lavoro è percepito come di lungo termine, chi lavora cerca di costruire attorno a sé una barriera rispetto al rischio di perdere le proprie prerogative o le proprie leve di potere, piccole o grandi che siano. Talvolta anche miserabili, ma sufficienti a perpetuare l’apparente necessità di una funzione. Quante volte ci è stato chiesto di riempire moduli con dati che altri pezzi dell’organizzazione che ce li stava chiedendo avevano già? Quante volte ho visto dipendenti, magari io stesso, scrivere note informative su qualcosa, da fornire al superiore di turno o all’ufficio adiacente, che non se ne sarebbero forse fatti nulla? E quante di queste note in ogni caso potrebbero essere scritte dall’intelligenza artificiale, che tra le prime cose che ha imparato è l’arte dei luoghi comuni né più né meno di tanti impiegati che non vogliono grane?

O invece: quante volte abbiamo visto mandare via gente per scarsa produttività? Nella mia esperienza: poche. Mentre ho visto tanti mandati via perché davano fastidio, perché volevano esercitare davvero le responsabilità che in teoria gli spettavano, anziché assecondare il potente della cordata.

Il modo migliore per farsi assumere non è fare un colloquio stupefacente, tutt’altro: è farne uno rassicurante.

Quel che ho imparato del mondo del lavoro è che una buona parte delle cose che si fanno è una rappresentazione che serve a giustificare il proprio stipendio. Poi capita anche di produrre vero valore aggiunto, ma non è la norma e addirittura può creare problemi a chi lo fa, perché per essere produttivi serve rischiare, in un modo o nell’altro.

Ma allora un’azienda o uno Stato con deficit spaventosi come possono rendersi più efficienti in termini di macchina amministrativa? Non certo chiedendo ai vari capi quali delle unità da loro guidate in realtà non servono o sono anzi dannose. Difficilmente funziona. Né è facile misurare in modo convincente il contributo di singole parti di un organismo. Ma nemmeno fare tagli proporzionali ai budget ha senso.

E quindi? E quindi non lo so. Ma penso che occorra ogni tanto un po’ di rimescolamento di carte, di distruzione delle aree di comfort perché possa rinascere qualcosa di più agile, innovativo, efficiente. E questo ha anche a che fare con la mobilità sociale, che penso sia un ingrediente importante sia della crescita economica sia della tenuta delle democrazie.

Dare un futuro alle persone non significa necessariamente garantire quello dei pezzi di organizzazioni in cui lavorano.

Tutte le puntate di Derrick su Elon Musk qui.

lunedì 24 marzo 2025

Debito nucleare francese (Puntata 664 in onda il 25/3/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Torniamo a parlare di energia nucleare, su cui questo blog ospita una sezione dedicata ricca di fonti qui.

Sappiamo che la Francia è uno dei paesi al mondo che usa di più l’atomo per fare elettricità e sappiamo che l’età media avanzata delle sue centrali avvicina per il Paese la questione difficile di come finanziare lo smantellamento degli impianti da chiudere e la costruzione dei nuovi che Macron ha annunciato.

Come sono stati pagati e a quale prezzo viene venduta l’energia degli impianti oggi in servizio in Francia?

Sono stati pagati dallo Stato con le tasse dei francesi. Il che rende poco sensato misurare l’economicità della macchina energetica francese guardando il solo prezzo locale di mercato dell’energia. Coerentemente, la Francia ha un programma chiamato ARENH (Accès Régulé a l’Èléctricitè Nucléaire Historique) nell’ambito del quale Électricité de France cede circa un quarto dell’elettricità delle sue centrali nucleari agli altri fornitori di energia a un prezzo politico che attualmente è poco più di 40 €/MWh, un prezzo più basso di quello medio di mercato all’ingrosso del Paese degli ultimi tempi, prezzo peraltro molto volatile che nel giorno in cui scrivo (22 marzo 2025) è di soli 30 € contro i 120 in Italia.

Cosa emerge? Che la Francia ha effettivamente prezzi (non costi) bassi dell’energia perché le centrali storiche, il cui grosso dei costi fissi è stato ammortizzato, sono state pagate non coll’attuale prezzo dell’energia, che anzi come abbiamo visto è tenuto artificialmente basso dall’ARENH, ma con le tasse pregresse dei francesi.

Ma cosa c’è da aspettarsi per il futuro? Per le nuove centrali e siti di trattamento di combustibile e scorie necessari il Governo d’oltralpe ha lanciato un piano pubblico di finanziamento dell’investimento necessario che secondo il sito Énérgies Rénouvables pour Tous (link sotto) costerà tra i 50 e gli 80 miliardi di € al contribuente.

