Visualizzazione post con etichetta Trasporto pubblico locale. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Trasporto pubblico locale. Mostra tutti i post

mercoledì 30 luglio 2025

Riprendiamoci lo spazio (Puntata 682 in onda il 29/7/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

Come sarebbero le nostre città senza automobili? È un tema già toccato in diverse puntate, una dell’aprile 2020 (link sotto) quando osservavo le auto inutilizzate per il covid impolverate parcheggiate sulle strade del mio quartiere, lì inutili a occupare almeno metà della carreggiata disponibile. Sarebbero mai più state usate? In quel clima di incertezza sembrava possibile che ci aspettassero novità radicali, che si potesse approfittare della crisi per liberarci di alcuni ferri vecchi.

Delle cose sono cambiate, ma non – perlomeno in Italia – l’invasione di scatolette metalliche perlopiù ferme in città o in lento movimento a intasarne e inquinarne le strade.

Senza le auto private i trasporti pubblici di superficie avrebbero bisogno di meno mezzi a parità di persone spostate, perché le corse sarebbero più brevi grazie all’assenza del traffico. Camminare o andare in bici sarebbe ancor più piacevole rapido e sicuro. Avremmo un’infinità di spazio in più da usare per attività più intelligenti rispetto a un immenso parcheggio. Io vivo a Roma nel quadrante sud della città e mi sposto spesso nella parte opposta. Coi mezzi ci metto più di un’ora, in bicicletta la metà. Ma se non dovessi schivare le principali arterie automobilistiche impiegherei ancora meno tempo e sarebbe più bello (già ora, malgrado tutto, lo è).

Se anche continueremo a usare un po’ di auto private, con la guida autonoma sarà possibile sfruttare ogni veicolo di più e condividerlo anziché lasciarlo fermo a occupare spazio.

Il capitale e lo spazio allocati in città nelle automobili private (e nel caso di quelle a combustione la loro tecnologia così arcaica) mi sono sempre sembrati così incongrui. Eppure tanto connaturati nelle nostre abitudini e nella nostra economia tanto che proporre di sbarazzarsene sembra una bestemmia.

Non a Giovanni Mori, ingegnere, già portavoce italiano dei Fridays for Future e candidato europarlamentare che sta promuovendo questa e altre innovazioni nell’ambito di un’iniziativa chiamata Italia Impossibile (link sotto). (Si noti l’assonanza con le “Camminate Impossibili” di Derrick in cui ho provato a muovermi a piedi o in bici in zone urbane dove sembra che questa opzione non sia stata nemmeno lontanamente presa in considerazione nel disegno urbanistico).

Sentiamo allora proprio Mori:

https://youtu.be/EJvfsJef8KY?si=GzLgfOuc1eLjoGsv&t=130

Grazie Giovanni Mori.


Link

domenica 8 giugno 2025

Trenitalia e lo zen dei biglietti regionali (Puntata 675 in onda il 10/6/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Immaginiamo di doverci muovere in città coi mezzi pubblici, bus o metro. Abbiamo un biglietto da convalidare, o magari una carta di credito o la app di pagamento sul telefonino, convalidiamo o passiamo la carta e facciamo la nostra corsa.

Immaginiamo ora che il percorso comprenda un treno regionale – recentemente quelli cittadini si sono chiamati anche treni metropolitani ma non mi pare sia più così, la tassonomia dei treni è una materia affascinante e molto cangiante, ricordo ancora per esempio gli espressi con gli scompartimenti con i sedili in finta pelle, le copie di paesaggi italiani in bianco e nero in cornicette d’ottone. Oppure gli “interregionali” che dichiaravano con precisione nel nome di varcare il confine amministrativo ora invece anche loro definiti regionali - ma sto divagando e diventando troppo sentimentale.

Dicevo immaginiamo che il nostro spostamento in città includa un treno regionale. A Roma per esempio sono preziosi perché sopperiscono alle poche linee di metro. Un paio di giorni fa ne ho preso uno a Mandela, una stazione sulla Tiburtina, e nei 45 chilometri circa fino a Roma si è fermato 14 volte: un servizio di prossimità analogo a quello di una metropolitana.

Rispetto a una metropolitana o a un bus urbano, però, il modo in cui funziona il biglietto è completamente diverso. Nei primi nessuno pretende che tu sappia in anticipo quale convoglio prenderai e che compri il biglietto almeno cinque minuti prima, con il biglietto elettronico regionale Trenitalia invece sì: il biglietto è specifico per un solo treno. Puoi cambiarlo dalla app prima dell’orario previsto di partenza, ma se mancano meno di cinque minuti alla partenza prevista non puoi comprare il biglietto, e quindi a maggior ragione se il treno è in ritardo secondo la logica Trenitalia non ci puoi salire. Devi aspettare nella banchina il successivo, così, per dispetto.

Per quale motivo avranno deciso che i treni regionali siano l’unico mezzo di trasporto locale dove improvvisare è vietato?

Fino a un paio di settimane fa ho sempre constatato come regole così vessatorie fossero bilanciate dalla ragionevolezza del personale. Per esempio nella tratta da Roma Trastevere all’aeroporto di Fiumicino, un treno ogni 15 minuti, se il primo treno disponibile non è più acquistabile per ritardo o imminenza ho sempre comprato il biglietto per il successivo prima di salire, spiegandolo al personale di bordo che ha puntualmente constatato la buona fede (visto che ho già pagato per un treno successivo che materialmente non potrei prendere dopo aver già preso il precedente, in nessun modo sto pagando meno del dovuto) e non ha mai obiettato.

Questo è stato vero fino a un treno dall’aeroporto di Cagliari Elmas a Cagliari. Biglietto da 1,2 euro mi pare, corro sul primo convoglio disponibile col biglietto già fatto sul primo treno acquistabile, cioè il successivo, e il capotreno Nicola O. mi commina una multa di cinquanta euro e rotti, oltre all’acquisto del nuovo biglietto. Gli chiedo se non sia una regola stupida quella dei cinque minuti. Ammette che lo è, e accetta perfino di verbalizzarlo, giuro, ce l’ho scritto, ma non di comportarsi come tutti i suoi colleghi fino a ora in modo più ragionevole della regola a suo dire stupida.

Mi prendo la briga di fare pazientemente un reclamo ponendo tutte le considerazioni fatte qui, e invece di rispondere al quesito (perché fate regole vessatorie senza senso?) Trenitalia mi ripete la regola.

