domenica 16 giugno 2019

La transizione energetica europea (Puntate 401-2 in onda il 18/6 e 2/7/19)

Giacomo Balla
Le quattro stagioni in rosso - Estate
Il 14 giugno 2019 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale UE il cosiddetto “quarto pacchetto” delle norme che guideranno i mercati dell’energia europei dei prossimi anni. Norme che seguono un’evoluzione che anche i non addetti al settore si sono ormai abituati a sentirsi raccontare, in particolare riguardo all’accelerata transizione verso le fonti d’energia rinnovabili, alla maggiore importanza della generazione elettrica distribuita e di piccola scala, anche con l’arrivo di entità collettive (energy community) per ora descritte in modo un po’ generico ma che dovrebbero avere un ruolo nel futuro prossimo. Ruolo che si sovrapporrà potenzialmente con quello di produttori e venditori di energia e dei gestori delle reti elettriche locali.
Il “quarto pacchetto” si inserisce in un altro processo europeo fondamentale: gli obiettivi ambientali al 2030 e oltre, già condivisi nei mesi scorsi, che hanno evidentemente enormi rapporti con la regolazione del settore energia e non solo.
Questo processo prevede, tra le altre cose, che gli Stati Membri inviino piani energia-ambiente (cosa già avvenuta) che poi l’Unione valuterà in termini di coerenza rispetto agli obiettivi comunitari al 2030, obiettivi che ricordo qui:
  1. riduzione almeno del 40% delle emissioni di gas a effetto serra (rispetto ai livelli del 1990)
  2. una quota almeno del 27% di energia rinnovabile
  3. miglioramento almeno del 27% dell'efficienza energetica (rispetto allo scenario senza interventi).

Sorprendentemente, almeno rispetto alle attese riguardo al programma ambientale dei Cinque Stelle, il piano presentato dal Governo italiano è per molti versi più cauto degli stessi obiettivi europei. Uno studio della European Climate Foundation che mette a confronto i vari piani-bozza presentati (scaricabile sotto) dà un giudizio piuttosto negativo al piano italiano in termini di obiettivi e efficacia e chiarezza delle politiche proposte, con l’eccezione (ma sto inevitabilmente semplificando) delle politiche sull’efficienza energetica.


Efficienza energetica e minibot

Piccola digressione su questo: l’Italia, che già strutturalmente è un Paese con buona efficienza energetica (cioè un rapporto tra PIL e energia consumata relativamente alto) ha anche politiche rilevanti per l’efficienza, a partire dalle generose detrazioni fiscali per ristrutturazioni e investimenti sugli apparati energetici degli edifici, detrazioni che tra l’altro si stanno evolvendo per rendere più semplice cedere il credito fiscale a intermediari, in modo da poter fare gli interventi senza dover anticipare le somme necessarie. Sono quindi molto rilevanti in materia (a mio avviso potenzialmente esiziali) le idee sempre più insistenti sui “minibot”, cioè i titoli di Stato di piccola taglia cari al presidente della commissione economia leghista alla camera Claudio Borghi. Questi titoli, infatti, sia secondo un documento curato dallo stesso Borghi e diffuso nei mesi scorsi sia secondo una mozione passata in parlamento il 28/5/2019 anche con i voti dell’opposizione (alcuni dei cui esponenti hanno però dichiarato essersi trattato di errore) potrebbero essere usati per pagare crediti verso lo Stato. Ora, se lo Stato mi dicesse che le rate di detrazione della mia pompa di calore con cui ho reso elettrico ed efficiente il mio riscaldamento a fronte di un discreto sacrificio economico iniziale me le pagherà con un altro credito anziché con soldi, io avrei molto da ridire. E questo non aumenterebbe la mia fiducia verso lo Stato rispetto a possibili ulteriori investimenti. Se teniamo conto dell’importanza del settore edilizia per la crescita economica, credo si possa dire che renderne incerti gli investimenti sia molto pericoloso.


Verso l'autarchia energetica locale?