In aggiunta a questo costo, il Governo prevede che la costruzione delle centrali sia resa economicamente fattibile per gli investitori privati dalla garanzia pubblica di acquisto di lungo termine dell’energia prodotta a 100 €/MWh, meccanismo simile a quello che ha permesso la costruzione – sempre da parte del gruppo EdF - del nuovo reattore inglese di Hinkley Point. Prezzo che secondo la fonte già citata si alza virtualmente a 160 tenendo conto del finanziamento pubblico di cui dicevo sopra.

Una riflessione che per qualche motivo non sento mai è: se l’obiettivo è fare un prezzo politico basso dell’energia, come nel programma ARENH, dove sta scritto che occorra anche farsi male in Italia producendola a costo più alto rispetto alle alternative disponibili? Se proprio si deve socializzare il prezzo dell’energia – cosa che a me non piace affatto visto che consumo e pago poco – almeno si evitino investimenti pubblici folli aumentando ulteriormente la bolletta fiscale. Così, quando sento gli entusiasmi confindustriali per l’avventura nucleare italiana mi chiedo da dove arrivi per Confindustria l’interesse, oltre che a chiedere un prezzo politico basso per gli energivori, anche ad aumentare il costo della macchina energetica nazionale.


Link

martedì 18 marzo 2025

Quali reti energia e a che costo? (Puntata 663 in onda il 18/3/25)

Schema di trasformatore elettrico. Da qui
Questa puntata si può ascoltare qui.

La scorsa settimana Riccardo Zucconi, parlamentare di Fratelli d’Italia, ha lanciato un allarme piuttosto rilevante di cui ho appreso da articoli su Quotidiano Energia e Staffetta Quotidiana. Zucconi nota che il collegio dell’ARERA, l’Autorità indipendente per energia e altro, sta per mettere mano a uno dei componenti con cui viene calcolato il costo del capitale sulla base del quale è stabilita la remunerazione delle reti dell’energia elettrica e del gas. La modifica comporterebbe un aumento con effetti rilevanti nelle bollette in una fase in cui i tassi di interesse di mercato (determinante fondamentale del costo del capitale investito nelle reti) sono in discesa stabile da una decina di mesi. Secondo Zucconi, la modifica in arrivo vanificherebbe questo calo. Il costo del capitale riconosciuto oggi in Italia ai gestori delle reti energia (al netto del possibile aumento) va dal 5,5% circa fino a oltre il 6,5% a seconda del tipo di cespite, mentre è impressionante notare che in Svizzera l’Autorità locale si ferma ben due punti più in basso, circa un terzo in meno.

Zucconi fa anche notare che la decisione verrebbe presa da ARERA proprio mentre si avvicina la scadenza del mandato del suo collegio, di cui si attende il rinnovo per l’estate o subito dopo in caso di proroga. E anche questo è rilevante.

Ma quanto contano i costi delle reti nelle bollette? Sempre di più, perché sempre di più con le fonti rinnovabili l’energia costa poco generarla ma di più trasmetterla in sicurezza limitando il più possibile che la rete diventi un collo di bottiglia per produzioni meno prevedibili. Per una bolletta elettricadomestica con consumi attorno ai 100 kWh/mese e una potenza installata in grado di reggere pompe di calore o elettrodomestici impegnativi, i costi di rete equivalgono oggi a quelli della materia prima energia. Non si tratta quindi di un valore irrilevante.

Ha certamente ragione quindi Zucconi a essere vigile e critico: perché da noi il capitale investito nelle reti energia è così ben remunerato?. E la domanda è da porsi a maggior ragione quando la politica ha deciso scandalosamente, con un blitz nell’ultima legge di bilancio, di rinnovare senza gara le concessioni di distribuzione elettrica, cioè il diritto degli attuali monopolisti delle reti cittadine, a continuare a operare senza gara. Rendite alte, quindi, e nessuna contendibilità.

C’è anche questo dietro al caro bollette, e le decisioni sembrano andare verso un loro aumento ulteriore.

Le cose si complicano, e richiedono discernimento, quando ci chiediamo quali investimenti vengano remunerati. Se nel caso dell’elettricità è unanime il riconoscimento che soprattutto a livello di bassa tensione serva un grande adeguamento della rete per assecondare l’elettrificazione dei consumi, per quanto riguarda il gas la costruzione di nuove infrastrutture, sia a livello di dorsali sia di reti locali, sta profilando un colossale sovrainvestimento che renderà le bollette o le tasse ulteriormente alte – e su questo a Derrick abbiamo citato vari esperti in puntate anche recenti.

martedì 11 marzo 2025

Decreto bollette (Puntata 662 in onda l'11/3/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

I prezzi del petrolio e del gas sono scesi rispetto ai valori della prima decade di febbraio [2025]. Riguardo ai prezzi gas a termine, probabilmente una ragione è che sembra sempre meno un tabù la prospettiva di una ripresa delle importazioni europee via tubo dall’Ucraina, che spiazzerebbe il più costoso gas via nave in particolare dagli USA proprio mentre l’amministrazione Trump pianifica di aumentarne la capacità.