Ho provato a parlarne scrivendo a Gianpiero Strisciuglio, recentemente nominato amministratore delegato di Trenitalia, ma non mi ha risposto. Né lo ha fatto l’ufficio stampa. Ma io non mollo l’osso, cercherò ancora di contattare Strisciuglio per chiedergli cosa ci guadagna Trenitalia a rendere i biglietti regionali così farraginosi e multare viaggiatori rei di comprare il primo biglietto disponibile per un treno che parte entro cinque minuti. Sarà che Trenitalia vuole instillare lo zen della pianificazione e della lentezza a normali pendolari stressati? Ing. Strisciuglio, venga a raccontarcelo, è il benvenuto a Derrick.

domenica 12 marzo 2023

Pagamento contactless con carta di credito del biglietto Atac Roma (Puntata 567 in onda il 14/3/23)

Foto dal sito Atac
Ho provato a pagare il bus a Roma senza obliterare un biglietto, e funziona!

Di questa puntata non c'è un testo perché è stata registrata in diretta in forma di reportage. Si può ascoltare attraveso i soliti canali descritti altrove in questo sito, incluso Youtube qui: https://youtu.be/zqLFZWdib00


Link:

domenica 18 dicembre 2022

PNRR e trasporti (Puntate 483 e 555 in onda il 4/5/21 e 20/12/22)

Puntata 555

Il tracciato dell'autostrada SA-RC
visto dal monte Pollino

Con mia sorpresa, nell’edizione delle 13.45 del giornale di radio Rai 3 del 17/12/2022 è stato menzionato, anche con una breve intervista all’autore, il libro “L’imbroglio” di Franco Maldonato sul progetto di ferrovia ad alta velocità Salerno-Reggio Calabria. Un tema di cui a Derrick parliamo da quando il testo del PNRR è stato reso noto, cioè da quasi due anni, e che Maldonato tratta con nitore e rilevanza.

Servono ferrovie affidabili, ragionevolmente veloci e in grado di raggiungere tutti i centri rilevanti, non opere faraoniche su direttrici separate da gran parte dei centri di interesse delle zone attraversate. Ha senso, si chiede Maldonato, abbassare i tempi tra Salerno e Reggio Calabria, ma continuare a non raggiungere, per esempio, Matera?

Il progetto segue per molti tratti grosso modo il tracciato dell’autostrada e si tiene lontano dalla costa da Salerno fino ad almeno Paola, nel cosentino. Nemmeno l’attuale stazione di Salerno sarà servita, né quella di Battipaglia, che sarebbero sostituite da altre fermate dedicate. Leggendo il progetto come descritto sul sito delle ferrovie, mi sembra di capire che le uniche aree che potrebbero vedere una migliore connessione, velocità a parte, sono i poli universitari di Fisciano e quello di Cosenza, serviti da due nuove fermate. (Ma c’è da chiedersi quanti abbiano interesse ad arrivare da molto lontano all’università con pochi treni veloci al giorno, anziché con servizi per pendolari regionali efficienti e frequenti).

Una linea ad alta velocità, lo abbiamo già visto in altre puntate (sotto, e link), richiede opere drasticamente più complesse di quelle di una linea convenzionale, con un uso estesissimo di viadotti e tunnel per aumentare i raggi delle curve e limitare i dislivelli. La velocità implica poi la segregazione rispetto alle stazioni convenzionali. Si tratta insomma di un’infrastruttura di fatto separata, poco interconnessa a quella tradizionale e che tende a favorire il trasporto tra pochi hub lontani isolando ancora di più i centri di valenza locale rispetto al passaggio di treni intercity, che essendo parzialmente in concorrenza con l’alta velocità tenderanno a diminuire.

Ma come nota Maldonato, il plauso al progetto di alta velocità arriva da quasi tutte le forze politiche. La narrazione è quella di un’opera per l’emancipazione del Sud, che come tutti gli slogan non vuol dire nulla a meno che non ci si chieda cosa s’intende. Emancipiamo il sud facendo risparmiare tempo all’uomo d’affari che lavora tra Salerno e Reggio Calabria e che non ha ancora imparato a usare le videoconferenze (magari un manager sull’orlo della pensione)? Oppure lo emanciperemmo rendendo più raggiungibili le località turistiche, vivibile la provincia e meno isolati i tanti bei borghi agonizzanti?

Anni fa pubblicai e ora ripropongo qui sopra la foto di quattro canne di tunnel autostradale a quasi mille metri d’altezza che si vedono dalle pendici in prossimità della cima del Pollino, insieme alla devastazione degli sbancamenti dei cantieri per raggiungerle: due tunnel nuovi, due già abbandonati della Salerno-Reggio Calabria. Autostrada oggi veloce e mastodontica, mentre la statale Tirrenica – lontanissima – è d’inverno spesso interrotta per frane. Ora anche l’Alta velocità ferroviaria, tra tunnel e viadotti, passerà in prossimità del Pollino dopo aver anche tagliato più a Nord gli Alburni, dice Maldonato in un’intervista su Youtube. E, aggiungo io, competerà per lo stesso traffico per cui fino a pochi anni fa si sono erette e scavate le opere dell’autostrada.

Come i futuristi di inizio Novecento, identifichiamo la modernità con l’ardore della velocità. A costo di ignorare la qualità della vita, l’ambiente, la bellezza e la connessione delle località intermedie, che forse contano di più. E nell’ansia di riuscire a spenderli, nemmeno ci chiediamo a vantaggio di chi andranno le decine di miliardi pubblici investiti in tunnel e viadotti e sottratti ad altro, perché a ben vedere forse il vero merito dell’alta velocità è proprio questo: far spendere decine di miliardi in fretta per rispettare il PNRR.


Puntata 483

Questa è Derrick e questo è il 179esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che chiuse le scuole per la
seconda volta senza che le superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime.

Parliamo anche noi di PNRR, in particolare di trasporti. Nel documento sono previsti circa 28 miliardi tra fondi UE e fondo complementare per ferrovie e strade, in buona parte dedicati alle ferrovie ad alta velocità. Come ha scritto Marco Ponti sul Domani il 27 aprile 2021 (link sotto), i progetti del Governo riguardo all’alta velocità ferroviaria richiederanno tra i 22 e i 28 miliardi, solo in parte coperti dai fondi UE, e sono stati deliberati senza alcuna analisi costi-benefici, in particolare senza un’analisi della domanda attesa per questo servizio.