Torniamo alle comunità energetiche: esse dovrebbero permettere anche di instaurare veri e propri mercati di vicinato dell’energia. Un’idea che istintivamente piace quasi a tutti, perché suggerisce mutualismo e autosufficienza di zona, ma che tradurre in azioni pratiche è piuttosto difficile. Infatti, se le reti elettriche locali sono oggi gestite come monopoli non è per amore del monopolio in sé da parte del legislatore, ma perché, come spesso avviene nelle reti, una loro gestione unitaria, che preveda da un lato il divieto di duplicazione e dall’altro regole prestabilite sul livello di servizio e garanzia di tutti all’accesso a condizioni eque, è più efficiente per la comunità nel suo complesso. Quindi, se è vero che è carina l’idea di vendere il surplus di produzione del mio tetto fotovoltaico al vicino, non è chiaro per ora come dovrebbe essere disciplinato l’accesso alla capacità di trasporto – seppur per piccole distanze – di quell’energia. Passo un cavo dal balcone? Uso la rete condominiale come fosse una rete di distribuzione? Sarò io a far fattura al vicino? A che prezzo?


Il nodo stoccaggio

Quel che è certo è che l’enorme quantità di rinnovabili che dovremo installare per raggiungere gli obiettivi ambientali renderà il sistema elettrico più distribuito e meno programmabile. Occorreranno quindi anche sistemi di stoccaggio dell’energia per spostarla dai momenti in cui gli impianti rinnovabili producono a quelli in cui in effetti l’energia serve. In assenza di stoccaggi sufficienti, secondo il Governo e secondo il gestore della rete ad alta tensione Terna, potrebbero servire più centrali programmabili a gas per fare da backup

Proprio in questi giorni il Governo sta infatti lanciando un sistema di remunerazione della capacità della generazione elettrica pensato soprattutto per le centrali programmabili (e i progetti per nuovi impianti di questo tipo sono tutti a gas) che vede l’opposizione di alcuni operatori in particolare delle fonti rinnovabili (tema che non approfondisco perché sarei in conflitto d’interessi con la mia professione).
E come si fa lo stoccaggio elettrico? Oltre che con le centrali idro a bacino, con le batterie di taglia industriale, per ora piuttosto costose e relativamente inefficienti.
Esistono altre alternative, come lo stoccaggio elettro-termico appena presentato da Siemens-Gamesa insieme all’università di Amburgo: un sistema che riscalda con una resistenza elettrica rocce vulcaniche che poi restituiscono il calore a un ciclo a vapore che produce elettricità quando serve. Efficiente sul piano energetico? Poco, così come è inefficiente una vecchia stufetta a resistenza. A meno che non si abbiano surplus di produzione inevitabili e si voglia ricorrere a sistemi di recupero che richiedano investimenti limitati.


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martedì 11 giugno 2019

L'industria dell'istruzione (Puntata 400 in onda l'11/6/19)

Spesa privata in istruzione
(immagine dall'Economist 13 aprile 2019)
I miei nonni hanno avuto figli poco prima, durante o poco dopo la seconda guerra mondiale. Erano poverissimi, ma intuivano che sarebbe convenuto al benessere della famiglia togliersi il pane di bocca pur di far studiare i figli. Se oggi ho una vita stimolante, per quanto faticosa, lo devo a loro.

Cosa ci è successo da allora? Riusciremo a uscire da questa sorta di nuovo patto populista che promuove il “buonsenso” (cioè la permeabilità a slogan fallaci ma facili) contrapposto alla competenza? Patto di cui anche la Radio che trasmette questa rubrica, o meglio i suoi ascoltatori, rischiano di fare le spese.

Ma se guardiamo al mondo, soprattutto all’Asia, i ragionamenti dei miei nonni non sono affatto passati di moda. Il mondo investe sempre di più in istruzione privata che si aggiunge a quella già fornita dagli Stati e che in molti casi opera in coordinamento con essa.
India, Cina, Vietnam sono i Paesi in cui l’industria dell’istruzione sta decollando in modo impressionante, avendo quasi triplicato il fatturato in dieci anni. Lo racconta un prezioso speciale apparso sul numero dell’Economist del 13 aprile 2019. L’istruzione privata funziona anzitutto come soluzione alle lacune di quella pubblica, e lo fa per le classi deboli ancor più che per le élite.
Nella poverissima Haiti l’80% degli alunni elementari vanno in scuole private. A Sangham Vihar, un immenso slum a sud di Delhi, un insegnante locale ha fondato una scuola per 2000 studenti con rette a partire da 12 dollari al mese (un discreto sacrificio per le famiglie, che però così riescono a emanciparsi). Altre organizzazioni sono multinazionali finanziate da grandi fondazioni, compresa quella di Bill Gates. Nei Paesi più indietro nello sviluppo, la disponibilità di una comunità di insegnanti locali è un fattore-chiave nella nascita di scuole. In casi più evoluti, le scelte dei genitori e la concorrenza tra scuole influenzano positivamente anche l’offerta pubblica.