I tempi della politica però sono più lenti di quelli dei mercati spot, e questa settimana il Parlamento italiano inizia le audizioni in vista della conversione in legge del decreto di contenimento delle bollette, che abbiamo menzionato solo en passant la scorsa settimana.

Gli elementi principali della misura sono:

Introduzione di un bonus di 200 € per tutti i clienti domestici di elettricità con ISEE inferiore a 25.000 €, che si aggiunge al bonus energia già in vigore per clienti con ISEE più basso.

Si tratta di una soluzione ben disegnata, perché così come il bonus a cui si aggiunge non è indiscriminata né disincentiva all’efficienza nei consumi, visto che i soldi arrivano anche se si consuma meno.

Introduzione per Acquirente Unico della possibilità di approvvigionarsi di energia anche con contratti bilaterali e non solo sulla borsa elettrica.

Acquirente Unico è un broker pubblico di elettricità che la compra all’ingrosso per rifornire oggi i clienti cosiddetti vulnerabili, che continuano ad aver diritto a una tariffa a condizioni standard paradossalmente più soggetta alle fluttuazioni di prezzo rispetto a buona parte delle offerte sul mercato libero. Questa norma appunto mira a rendere possibile la fissazione di prezzi meno volatili anche per i clienti vulnerabili. Se può sembrare una buona idea, in realtà ci sono ottime ragioni per cui il legislatore aveva invece deciso l’opposto anni fa, imponendo ad Acquirente Unico di acquistare solo sulla borsa elettrica, che è un mercato regolato e trasparente per costruzione. Ragioni volte ad evitare comportamenti arbitrari da pare di un’azienda pubblica nel negoziare bilateralmente condizioni che potrebbero rivelarsi sfavorevoli in caso di prezzi di borsa in discesa successivi alla stipula dell’accordo.

Azzeramento per 6 mesi per i consumatori non domestici di dimensioni rilevanti (potenza maggiore di 14,5 kW) della principale componente regolata delle bollette elettriche.

Qui da un lato per una volta si interviene a favore di una categoria (i clienti business non energivori) che è tra le più maltrattate del sistema regolato delle bollette, bene quindi, dall’altro lo si fa senza introdurre alcun incentivo all’efficienza dei consumi, il che è male.

Un sistema – da stabilire con norme successive – di restituzione a “famiglie e microimprese vulnerabili” del maggiore gettito IVA legato all’aumento dei prezzi del gas.

Vedremo come verrà attuata, ma è una buona idea perché non taglia indiscriminatamente l’IVA sull’energia come fu fatto in passato, ma nello stesso tempo ne calmiera l’impatto attraverso una restituzione selettiva.

Infine il decreto prevede che l’Autorità per l’Energia introduca nuove norme per aiutare la trasparenza e confrontabilità delle offerte commerciali ai clienti domestici.

Se per confrontabilità si intende disponibilità di tariffe standard semplificate, esistono già le offerte cosiddette “Placet”, attraverso cui tutti i fornitori devono proporre una formula facile a prezzo fisso o variabile rispetto all’andamento del mercato all’ingrosso. Questo decreto potrebbe essere un’occasione per aggiungere due nuove opzioni:

Una con prezzi dinamici che davvero rispecchino quello dell’ora specifica di consumo, il che darebbe incentivo a consumare quando l’abbondanza di fonti rinnovabili abbassa il prezzo, e non quando la necessità di accendere centrali a gas lo alza (cosa che tipicamente succede nelle prime ore serali).

L’altra che preveda un impegno di lungo termine di acquisto esclusivo da impianti da fonti rinnovabili con emancipazione dal prezzo del gas. Questa renderebbe possibile quel “disaccoppiamento” con il prezzo del gas di cui si parla tanto ultimamente.

In entrambi i casi il consumatore avrebbe più strumenti per favorire transizione ed economicità.

Se la norma invece prelude a limitazioni alla creatività dei fornitori nell’assecondare le esigenze dei clienti, allora potrebbe essere controproducente.

Ringrazio per questa puntata Marco Ballicu. Ogni eventuale errore è però mio, come sempre.I prezzi del petrolio e del gas sono scesi rispetto ai valori della prima decade di febbraio [2025]. Riguardo ai prezzi gas a termine, probabilmente una ragione è che sembra sempre meno un tabù la prospettiva di una ripresa delle importazioni europee via tubo dall’Ucraina, che spiazzerebbe il più costoso gas via nave in particolare dagli USA proprio mentre l’amministrazione Trump pianifica di aumentarne la capacità.