Ecco alcune affermazioni sintetiche sull'alta velocità ferroviaria (alcune sono approfondite in altre puntate - link sotto)

  • L’alta velocità al Sud è una bella metafora, suggerisce integrazione e sviluppo
  • Le linee ferroviarie ad alta velocità costano enormemente di più di quelle normali in termini di denaro e uso di territorio. Costa anche molto di più muoverci sopra i treni (l’attrito dell’aria aumenta con il quadrato della velocità, andare molto forte ha costi enormi, da cui anche il mancato decollo della levitazione magnetica)
  • Non si possono interconnettere quasi per nulla (nemmeno nell’uso delle stazioni già esistenti lungo il tragitto) alle linee normali
  • Perfino nelle aree ad alto traffico riducono l’offerta intercity tra centri non serviti dall’alta velocità e anche per questo riducono la connessione di chi non è vicino a una grande città servita
  • Sono utili a chi è disposto a spendere molto per risparmiare poco tempo, cioè tipicamente a manager con impegni serrati che si alternano in diverse città. Un modo di lavorare che si sta riducendo con l'uso ormai diffuso delle videoriunioni. Un’idea non moderna quindi, ma di modernariato
  • Pagarle con soldi pubblici significa drenare risorse verso una minoranza di utilizzatori rispetto alla generalità del pubblico
  • Oltre al primo vantaggio menzionato (la suggestione positiva - ma fallace - dell’integrazione del Sud), l’alta velocità è un metodo relativamente semplice per spendere tantissimi soldi in un solo macroprogetto. Questo sì la rende utile a spendere con successo fondi europei
Poi, finiti i cantieri, resta un’infrastruttura molto invasiva e utile a pochi. La provincia, i borghi, la bellezza e il potenziale economico diffuso del nostro Paese restano disconnessi e pagano, solo per citarne una, la mancata manutenzione delle strade provinciali o mancati progetti di trasporto pubblico leggero extraurbano.

Se guardiamo al turismo: come si può affermare che serva un treno veloce per Reggio Calabria – che potrebbe fermare nel tragitto da Salerno solo in un paio di stazioni dedicate - più che uno affidabile, frequente e confortevole con soste nei principali centri della costa?

Una via francigena ciclabile avrebbe forse impatti più favorevoli in termini di rapporto costi-benefici, connessione territoriale e sociale, sviluppo, attrattività internazionale del Paese?

Il ponte pedonale più lungo del mondo
vicino ad Arouca (Portogallo)
Io credo di sì, ma non lo sapremo mai, perché l’analisi non c’è. Ci sono solo 600 milioni in tutto sulla viabilità ciclabile nel PNRR.

Del resto da noi fino a ora le poche vie ciclopedonali extraurbane si sono fatte solo dove qualche amministratore illuminato ha avuto l’idea di sfruttare vecchi tracciati ferroviari o argini percorribili. Perché non pensare oggi a infrastrutture ciclopedonali progettate ex novo, anche con opere civili, nei luoghi dove potrebbero avere il maggior potenziale?


Link

lunedì 30 maggio 2022

I trasporti locali del futuro (Puntate 474 e 530 in onda il 23/2/21 e il 31/5/22)

Puntata 530

Un articolo sull’Economist di fine maggio 2022 fa il punto sull’uso dei trasporti pubblici a Londra, dove è stata appena inaugurata la nuova linea di metro “Elisabeth line”.

La gente ha ricominciato a usare il trasporto pubblico tradizionale a Londra dopo il Covid? La risposta è: non come prima. In particolare la metro londinese ha oggi il 40% di utenti in meno rispetto a prima del Covid. Lo stesso vale, in misura minore, per bus e treni.

Ma siccome anche l’auto privata è usata un po’ meno nei giorni di lavoro, la domanda inevitabile è dove se ne siano andati gli utenti del trasporto pubblico di Londra.

La risposta è che in parte lavorano ancora da casa (e verosimilmente ormai continueranno a farlo), in parte usano mezzi di mobilità leggera (come le bici) anche condivisa, anche sfruttando la nuova rete di ciclabili di cui la città, come tante altre al mondo, si sta dotando.

L’ultimo rapporto dell’osservatorio nazionale italiano della sharing mobility (purtroppo con dati solo fino al 2020, link sotto) mostra anche da noi un aumento geometrico di chi si muove con bici, scooter, auto o altro condivisi.

L’azienda dei trasporti di Scozia vedendo numeri simili nella sua area ha già cancellato alcuni degli investimenti di potenziamento che erano previsti.

Andiamo dunque verso la fine dei trasporti pubblici? Io non credo, ma credo che probabilmente andiamo verso una loro trasformazione, trainata anche dalla disponibilità di nuove tecnologie.

Intanto, la domanda di trasporti pubblici o condivisi avrà meno la natura di pendolarismo urbano a orari prefissati, almeno se sarà anche la flessibilità degli orari d’ufficio e non solo la possibilità di lavorare da casa ad affermarsi. E con meno intensità di viaggiatori di punta, la necessità di capacità delle infrastrutture si riduce anche a parità di passeggeri.

C’è nello stesso tempo il fenomeno della diminuzione dell’uso di auto private, che prima o poi, quando anche i nostri governi accetteranno di non poter ad libitum foraggiare questo settore fuori da ogni razionalità, comporterà una nuova domanda di trasporto anche tra piccoli centri che raramente è economico soddisfare con il treno. Su questo Derrick si è già avventurato in previsioni che sono facilmente rintracciabili al link in fondo a questa pagina.

Intanto qualcosa si muove a Roma riguardo all’infrastruttura ferroviaria: la stazione Vigna Clara pare proprio che inizierà a funzionare da giugno con treni per collegarla a Valle Aurelia. A chiudere a Nord-Est l’anello ferroviario della città manca però la relativamente breve tratta da Vigna Clara a est fino alla zona di stazione Nomentana (o all vicina stazione-fantasma di Val D’Ala) passando per quella di Tor Di Quinto che oggi serve la vecchia ferrovia da Roma piazzale Flaminio a Viterbo.