Naturalmente la mal posta dicotomia pubblico-privato è un tabù bloccante sia per alcuni governi che per parte dell’opinione pubblica, ma deriva perlopiù da manicheismo di vedute. Un servizio quando è pubblico? Quando la struttura che lo rende possibile è di proprietà pubblica? Quando chi ci lavora è dipendente dello Stato? Quando la fruizione non prevede un pagamento oltre alle tasse? (se fosse così, dalle elementari al liceo – tutti statali - mia figlia non ha mai avuto una scuola pubblica visto che tutte pagano una parte cospicua delle spese correnti – stipendi esclusi – con collette tra i genitori). Oppure un istituto è pubblico quando chi lo esercita non può fare profitti? E perché mai un bravo insegnante non dovrebbe avere aspettative di essere pagato più di uno scarso, come avviene spesso a un bravo manager o a un bravo chef?
Più sensato ritenere che un servizio sia pubblico quando è pubblicistico il modo in cui esso è accessibile – cioè effettivamente disponibile e pagato con le tasse o eventualmente con una retta a prezzo sussidiato per le famiglie che ne hanno bisogno - e in cui le sue prestazioni e qualità sono verificate e garantite da un organo pubblico.

In termini di partnership pubblico-privato nell'istruzione, uno dei più interessanti laboratori al mondo è quello del Cile dove i cittadini decidono dove spendere un voucher pagato dalle tasse, ma anche in Olanda, per esempio, lo Stato finanzia scuole di natura pubblicistica ma gestite da privati. Nei Paesi in via di sviluppo, queste partnership sono spesso un modo quasi obbligato per gli Stati di accelerare lo sviluppo dell’offerta più di quanto riuscirebbero da soli.

Anche nel settore dell’istruzione specializzata per adulti, questa invece perlopiù di natura privatistica, le attività crescono velocemente, grazie anche alle possibilità della tecnologia, che permette modi di fruizione diversi dall’aula tradizionale e spesso coinvolge come insegnanti dei professionisti iperspecializzati che si trasformano in docenti solo in alcuni momenti della loro vita professionale.

Quando guardiamo al mondo e ci chiediamo quali saranno le grandi potenze di domani, e se noi saremo tra esse, dovremmo forse guardare ai trend di spesa in istruzione (pubblica e privata) come primo indicatore.


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domenica 2 giugno 2019

Alitalia in bolletta? (Puntate 381 e 399 in onda il 18/12/18 e 4/6/19)

Con la questione “Alitalia in bolletta” la scorsa settimana è stata una di quelle rare volte in cui temi relativamente tecnici che questa rubrica racconta sono finiti nel circuito dell’informazione generalista.
Il Governo, come aveva già tentato alla fine del 2018 e come Derrick aveva documentato già allora (testo della puntata qui sotto), ha inserito in una norma in fase di discussione in Parlamento (il cosiddetto decreto “crescita” da convertire in legge) un espediente che gli permetterebbe di trovare i soldi per coprire la mancata restituzione del prestito pubblico ad Alitalia.
Come gli ascoltatori di Derrick sanno, le bollette elettriche, anche quelle del cosiddetto mercato libero, cioè con offerte scelte al di fuori di quelle standard regolate dall’Autorità per l’Energia, hanno componenti principalmente di quattro tipi:
  1. Quelle che riguardano i costi variabili della generazione elettrica.
  2. Altre che riguardano l’infrastruttura elettrica che serve a portare quell’energia fino al consumatore e a misurarla.
  3. Altre ancora che hanno una natura parafiscale, cioè fini redistributivi perlopiù di due tipi: uno per sussidiare le fonti rinnovabili, l’efficienza, la ricerca, un altro per sussidiare alcune categorie di clienti (un'operazione del tutto criticabile a parere di Derrick, anche perché disincentiva la stessa efficienza per cui vengono elargiti altri incentivi).
  4. Le imposte vere e proprie.

Il funzionamento della parte amministrata di una bolletta così complessa, i cui parametri variano nel tempo, richiede anche una sorta di “polmone” che permette a chi ne gestisce le partite di avere un margine per poter erogare denaro a chi ne ha diritto anche quando la raccolta non segue lo stesso andamento (perché magari legata a tempi di aggiornamento differenti). Questo “polmone” si chiama Cassa per i Servizi Energetici e Ambientali (CSEA) ed è gestita dal Governo su regole dell’Autorità dell’Energia. Essa opera i conguagli delle bollette e quindi ha e deve avere un attivo di liquidità adeguato.