I tempi della politica però sono più lenti di quelli dei mercati spot, e questa settimana il Parlamento italiano inizia le audizioni in vista della conversione in legge del decreto di contenimento delle bollette, che abbiamo menzionato solo en passant la scorsa settimana.

Gli elementi principali della misura sono:

1) Introduzione di un bonus di 200 € per tutti i clienti domestici di elettricità con ISEE inferiore a 25.000 €, che si aggiunge al bonus energia già in vigore per clienti con ISEE più basso.

Si tratta di una soluzione ben disegnata, perché così come il bonus a cui si aggiunge non è indiscriminata né disincentiva all’efficienza nei consumi, visto che i soldi arrivano anche se si consuma meno.

2) Introduzione per Acquirente Unico della possibilità di approvvigionarsi di energia anche con contratti bilaterali e non solo sulla borsa elettrica.

Acquirente Unico è un broker pubblico di elettricità che la compra all’ingrosso per rifornire oggi i clienti cosiddetti vulnerabili, che continuano ad aver diritto a una tariffa a condizioni standard paradossalmente più soggetta alle fluttuazioni di prezzo rispetto a buona parte delle offerte sul mercato libero. Questa norma appunto mira a rendere possibile la fissazione di prezzi meno volatili anche per i clienti vulnerabili. Se può sembrare una buona idea, in realtà ci sono ottime ragioni per cui il legislatore aveva invece deciso l’opposto anni fa, imponendo ad Acquirente Unico di acquistare solo sulla borsa elettrica, che è un mercato regolato e trasparente per costruzione. Ragioni volte ad evitare comportamenti arbitrari da pare di un’azienda pubblica nel negoziare bilateralmente condizioni che potrebbero rivelarsi sfavorevoli in caso di prezzi di borsa in discesa successivi alla stipula dell’accordo.

3) Azzeramento per 6 mesi per i consumatori non domestici di dimensioni rilevanti (potenza maggiore di 14,5 kW) della principale componente regolata delle bollette elettriche.

Qui da un lato per una volta si interviene a favore di una categoria (i clienti business non energivori) che è tra le più maltrattate del sistema regolato delle bollette, bene quindi, dall’altro lo si fa senza introdurre alcun incentivo all’efficienza dei consumi, il che è male.

4) Un sistema – da stabilire con norme successive – di restituzione a “famiglie e microimprese vulnerabili” del maggiore gettito IVA legato all’aumento dei prezzi del gas.

Vedremo come verrà attuata, ma è una buona idea perché non taglia indiscriminatamente l’IVA sull’energia come fu fatto in passato, ma nello stesso tempo ne calmiera l’impatto attraverso una restituzione selettiva.

5) Infine il decreto prevede che l’Autorità per l’Energia introduca nuove norme per aiutare la trasparenza e confrontabilità delle offerte commerciali ai clienti domestici.

Se per confrontabilità si intende disponibilità di tariffe standard semplificate, esistono già le offerte cosiddette “Placet”, attraverso cui tutti i fornitori devono proporre una formula facile a prezzo fisso o variabile rispetto all’andamento del mercato all’ingrosso. Questo decreto potrebbe essere un’occasione per aggiungere due nuove opzioni:

Una con prezzi dinamici che davvero rispecchino quello dell’ora specifica di consumo, il che darebbe incentivo a consumare quando l’abbondanza di fonti rinnovabili abbassa il prezzo, e non quando la necessità di accendere centrali a gas lo alza (cosa che tipicamente succede nelle prime ore serali).

L’altra che preveda un impegno di lungo termine di acquisto esclusivo da impianti da fonti rinnovabili con emancipazione dal prezzo del gas. Questa renderebbe possibile quel “disaccoppiamento” con il prezzo del gas di cui si parla tanto ultimamente.

In entrambi i casi il consumatore avrebbe più strumenti per favorire transizione ed economicità.

Se la norma invece prelude a limitazioni alla creatività dei fornitori nell’assecondare le esigenze dei clienti, allora potrebbe essere controproducente.

Ringrazio per questa puntata Marco Ballicu. Ogni eventuale errore è però mio, come sempre.

domenica 2 marzo 2025

DDL delega nucleare (Puntata 661 in onda il 4/3/25)

Il 28 febbraio [2025], insieme al decreto per abbassare le bollette dell’energia, il consiglio dei ministri ha licenziato una proposta di legge delega con la quale il Parlamento dovrebbe dare il via alla nuova stagione di energia nucleare in Italia. Vediamo cosa sa c’è nel testo nella versione circolata immediatamente dopo il Consiglio (passibile di modifiche prima di approdare alle Camere).