Puntata 474

Vediamo se qualcuno degli ascoltatori di Derrick si ricorda di una cosa che io leggevo già mi pare alla fine degli anni Ottanta in qualche periodico, forse Quattroruote. Era un apparecchio basato su tecnologia di comunicazione radio fatto per essere installato in macchina, simile a un Telepass ma non era un telepass: era un lettore di segnali in arrivo da postazioni fisse o mobili sulla strada per avvertire di pericoli dovuti a contingenze o alla conformazione della strada. Mi pare di ricordare che fosse un progetto che coinvolgeva ANAS o ACI, o entrambi. Si vide la pubblicità per qualche tempo, poi prevedibilmente scomparve: la cosa era troppo avanti e richiedeva un livello minimo di diffusione dell’infrastruttura per essere appetibile all’utente privato, ma quella stessa infrastruttura era difficile che si sviluppasse senza l’interesse dei clienti della scatolina. Un classico circolo vizioso che accompagna spesso l’introduzione di nuovi standard o infrastrutture.

Autostrada ad Abu Dhabi (foto Derrick)
Si trattava però davvero di un’iniziativa lungimirante. Lo sviluppo, parziale fallimento e reindirizzamento delle tecnologie di guida autonoma di veicoli stradali degli ultimi anni a mio avviso lo dimostra: nessuna intelligenza artificiale oggi è in grado di avere una cognizione abbastanza olistica e analogica da poter condurre un veicolo in ambienti non protetti su strada, se non con una dovizia di sensori che sfiora il ridicolo (noi guidiamo con due occhi e orecchie e mentre pensiamo a altro, le auto a guida autonoma hanno bisogno di telecamere ovunque, radar, sensori di distanza – anche se è probabilmente vero che noi siamo più fallibili).

Di conseguenza un filone importante degli investimenti nella guida autonomia si è spostato verso la mappatura di estremo dettaglio delle strade, servizio che si sta configurando come una vera e propria infrastruttura di interesse pubblico complementare alle strade stesse.

Uno dei settori più interessanti del piano di ripresa e resilienza mi sembra siano proprio i trasporti, suddivisi tra almeno due dei capitoli (detti ”missioni”) del Piano, il secondo (“Rivoluzione verde e transizione ecologica”) e naturalmente il terzo (infrastrutture per una mobilità sostenibile), in cui è evidente la quasi dicotomia (o più ottimisticamente complementarietà) tra aspirazione a collegamenti veloci tra hub e ramificazione locale dei trasporti.

Per un Paese come il nostro, di borghi che per quanto sempre meno popolati sono sede imprescindibile di bellezza, cultura e attrazione – e dopo il covid forse hanno anche qualche prospettiva di un ripopolamento residenziale da parte delle classi produttive oggi urbane – credo le nuove tecnologie dei trasporti e quindi le nuove forme di trasporto pubblico, saranno decisive.

Difficilmente per motivi di costi un treno potrà mai arrivare in un borgo rinascimentale collinare di 2000 anime. E gli autobus di linea difficilmente possono passare più di un paio di volte al giorno in ognuno degli innumerevoli borghi meno vicini al capoluogo di interconnessione ferroviaria. È verosimile quindi che la soluzione siano forme di uso condiviso di veicoli in grado di spostarsi da soli a seconda delle richieste degli utilizzatori e adatti a funzionare in modo collettivo. Una sorta di car sharing in pool e senza conducente, navette collettive interurbane flessibili che rispondano alle chiamate degli utenti accorpandoli contemperando efficienza e tempi di attesa, che possa costare poco in totale rispetto alle linee di bus e che magari riceva per questo contributi pubblici nel momento in cui vi si sostituisca. Anche a questo servirà l’infrastruttura per la guida autonoma.


Link:

domenica 22 agosto 2021

Trasporto pubblico a Guadalajara (Messico) (Puntata 493 in onda il 24/8/21)

Stazione metro Zapopan centro (linea 3)
Derrick torna con nuove puntate dopo una pausa in cui chi vi parla ha viaggiato, e in particolare ha soggiornato a Guadalajara, la seconda città del Messico, più grande di Roma, dove come al solito si è interessato del sistema locale di trasporto pubblico, di cui questa puntata è un reportage simile ad altri del passato, tutti facili da recuperare in questo blog (link sotto).

Guadalajara, nello stato del Jalisco, Messico centrale, è uno degli esempi di uso di Bus Rapid Transit (BRT), cioè linee di bus ad alta frequenza e portata, segregate dal resto del traffico e con stazioni simili a quelle di una metropolitana, una soluzione di cui qui abbiamo parlato più volte, che ha molti vantaggi di costi rispetto a una metropolitana e che vede applicazioni soprattutto in America Latina e estremo oriente, ma di cui ci sono piccoli esempi anche in Italia (come tra Mestre e Venezia e a Firenze).

Guadalajara però mi ha colpito non tanto per il suo BRT, molto meno vasto per esempio di quelli di Jakarta o Bogotà di cui ho già riportato, quanto per la convivenza di vari esperimenti di trasporto pubblico moderno. Nella città c’è un vastissimo sistema di bike sharing station based, per intenderci quello in cui le bici vanno prese e rimesse in appositi stalli, simile al bike sharing di Milano, con la disponibilità di abbonamenti annuali ma anche di pochi giorni per i turisti. Alcune dorsali di piste ciclabili permettono di spostarsi tra quartieri in bici restando relativamente segregati dal traffico e ho notato – anche da automobilista – un livello generale di rispetto delle regole della strada molto elevato, sicuramente più di quanto i miei pregiudizi potessero farmi attendere.

Ci sono tre linee di metropolitana a Guadalajara, di cui una molto moderna in parte sopraelevata come spesso avviene in America (per esempio a Chicago o a Seattle e, per restare in Messico, a Città del Messico), ci sono aree del centro con limiti di velocità a 30 chilometri/ora e una pianificazione urbanistica che scoraggia il parcheggio in strada. Tutte le domeniche una vasta zona del centro viene pedonalizzata e alcune associazioni distribuiscono bici gratis. Stessa zona che beneficia di un paio di linee di filobus a ridurre inquinamento e rumore.

Brutti invece i bus urbani ordinari: si tratta di rumorosissimi veicoli diesel, perlopiù di produzione Mercedes, con cambio manuale, motore anteriore, privi di sospensioni idrauliche o pneumatiche e in generale con standard decisamente basso rispetto ai bus costruiti per le città europee. (C’è da dire che i bus in Messico, quando non sono previsti per percorsi predefiniti come le vetture BRT citate prima, devono essere in grado di resistere ai terribili dossi artificiali utilizzati in tutto il paese e anche nelle periferie urbane per imporre velocità limitate, e alle buche non sempre frequenti ma certe volte terribili).