A questa liquidità il Governo ha deciso nuovamente di attingere per mantenere il prestito ad Alitalia, un’azienda di mercato a cui auguro lunghissima vita sulle proprie gambe e grazie alla propria capacità competitiva, ma che non c’è motivo per cui venga protetta da soldi pubblici, visto che non eroga servizi che non siano erogabili da altre aziende, tra l’altro potenzialmente con gli stessi cespiti e lo stesso personale. (Su cosa succede quando una compagnia aerea fallisce c’è una specifica puntata di Derrick - link sotto).

Qual è l’effetto di far pagare a CSEA il prestito? L’effetto è che il sistema delle bollette diventa creditore di Alitalia e quindi a subire il rischio di un’insolvenza per lo stesso importo, e che il sistema dei conguagli deve sostenere maggiori costi finanziari per ricostituire il margine di liquidità. Rischi e costi che in ultima analisi finiscono per pagare tutti i clienti elettrici.

Perché una soluzione del genere da parte del Governo? Io mi do questa spiegazione: se quella delle bollette è parafiscalità e non fiscalità vera e propria, il Governo pensa forse che sia un “paraiuto” di Stato o che sia un “paradebito” in capo ai cittadini quel che sta cercando di fare, e pensa quindi che si possano così eludere sia i vincoli sulla disciplina degli aiuti di Stato, sia quelli sul bilancio pubblico. A logica, non è così. Sentenze della Corte di Giustizia dell'UE su temi simili hanno già stabilito che l’uso delle componenti regolate delle bollette non può eludere le norme generali sugli aiuti pubblici alle aziende.



Puntata 381 del 18/12/18

Utili e angoscianti le parole di Draghi che inaugurando il 15 dicembre 2018 l’anno accademico della scuola superiore Sant’Anna di Pisa ha ricordato come la spesa pubblica in particolare degli anni ’80 pesi su chi oggi e nei prossimi decenni pagherà le tasse e fruirà di meno welfare.

Scalinata all'Avana
fotografata da Derrick nel 2017
Oggi che il debito è alle stelle, spostare i costi ulteriormente in avanti è meno fattibile. Anche per questo qualunque trucco per fare nuovo debito pubblico in modo creativo e non monitorato è allettante. Anni fa la tecnica fu la vendita alle banche da parte di amministrazioni locali e centrale di derivati sui tassi d’interesse che permettevano un introito istantaneo a fronte di un rischio pubblico sui tassi futuri, ma poi – anche se a danno ormai fatto - per fortuna le regole dei bilanci sono diventate più attente a questi aspetti.

Gli ascoltatori di Derrick sanno che il mondo delle bollette soprattutto elettriche ha componenti che riguardano politiche legate non sempre direttamente al mondo dell’energia e che invece afferiscono alla cosiddetta politica industriale o al welfare.

Le bollette possono anche essere usate per fare debito nascosto. Per esempio, un’autorità dell’energia che decide di congelare aumenti tariffari legati a condizioni di mercato sta di fatto accendendo un debito a carico delle bollette future per evitare un aumento di quelle presenti. Un’operazione finanziaria certamente dubbia, perché sfugge a qualunque regola di controllo sul debito pubblico pur trattandosi di parafiscalità, ma pur sempre un’operazione all’interno del mondo delle partite regolate per legge attraverso le bollette.

Ma può succedere, e ogni tanto succede, anche una cosa molto più inquietante e arbitraria: che liquidità presente nel sistema dei conguagli delle bollette sia forzosamente sottratta per coprire poste del sistema fiscale vero e proprio.
E qui arriviamo al caso d’attualità: un articolo apparso su Quotidiano Energia il 13 dicembre 2018 racconta che la bozza del DL “semplificazioni” approvato dal Consiglio dei Ministri prevede che il rimborso del prestito ponte da 900 milioni più interessi ad Alitalia sia coperto da un versamento da parte della Csea a favore del conto corrente di tesoreria centrale. La Csea, appunto, è la cassa che fa i conguagli delle partite parafiscali (e anche altre) delle bollette.
Ora. Se i più smaliziati degli ascoltatori di Derrick già temono – salvo provvido intervento dell’Antitrust – di pagare il salvataggio pubblico di Alitalia anche con biglietti del treno più alti vista la costituzione di un quasi monopolista pubblico dei trasporti via terra e aria, scommetto che pochi immaginavano il rischio di pagarlo anche in bolletta.


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