Si parla di “nucleare sostenibile” non solo in termini di generazione di energia, ma anche di produzione di idrogeno, smantellamento delle vecchie centrali – da tempo presidiato da Sogin – gestione delle scorie, ricerca. Per capire cosa voglia dire “nucleare sostenibile” torna utile l’articolo 3 1 b), che parla di perseguimento di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Quest’ultima resta al momento velleitaria, visto che sia sulla base delle stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia sia soprattutto dell’esperienza con gli impianti recentemente costruiti il nucleare è lontano dall’economicità di solare ed eolico, a meno che non si consideri il prolungamento della vita di impianti con costi già perlopiù ammortizzati. Il ministro Pichetto Fratin alcuni mesi fa (sotto c’è il link alla puntata in cui ne parlammo) in Parlamento fece una stima di costi molto promettenti ma senza alcuna spiegazione di come fossero calcolati, e il Governo non ha più fornito che io sappia dati sulle ipotesi e sulle fonti.

Anche il processo autorizzativo degli impianti naturalmente dovrà essere regolato dalle norme che il Parlamento delegherà il Governo a predisporre sulla base di questa proposta di legge delega. L’articolo 3 1 alle lettere f) e g) prevede un titolo abilitativo unico che sostituisce qualunque altro permesso tranne la valutazione di impatto ambientale. Sembrerebbe un approccio molto centralizzato, ma la successiva lettera u) concede che le norme dovranno individuare i casi in cui le Regioni abbiano il diritto di dire la loro attraverso la Conferenza Unificata, nel rispetto, dice il testo, del “principio di leale collaborazione”. Detto in un Paese in cui è capitato più di una volta che Regioni si ammutinassero con blocchi totali dei processi autorizzativi per ben più innocui impianti da fonti rinnovabili, qui si nota molto ottimismo o, a seconda dell’interpretazione, velleitario dirigismo. Viene in soccorso però un altro passaggio che prevede campagne di informazione sull’energia nucleare e, alla lettera z), procedure di consultazione dei territori interessati. Peccato che le stesse campagne non si vedano mi pare dai tempi dello shock del 2022 su cose molto più a portata di mano, come il fotovoltaico plug-in, le comunità energetiche, l’efficienza. Ma non ho la tivù e potrei sbagliarmi, grazie in anticipo di correzioni su questo e altro.

Pochi giorni fa il Corriere della Sera ha divertito molti con l’intervista a Salvatore Majorana, direttore del “Kilometro rosso”, un centro di innovazione vicino a Bergamo, che prevede microreattori dolci (parole sue, almeno secondo Federico Fubini che firma il pezzo) privi di qualunque scoria, da mettere anche in auto o in casa. Chissà se con simili reattori sarà ancora necessaria qualunque autorizzazione. A pensarci bene non so se mi preoccupa di più un impianto industriale presidiato, o la prospettiva che il mio vicino di pianerottolo s’imbottisca di reattori portatili dentro casa.

Ma torniamo alla bozza di legge delega. Un punto che ho trovato inquietante è quello dell’art, 2 comma 1 lettera o) quando ci si riferisce all’eventualità  - non all’obbligo - di istituire un’Autorità per la sicurezza nucleare. In Francia, Paese di solito chiamato a modello nel settore e che ha una flotta di centrali perlopiù anziane di cui è difficile dire come verrà finanziato il rinnovamento o la dismissione, garantisce la sicurezza appunto grazie a un’Autorità indipendente che ha il potere di fermare una centrale al minimo dubbio sulla sicurezza, a costo di causare ingenti danni economici all’azienda energetica partecipata dallo stesso Governo che quegli impianti li costruisce e gestisce.

Speriamo che nel nostro Parlamento la maggioranza se lo ricordi quando metterà mano a questo testo.

Questo articolo si può ascoltare qui.


Link

sabato 22 febbraio 2025

Non bastano le nuove tecnologie (Puntata 659 in onda il 18/2/25)

Meno di due mesi fa guidavo uno scooter nella fiumana del traffico lento e impressionante di Ho Chi Min city, Vietnam meridionale, e passavo dalla sensazione d’insicurezza in mezzo a tutto quel casino al fatalismo sul fatto che seguire il flusso non fosse poi così difficile malgrado l’orda di clacson provenienti da ogni direzione.

Mi godevo l’aria calda e relativamente secca del dicembre vietnamita ma purtroppo respiravo anche chissà quanto inquinamento. Già, perché quei milioni di scooter strombazzanti e occupati perlopiù da giovani in maglietta erano pressoché tutti a combustione, manco fossimo a Roma. Non troppi giorni prima invece ero in Cina, dove i motorini con motore tradizionale sono ormai una rarità e credo proprio del tutto banditi dalle principali metropoli.