In ogni caso, per quanto brutti, questi bus hanno una capillarità e frequenza notevoli. Armato della app Moovit (se non la conoscete installatela, funziona in tutte le grandi città del mondo e guida a una destinazione indicando fermate, linee e direzioni) ho potuto sempre trovare linee di bus per arrivare anche in quartieri molto lontani e senza mai attese superiori ai 10 minuti. A Roma, per esempio, non sarebbe stato possibile.

Una cosa di cui ho notato l’assenza a Guadalajara sono sistemi di mobilità leggera condivisa “free floating”, come auto, bici, monopattini o scooter condivisi parcheggiabili in qualunque luogo compatibile con il codice della strada. Sarebbe interessante capire se si tratti di una scelta dell’amministrazione o delle aziende del settore, o semplicemente un’onda che non ha ancora raggiunto questa affascinante città capoluogo del Jalisco. Saranno graditissimi contatti da parte di esperti in ascolto per provare a rispondere a questo quesito.


Link:

domenica 23 agosto 2020

Consultazione Minambiente su riduzione sussidi dannosi (Puntata 449 in onda il 25/8/20)

In una fase in cui i sussidi a debito stanno invadendo l’economia e ci sembra ormai normale che siano i bonus a suggerirci cosa comprare, va in controtendenza una consultazione del Ministero dell’ambiente che propone di eliminare una (purtroppo piccola) parte dei sussidi dannosi all’ambiente che lo stesso ministero aveva individuato (tutto coperto da precedenti puntate di Derrick al link qui sotto).

Cosa propone il ministero con questa consultazione? Di eliminare, in quasi tutti i casi in modo graduale, alcuni sconti di accisa identificati come dannosi dal ministero stesso. Si tratta di accise su prodotti energetici su alcuni consumi industriali e a beneficio delle forze armate, per un valore a regime dell’ordine di grandezza del centinaio di milioni/anno a fronte di 19 miliardi di € di sussidi dannosi individuati, cui si aggiunge una misura questa sì invece pesante, da 2,7 miliardi a regime, che correggerebbe la voce forse più controversa del catalogo dei sussidi dannosi: la minor accisa su gasolio autotrazione rispetto alla benzina.

Per alcune proposte della consultazione Minambiente non servono nemmeno commenti, tanto sono pacifiche. Per esempio: che le forze armate paghino meno accisa è ovviamente una partita di giro per il bilancio pubblico e disincentiva l’amministrazione a consumare in modo oculato e investire in mezzi più efficienti.

Invece, che la minore accisa autotrazione gasolio rispetto a benzina sia interamente da considerare sussidio, come abbiamo già visto, è meno ovvio. Tra i critici c’è Francesco Ramella, docente di trasporti all’Università di Torino e direttore esecutivo di Bridges Research, che ha scritto un paper prezioso per entrare nei dettagli della valutazione delle esternalità ambientali legate all’uso di carburanti per autotrazione, disponibile al link sotto.

Sentiamo proprio Ramella:

Più in generale, a mia volta commenterei la consultazione Minambiente così: va nella direzione giusta perché prevede la diminuzione di sconti d’imposta dannosi compensandoli con crediti di imposta per investimenti in efficienza per i soggetti coinvolti. È esattamente l’impostazione che può funzionare. Ma la dimensione delle proposte è limitatissima rispetto al problema, e non interviene su alcune delle categorie attraverso cui i danni si esplicano di più (per esempio autotrasporto pesante), né la pubblicazione ad agosto della consultazione è un modo per metterla in cima all’agenda politica.

Grazie a Francesco Ramella


Link

martedì 4 febbraio 2020

Bus Rapid Transit: i casi Giacarta, Bogotà e Firenze (Puntate 382 e 424 in onda l'8/1/19 e il 4/2/20)

Ultimo aggiornamento: 13 gennaio 2025

Puntata del 8/1/19 - Reportage da Giacarta

A Giacarta (una megalopoli con enormi problemi di traffico, in un Paese con un passato da esportatore di petrolio e con una lunga storia di sussidi al consumo di combustibili fossili) ho provato il più grande esempio mondiale di sistema di “Bus Rapid Transit” (BRT), un’alternativa “povera” ma molto interessante per efficienza economica ai sistemi di metropolitane cittadine interrate e su ferro. Sistemi di BRT sono diffusi soprattutto nelle grandi città dell’estremo oriente e d’America.

Di che si tratta? Di un insieme di infrastrutture che permettono a flotte di autobus appositamente concepite di funzionare in modo affidabile e del tutto o quasi del tutto segregato dal resto del traffico. La rete del sistema “Transjakarta” è organizzata in modo simile a quella di una metropolitana e i viaggiatori usano le stazioni anche come punti di interconnessione.
Il sistema prevede una quindicina di linee con stazioni leggermente sopraelevate rispetto al livello stradale, collegate ai marciapiedi da passerelle.
Come in stazioni della metro, si accede con tornelli vidimando il biglietto, che resta valido finché non si esce da una qualunque stazione. I bus hanno porte sopraelevate e – salvo alcuni casi di linee chiamate “di alimentazione” – non sono adatti all’ingresso o uscita dei passeggeri se non in corrispondenza delle stazioni, le quali – come nei moderni sistemi di metropolitane senza guidatore – hanno varchi che si accoppiano esattamente alle porte dei bus (ma con un gap di calpestio inevitabile tra bus e passerella che difficilmente sarebbe considerato sicuro da noi).
Una stazione del BRT Transjakarta

Le corsie dei bus del Transjakarta non solo sono riservate, ma si trovano al centro della carreggiata e non in corrispondenza della corsia più lenta e del marciapiede. Questo è reso possibile dalla rete di stazioni e passerelle rialzate che talvolta fungono anche da attraversamenti pedonali.

Qual è l’aspetto interessante dei BRT? Il fatto che mostrano come per ottenere un sistema di trasporto pubblico ad alta portata e affidabile non conti solo e tanto il tipo di mezzo mobile che viene usato, quanto il contesto d’infrastruttura e di gestione del traffico in cui esso funziona.
A fare della metropolitana una metropolitana, pensandoci bene, non è tanto che si tratti di un treno, ma che, appunto, sia un sistema segregato e autonomo rispetto al traffico stradale, affidabile e ad alta portata.