Ma torniamo a oggi. È sabato (mi riduco sempre al weekend per fare Derrick, mannaggia a me) e ho letto poco fa sull’ultimo Economist un articolo su come i produttori di auto cinesi si preparino in risposta ai dazi statunitensi a esportare ancora di più tra l’altro in Russia, Europa (altri dazi permettendo) e resto del SudEst asiatico. Ma quante delle auto cinesi complessivamente esportate sono elettriche? Circa un quarto, scrive l’Economist.

Insomma, quel che avevo notato con gli scooter, vale anche con le auto: il leader mondiale dell’auto elettrica (che intende rimanerlo e ha massicciamente investito per questo) esporta per ora soprattutto auto a combustione anche poco fuori dai propri confini. Così com’è vero che la Cina, che installa recentemente ogni anno sul suo territorio la maggioranza assoluta della capacità di produrre elettricità verde del mondo intero, mantiene la stessa leadership con le centrali a carbone.

La disponibilità di tecnologie avanzate – in questo caso rispetto alla sostenibilità ambientale – come si vede non comporta automaticamente la dismissione accelerata di quelle arretrate. Troviamo esempi anche da noi: anche a causa di folli sussidi di retroguardia, oggi in Italia gli stessi produttori di pompe di calore elettriche, più efficienti e pulite, vendono e promuovono ancora le caldaie a gas.

Un paper dell’economista Hans Verner Sinn una quindicina d’anni fa mostrò come la consapevolezza di norme future più stringenti in termini di tassazione delle emissioni di CO2 renda razionale per le imprese petrolifere accelerare, anticipandola, l’estrazione di idrocarburi.

Comportamenti economicamente sensati: fare soldi finché si può con prodotti già sviluppati, in attesa che quelli nuovi coprano tutto il mercato.

Le strategie intertemporali (razionali) dei soggetti economici dunque possono portare a risultati indesiderabili rispetto alle politiche, se queste ultime non sono abbastanza furbe da anticiparle. Restando sulla tassazione delle emissioni dannose, economisti come la star dell’MIT Daron Acemouglu sostengono che essa non basti a innescare una transizione rapida ed efficiente senza la compresenza di altre norme più impositive, per esempio standard tecnologici ambientali.

Il messaggio al legislatore è: se stai incentivando tecnologie future perché ne ritieni urgente l’adozione, forse dovresti anche pianificare l’uscita da quelle vecchie. Il perseverare anche in Italia di incentivi alle fonti fossili di energia, stabilmente più alti che a quelle verdi, non va in questa direzione.

Questa puntata si può ascoltare qui.

domenica 9 febbraio 2025

Il gas nell'era del protezionismo (Puntata 658 in onda l'11/2/25)

Torniamo a parlare di gas, perché nella prima settimana di febbraio 2025 sono state scritte e fatte cose rilevanti in materia. Intanto c’è Trump, che minaccia il mondo di dazi e nello stesso tempo si prepara a esportare più gas e petrolio, evidentemente senza considerare serio il rischio di contromosse a loro volta protezioniste dai Paesi colpiti (oppure solo per sondarne le reazioni e poi effettivamente decidere il da farsi). Nel caso della Cina una prima tranche di dazi è stata introdotta, e la reazione di Pechino ha visto nei giorni precedenti, saggi consigli da Xi Jinping a Trump in cui lo si invitava a tenere conto che i dazi fanno male a tutti, inclusi (anzi, spesso: soprattutto) coloro che li iniziano. Poi, a dazi introdotti, una reazione proprio sull’import cinese di idrocarburi statunitensi. Una mossa che probabilmente Pechino si può permettere perché non aderendo alle sanzioni al petrolio russo beneficia di prezzi scontati su questa fonte.

Il nostro ministro Urso in tutto questo ha dichiarato che “dovremmo guardare con attenzione al gas americano” e direi che stiamo già facendo di più: lo stiamo acquistando per alimentare i nuovi porti per le navi metaniere. In uno scenario però apparentemente contraddittorio in cui da un lato questi porti in Europa così come la capacità di trasporto via nave sono sottoutilizzati, dall’altro i prezzi del gas salgono. Un eccesso di capacità infrastrutturale a fronte invece di una relativa scarsità di gas.

Questo eccesso di capacità riguarda l’Europa in generale, malgrado nel 2024 si sia interrotta la tendenza di riduzione dei consumi. Anche in Germania solo una frazione minima del gas, rispetto al potenziale, è arrivata attraverso i nuovi rigassificatori galleggianti nel 2024. I contribuenti o pagatori di bollette tedeschi almeno possono consolarsi per il fatto che quelle navi-rigassificatrici sono state noleggiate, mentre la nostra attraccata a Piombino e l’altra di Ravenna le abbiamo, ahinoi, comprate.