Passerella di accesso ai bus Transjakarta
C’è un’interessante proposta italiana (link sotto a un articolo in materia) per l’applicazione di sistemi BRT nelle valli trentine di Fiemme e Fassa, soggette a gravi congestioni nei periodi di afflusso turistico, che spero di poter approfondire in prossime puntate con ospiti esperti.







Puntata del 4/2/20 - Il caso Bogotà e i progetti a Firenze


Circa un anno fa abbiamo parlato del sistema di Bus Rapid Transit di Jakarta, un’alternativa più economica e flessibile rispetto alle metropolitane interrate o sopraelevate su binario per fornire trasporto pubblico urbano ad alta capacità e velocità. Un altro caso di successo, per certi versi eccessivo rispetto alla disponibilità della locale amministrazione a potenziarlo, è quello di Bogotá, di cui parla un numero di inizio 2020 dell’Economist.
Un bus Transmilenio fotografato da Derrick
nel gennaio 2024 a Bogotà

Il sistema TransMilenio, così si chiama, come tutti i BRT si basa su una rete di corsie esclusive su cui bus ad alta capienza fanno la spola tra stazioni segregate come quelle della metropolitana: in cui cioè si entra con tornelli per accedere ai bus in corrispondenza di varchi di accoppiamento tra le porte del bus e della stazione, esattamente come nelle metropolitane di ultima generazione. L’Economist racconta che il successo iniziale di TransMilenio (veloce quanto la metro di New York) è stato tale da creare poi problemi di sovraffollamento cui l’amministrazione ha tardato a rimediare, anche a causa delle proteste dei gestori di bus cittadini privati e di fatti di corruzione che hanno rallentato il potenziamento dell’infrastruttura, ripreso solo di recente.

Anche a Vientiane,
nel Laos, sembra prepararsi
una linea di BRT
(foto Derrick, dic 2024)
Anche in Italia sistemi di BRT sono molto sensati in città non abbastanza grandi da giustificare metropolitane (cioè tutte le nostre città che non ne abbiano già), tra cui Firenze, dove è di poche settimane fa la notizia del progetto di una nuova linea di “jumbo bus” dal centro a bagno a Ripoli e un’altra addirittura fino a Greve in Chianti. Si tratterebbe di bus elettrici, da quel che capisco leggendo i vari articoli sulla stampa, privi di una linea aerea di alimentazione e quindi alimentati a batteria (solo in questo diversi dalla recente infrastruttura che collega Mestre e Venezia).

Come abbiamo già visto l’altra volta che ne parlammo, quel che conta in termini di livello di servizio non è tanto il tipo di veicolo, quanto l’infrastruttura di strade dedicate e stazioni, mentre riguardo all’aspetto ambientale l’alimentazione elettrica ha il vantaggio di eliminare l’inquinamento da combustione e ridurre quello acustico.

Un servizio dunque paragonabile alla metropolitana, ma con costi di molte volte inferiori. A Bogotá, scrive l’Economist, uno dei fattori di successo di TransMilenio è che un biglietto di una nuova metropolitana tradizionale costerebbe, per ripagarsi, il 2% del reddito medio mensile pro-capite locale. Se nella vecchia Europa è normale che gran parte dei costi di una metro si paghino con le tasse, non per questo l’efficienza economica dell’investimento è meno importante da noi.


Ringrazio per questa puntata Claudio Gherardini


Link:



domenica 15 dicembre 2019

Treno elettrico (Puntata 421 in onda il 17/12/19)


Immagine
Prezzo storico della benzina per auto in Italia
Concludevo l’ultima puntata identificando in un segmento sociale non urbano e per cui la digitalizzazione comporta pochi effetti nel lavoro quotidiano quello tipicamente più toccato dai costi dei carburanti per autotrazione (che peraltro storicamente in Italia non sono cresciuti in termini reali, vd. foto), e che quindi si oppone di più a ipotesi di carbon tax o di altri elementi che ne scoraggino l’uso. 

Mi ha scritto Stefano Galli, imprenditore agricolo di Montedinove in provincia di Ascoli, facendomi notare che fuori dal contesto urbano c’è molta meno scelta di modi alternativi allo spostarsi con mezzi privati. E lui giustamente rivendica che il suo mezzo a metano è più sostenibile di un diesel fermo a un semaforo cittadino. (Anch’io marchigiano, posso confermare la tradizione di buona penetrazione del metano per auto nella regione, e non riesco a non citare (è la seconda volta) le parole di un libro di Gianfranco Tramutoli edito da Fernandel: “Ho passato la maggior parte della mia infanzia a fare la fila a una pompa di metano con mio padre”).

Credo che il dualismo tra mondo urbano ed extraurbano sia sempre più netto, e come ho già tentato di argomentare credo sia anche esacerbato dalla moda degli assi di trasporto veloci tra capoluoghi a fronte di una rete di strade locali in qualche caso letteralmente abbandonate e di servizi di trasporto extraurbano insufficienti, alla faccia della retorica della valorizzazione del territorio. Più la provincia si spopola, più è difficile che stiano economicamente in piedi anche le linee ferroviarie secondarie, che infatti inevitabilmente si riducono. Una notizia un po’ in controtendenza, che ho preso come spesso capita dall’Economist (che i numi lo proteggano), è un progetto affascinante – e forse perfino con qualche chance di sensatezza economica – di Network Rail, un operatore ferroviario pubblico britannico (in un contesto dove invece molti sono privati dopo una imponente privatizzazione e introduzione del mercato nel settore) che opera linee secondarie elettrificate a una tensione più bassa di quelle principali. Una tensione simile a quella a cui funzionano i generatori elettrici fotovoltaici. Da cui l’idea di usare lo spazio lungo le linee per installare pannelli fotovoltaici da collegare direttamente alla rete di alimentazione della linea ferroviaria, con l’evidente sinergia di non dover potenziare o addirittura costruire nuovi tratti di rete elettrica esterni. In effetti le linee ferroviarie elettrificate sono un’infrastruttura elettrica complessa che può in qualche caso offrire sinergie con quella principale. In Italia, per esempio, la rete elettrica delle ferrovie, che includeva anche impianti di generazione, fu ceduta almeno in parte al gestore della rete elettrica ad alta tensione, che per questo motivo paga alle ferrovie una sorta di canone.