Tra le analisi sull’eccesso di capacità di trasporto e ricezione di gas liquefatto segnalo rispettivamente Sissi Bellomo sul Sole 24 Ore del 1/2/25 e lo studio IEEFA pubblicato pochi giorni prima (link sotto).

Ma la situazione potrebbe diventare ancora più estrema se si avverasse uno scenario che di colpo sembra meno remoto rispetto a solo poche settimane fa: una riapertura dei flussi via tubo dalla Russia via Ucraina dopo la chiusura totale a inizio anno. Un’ipotesi considerata non da autori di fantapolitica ma dall’executive vice president di Equinor, la società petrolifera norvegese, in un’intervista a Laurence Walker di Montel del 5/2/25. Se si arrivasse a un armistizio, dice Irene Rummelhoff, è ragionevole che riprenderemmo a usare i tubi via Ucraina per 27 miliardi di metri cubi all’anno di gas russo verso l’Europa, il che spiazzerebbe ancor più quello liquefatto.

Si tratta di una prospettiva verosimile? Non lo so. Quel che, forse acrobaticamente, osservo è che con un Trump che si disimpegna nell’aiuto militare all’Ucraina e colpisce l’Europa coi dazi usare la leva del gas con Putin da parte dell’Europa potrebbe da un lato compensare la minor forza militare senza gli USA, dall’altro reagire ai dazi americani colpendo il gas del golfo del Messico, pardon: d’America.


Link

martedì 4 febbraio 2025

Autoproduzione domestica di energia - intervista a Enrico Palmieri (Puntata 657 in onda il 4/2/25)

Torna su Derrick un’intervista a persone che trasformano le proprie case in luoghi di autoproduzione di energia solare con vantaggi per l’ambiente e il portafogli.

In questa puntata tocca a Enrico Palmieri, commercialista marchigiano che ringrazio per la sua testimonianza.

L’intervista è qui

martedì 28 gennaio 2025

Michele Governatori alle radio (Puntate 655-6 in onda il 21 e 28/1/25)



Qualche volta Michele Governatori appare anche in radio diverse da Radio Radicale. È successo più volte nel gennaio 2025, il 17 con un’intervista per Radio RAI 3 nella rubrica Tutta la città ne parla condotta da Pietro del Soldà, di cui qui c’è una sintesi in cui Del Soldà fa una domanda sull’energia nucleare prima a Davide Tabarelli e poi a Michele Governatori.

Il 23 gennaio è stata la volta di Radio Vaticana, nella rubrica Il mondo alla radio condotta da Alessandro Guarasci. Si parla del report Ember sulle fonti di energia rinnovabile in Europa con dati aggiornati al 2024. Audio qui.

Il 25 gennaio in diretta a Radio 24 una bella conversazione con la conduttrice Laura Bettini di Si può fare sempre sui trend energetici europei, e non solo. Ascoltabile nel podcast della radio qui dal minuto 23 circa.

Il 26 gennaio di nuovo su Radio Rai, primo canale, con Sonia Filippazzi nella sua L’aria che respiri. L’intervento non era in diretta ed è stato montato in modo non sempre lineare, ed è – grande onore – introdotto e chiuso da frammenti di La genesi di Francesco Guccini. La puntata si può ascoltare (almeno per un po’) qui (dal minuto 9).

martedì 14 gennaio 2025

A piedi dall'aeroporto: il caso Paphos, Cipro (Puntata 654 in onda il 14/1/25)


Dopo averci provato a Fiumicino e Zurigo, ho tentato la fuga a piedi dall'aeroporto Paphos, cipro Occidentale.

È andata bene grazie a un sentiero sul mare realizzato nell'ambito del programma UE di percorsi pedonali di lunga distanza e classificato come E4, che va dalla Spagna a Cipro e su cui ci sono informazioni qui.

Un blogger che ne ha percorso decisamente più chilometri di me ne parla qui.

Ecco il link alla mia puntata audio con il racconto: https://youtu.be/S961Mx38SUo?si=STukmKl4jelDL--R

Il punto di uscita dal perimetro aeroportuale







Un video da una delle spiagge del percorso: https://youtu.be/4YTYMSVv9MM?si=-3ALGm9K9UGdkF_h 

lunedì 6 gennaio 2025

Aumento del prezzo del gas a inizio 2025 (Puntata 653 in onda il 7/1/25)

Veduta di Xishuangbanna, Yunan, Cina
Un aumento dei prezzi del gas successivo alla chiusura del transito di gas russo in Ucraina ha riacceso le discussioni in materia.

Come al solito, le soluzioni invocate tendono a guardare inutilmente lontano (un nucleare che in italia non vedremmo prima di 15 anni e a costi proibitivi) oppure alla sindrome di Stoccolma (legarci ancora di più al gas ed esporci così ai danni anche delle prossime crisi) anziché guardare alle tendenze positive già in atto e da incoraggiare (boom delle rinnovabili anche senza incentivi e delle batterie per la sicurezza di fornitura elettrica). Ringrazio Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, per aver ospitato il contributo che segue. Sul sito di Altreconomia e di Derrick Energia link al testo.

Ho sempre trovato inquietante che i due paesi in guerra commerciassero in servizi di transito del gas come niente fosse, e credo che la chiusura del transito del gas russo in Ucraina sia opportuna, come lo sarebbe estendere al gas le sanzioni europee applicate al petrolio russo.

L’effettiva fine del transito è stata confermata relativamente all’ultimo, e quindi non mi stupisce che stia avendo effetto sui prezzi (ma i 50 € al MWh attuali sono ben lontani dai picchi di oltre 300 del 2022). Già in tempi non sospetti con il Think Tank ECCO abbiamo evidenziato il rischio che questo inverno portasse di nuovo a bollette elevate (così come avevamo previsto la repentina discesa dopo i momenti più aspri della crisi, trainata dal calo dei consumi di gas). È comunque vero quel che ha detto il ministro Fratin: con gli stoccaggi quasi pieni, è verosimile che in assenza di altri eventi avversi il prezzo attuale sia già il picco più alto dell’inverno in corso.

Riguardo alle soluzioni per abbassare la bolletta, non credo sia utile stigmatizzare la speculazione dei mercati futures (che sono naturalmente volatili e servono proprio ad anticipare potenziali scarsità o eccedenze future del prodotto contrattualizzato) anche se, certo, è importante vigilare contro abusi. Nemmeno credo che un price cap sarebbe una soluzione efficiente, perché a seconda di come lo si realizza può semplicemente spostare il costo su qualcun altro rispetto al consumatore, o produrre rendite indesiderate, o ancora portare a forme di razionamento più indesiderabili rispetto a un prezzo temporaneamente alto. È quest’ultimo l’effetto descritto da Manzoni nei Promessi Sposi sulla farina: se si impone un prezzo politico del pane che ignora una scarsità oggettiva della materia prima, i forni restano vuoti. Ma anche senza scomodare Manzoni, abbiamo visto come il price cap spagnolo, per esempio, abbia portato i contribuenti iberici a pagare per esportare in Francia elettricità da gas a prezzo politico durante periodi di scarsa disponibilità del nucleare francese. Un effetto non desiderabile per gli spagnoli.

Quel che credo invece serva è mettere urgentemente i consumatori di elettricità nelle condizioni di non pagare il costo del gas se accedono a offerte 100% rinnovabili, cosa che purtroppo non è ancora possibile. Come ECCO ha proposto durante l’ultima audizione ARERA, è urgente che i consumatori elettrici possano approvvigionarsi con contratti che escludano l’uso del gas anche per bilanciare i propri consumi, per esempio con accumuli dedicati alla propria fornitura. In altri termini: se a un cliente va bene continuare a esporsi alle crisi del gas – per esempio perché installa di nuovo una caldaia a gas in fase di ristrutturazione o perché compra elettricità generica – se ne assume le conseguenze. Ma chi vuole proteggersi dalla prossima crisi del gas e ha elettrificato ed efficientato i propri consumi e desidera accedere a contratti di fornitura elettrica da sole rinnovabili è incomprensibile che non sia messo nelle condizioni di emanciparsi completamente dal prezzo del gas a meno di staccarsi dalla rete (che è una soluzione irrazionale perché troppo costosa).

Riguardo al prezzo futuro: tornerà a scendere rispetto all’attuale, ma non ai livelli precedenti la crisi, perché il gas liquefatto che arriva da nave costa di più del gas da tubo. Inoltre, il prezzo continuerà a essere volatile e quindi pericoloso e avrà una componente di costi fissi sempre più alta per ripagare l’inutile infrastruttura che abbiamo costruito malgrado la riduzione strutturale dei consumi.

In termini di fonti, dalla dipendenza dalla Russia siamo passati almeno in parte a quella dagli Stati Uniti, ormai principale esportatore mondiale, che di fatto hanno un ruolo crescente di price maker grazie alle decisioni unilaterali riguardo alla capacità di liquefazione che renderanno (o non renderanno) disponibile nel mar dei Caraibi. Abbiamo visto questo effetto già con la presidenza Biden, e non c’è da aspettarsi miglioramenti con le politiche protezionistiche annunciate da Trump.

Link