I treni sembrano un buon ambito di sperimentazione anche per l’idrogeno. Ricorderete la puntata qui sui due treni alimentati a idrogeno già in funzione in Germania (link sotto), tecnologia questa di cui si occupa anche lo stabilimento piemontese Alstom di Savigliano, che nell’ambito di un programma UE sta sviluppando questo filone anche insieme all’università e al Politecnico di Torino, come mi segnala Gregorio Eboli, che ringrazio.


Link:

sabato 21 settembre 2019

Incentivi fiscali ad auto aziendali (Puntata 410 in onda il 24/9/19)

Molto prima che lo diventasse nell’agenda politica, il tema del rapporto tra fisco ed ecologia era come sapete nella prima pagina di questa rubrica, dove abbiamo recentemente anche analizzato i dati aggiornati del Governo sui sussidi dannosi all’ambiente.
Una famiglia di questi sussidi riguarda il trattamento fiscale delle auto aziendali.
Cosa s’intende per auto aziendali? S’intendono auto di solito noleggiate a lungo termine da aziende che le mettono a disposizione dei dipendenti anche per uso personale, che è il caso su cui ci focalizziamo ora. In pratica, l’auto è un tipico benefit di quadri e dirigenti aziendali, e l’interesse a usare questa forma (come altre) di retribuzione in natura deriva da un trattamento fiscale favorevole rispetto a una remunerazione in denaro che permetta di acquistare gli stessi servizi sul mercato. Infatti l’azienda paga sulle auto aziendali a uso promiscuo un’IVA agevolata e deduce dalle imposte d’impresa il 70% del canone, mentre il dipendente ci paga sì le tasse sul reddito, ma calcolate su un forfait del 30% del costo convenzionale del benefit su 15.000 km/anno.

Questo sistema fa sì che per il dipendente il benefit valga tanto più quanto più usa a scopo personale l’auto. Il che lo incentiva a preferirla ad altri mezzi.
Ecco forse perché quando prendo il passante ferroviario di Milano, che pure è un caso esemplare di infrastruttura di trasporto urbano e interurbano ad alta capacità, vedo così pochi manager tra i passeggeri.

Andrea Zatti, docente di Politiche Pubbliche e Ambiente dell'Università degli Studi di Pavia e Presidente della Fondazione Romagnosi-Scuola di governo Locale, analizza il tema in un capitolo del suo libro Verso una riallocazione verde dei bilanci pubblici, Pavia University Press, disponibile gratuitamente in versione elettronica al link sotto.
Sentiamo (e vediamo) direttamente Zatti:


C’è un altro punto sulla compatibilità ambientale dell’uso delle auto per lavoro, che riguarda la ricarica dei veicoli elettrici. Se oggi io faccio una trasferta per lavoro, il committente mi rimborsa il carburante. Ma che succede se uso un’auto elettrica ricaricata nel mio box? Se non posso documentare la spesa di ricarica, mi conviene usare un’auto non elettrica. Questo aspetto si lega ad altre questioni un po’ critiche che riguardano la tariffazione e la fatturazione dell’elettricità per ricarica. Arriveremo anche lì. Intanto, grazie ad Andrea Zatti dell’università di Pavia.


Link utili:



martedì 30 aprile 2019

Mobilitaria 2019 (Puntata 395 in onda il 30/04/19)


Sono stato il 17 aprile 2019 alla presentazione a Roma del rapporto Mobilitaria 2019 a cura di Kyoto Club e CNR, un prezioso volume che raccoglie i principali dati sugli inquinanti dell’aria in molte città italiane.
Già la prefazione di Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, dà alcuni dati di sintesi: l’Italia è il secondo paese d’Europa in cui si muore di più per le polveri sottilissime (PM2,5 – 60mila morti all’anno stimate dall’agenzia europea per l’ambiente) e il primo per quelle da biossido di azoto (20mila). Numeri non meno che catastrofici. La tendenza nel biennio 2017-2018 però è generalmente in miglioramento, reso possibile soprattutto dal miglioramento del parco auto e caldaie visto che le politiche di controllo del traffico sono ancora timide.
Restano gli sforamenti dei limiti di legge sui livelli medi di biossido di azoto a Milano, Roma e Torino e delle concentrazioni di punta di PM10 soprattutto a Torino, Milano, Venezia, Cagliari, Napoli.
L’Italia infatti, come a Derrick abbiamo già visto, è stata deferita alla Corte di Giustizia europea per non aver risolto il problema, né averlo per ora affrontato con un piano considerato sufficiente dall’UE.

Milano
Mi permetto qui un commento: se sui cambiamenti climatici il disimpegno passa spesso per inquietanti forme di negazionismo, sul rischio, certificato anch’esso, di morire di inquinamento nelle città italiane, in particolare in quelle più ricche, l’atteggiamento più comune mi pare sia la semplice rimozione. Dei cittadini ancora prima che delle istituzioni. Che importano le morti premature rispetto alla sacra salvaguardia dell’abitudine alle code nel traffico privato? In fondo è così da decenni. Impressionanti i dati che mostrano a Roma, dopo un periodo di calo, un nuovo aumento del numero di auto private pro-capite. (Qui l’osservazione standard è che è colpa del trasporto pubblico che non funziona. Ma se il trasporto pubblico arranca non è solo per l’evidente incapacità dell’amministrazione pubblica romana di farlo funzionare, ma anche per l’impraticabilità delle strade bloccate da auto e scooter privati). Un cortocircuito che a me sembra anzitutto culturale. Peccato abbia effetti così drammaticamente concreti.

Iniziative utili delle amministrazioni pubbliche, citate nel rapporto Mobilitaria, per fortuna ci sono, tra cui un progetto di mobilità sostenibile urbana del Ministero dell’Ambiente del 2017, un finanziamento della finanziaria 2017 per nuovi autobus confermato dal nuovo Governo, la nuova defiscalizzazione degli abbonamenti bus (finanziaria 2018), il piano industriale delle Ferrovie 2017-2021 per il trasporto regionale. Aperta poi proprio in questi giorni una consultazione sulla mobilità sostenibile sul sito del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti, cui seguiranno tavoli di lavoro a cui Derrick ha chiesto di partecipare.
Per la mobilità in bici, sono arrivati 550 milioni pubblici nel triennio 2015-2018.
A proposito: chi scrive, mentre questa puntata va in online e in onda, sta tentando un viaggio in bicicletta, con 3 amici sicuramente più allenati di lui, da Amsterdam a Milano. Spero di poterne trarre elementi per un reportage qui, se torno intero. Anticiperò qualche notizia e foto sul mio account Twitter: micgovernatori.


Link utili:



martedì 12 marzo 2019

Dietro le quinte del car sharing elettrico (Puntata 390 in onda il 12/3/19)

Chicco Tagliaferri
con Michele Governatori
a Roma nel marzo 2019
Lutto - Ci è arrivata la terribile notizia della morte di Chicco Tagliaferri (la cui collaborazione rese possibile questa puntata) in seguito a un incidente stradale a Roma mentre camminava in strada.
A Roma nel solo 2017 sono morti 600 pedoni. Siamo tristissimi per Chicco e per le persone a lui vicine. Speriamo che il suo lavoro con Sharen'go a Roma si riveli prodromo dei successi che merita. (Giugno 2019)


Se vivete a Roma, Milano, Firenze o Modena avrete visto in giro quelle mini automobili gialle che non fanno rumore: è un car sharing elettrico.
Come per tutti i car sharing moderni, i clienti individuano i veicoli in una app, prenotano e poi aprono le portiere sempre tramite la app. Ci si muove liberamente pagando per il tempo utilizzato e poi si può lasciare il veicolo in qualunque luogo di sosta legittimo all’interno dell’area operativa del servizio, come per le bici condivise “dockless” o “free floating” (cioè, appunto, senza obbligo di riconsegna in punti specifici).

Altri servizi di car sharing usano auto con motori tradizionali, ma in termini di interazione con il cliente funzionano allo stesso modo.
Mentre le squadre di ricarica si preparano
la coautrice di Derrick Elisa Borghese
confabula con Chicco Tagliaferri
city manager di Roma di Sharen'go
Quello che con il car sharing elettrico è molto diverso è il rifornimento dei veicoli. Per ora, almeno nel caso italiano che stiamo analizzando, non è il cliente che se ne occupa in cambio di minuti gratis o altri vantaggi, bensì una squadra di logisti che, soprattutto di notte, gira la città per prendere le auto scariche e portarle in un punto di ricarica (in garage privati o colonnine pubbliche in strada).

Qualcuno avrà già intuito che la questione della ricarica non è banale e che anche dalla possibilità di farla in modo efficiente dipende la sostenibilità di un car sharing elettrico.

Recentemente, insieme anche a una piccola squadra di ricercatori dell’università di Roma 3, mi sono intrufolato a Roma in una notte della ricarica delle macchinine gialle per vedere come funziona il lavoro. Ecco alcune delle cose che ho imparato:
  • Ci sono zone dove le auto subiscono più frequentemente danneggiamenti
  • Ci sono zone già dotate di colonnine di ricarica, altre invece da cui i logisti sono costretti a portare le auto relativamente lontano per ricaricarle
  • Il parcheggio illegale da parte dei clienti, con conseguente possibile rimozione del mezzo, costa carissimo all’azienda che gestisce il servizio (e dire che a Roma come in altre città i veicoli in car sharing elettrico possono parcheggiare nelle strisce blu, e che sono talmente piccoli che uno spazio legale si trova quasi sempre)
  • Anche l’occupazione illegittima dei parcheggi riservati alla ricarica elettrica è un problema, anche perché il codice della strada non fornisce ancora tutti gli strumenti per sanzionarla
  • Se un'auto si scarica completamente
    serve la chiave per aprirla e ricaricarla
    in loco quanto basta
    per spostarla a una colonnina
  • Alcuni dei (pochi per ora) proprietari di auto elettriche private provano scorno verso quelle shared che spesso occupano le colonnine (cosa comprensibile, ma è anche vero che le auto condivise, visti i loro effetti di decongestionamento della città, avrebbero molte ragioni per un accesso prioritario o comunque avvantaggiato alle infrastrutture di ricarica).
Dannosi anche i casi (sporadici) di tassisti che deliberatamente staccherebbero i cavi di alimentazione dalle auto condivise in carica, ritorsione che non impedirà al lavoro di tassista di diventare sempre meno diffuso, così come lo stesso car sharing di oggi cambierà, o addirittura finirà per come lo conosciamo, grazie alla prossima capacità dei veicoli di muoversi autonomamente.


Link utili:

  

domenica 18 novembre 2018

Mobilità urbana sostenibile (Puntate 377-8 in onda il 20-27/11/18 e in replica il 25/12/18 e 1/1/19)

Queste puntate si basano su un articolo di Michele Governatori con Gino Scaccia, capo di gabinetto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, uscito nel numero di novembre 2018 di Quale Energia (link sotto alla pubblicazione originale).

Una Sharen'Go elettrica
fotografata a Roma da Elisa Borghese
Gl’italiani apprezzano il car sharing più di tedeschi, inglesi e francesi, secondo un sondaggio di Alix Partners del 2017. Ma parliamo per l’Italia di numeri ancora piccoli in assoluto secondo l’Osservatorio Nazionale per la Sharing Mobility del MATTM e della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile: circa 8.000 vetture di car sharing nel 2017 (numero irrisorio rispetto ai quasi 2 milioni di auto immatricolate complessivamente in Italia nello stesso anno) a cui si aggiungono circa 40.000 bici e 500 scooter, con affermazione ormai consolidata del modello “free floating” (cioè senza obbligo di riconsegna del veicolo in luoghi predefiniti) che introduce una libertà a cui difficilmente chi l’ha provata è disposto a rinunciare successivamente. Se poi è molto facile parcheggiare (come con le piccole auto a due posti o ancora di più con le microcar elettriche e gli scooter) il vantaggio è ancora più evidente.


Mobilità condivisa e congestioni
La mobilità condivisa è anche una clamorosa opportunità di efficienza nell’uso dello spazio urbano, ed è su questo che vogliamo concentrarci qui: sulla possibilità di ridurre il numero di veicoli presenti sulle strade anche a parità di chilometri percorsi.
Le congestioni urbane sono molto dannose per la collettività. Comunque lo si calcoli (reddito mancato o anche solo perdita di qualità della vita) il tempo perso nel traffico costa caro. Inrix stima in 34 miliardi di $ (sic) il danno economico del traffico di New York nel 2017. E gli effetti sulla salute non si limitano a quelli dovuti all’esposizione prolungata agli inquinanti generati dallo stesso traffico: per esempio, uno studio dell’American University di Beirut citato dall’Economist dell’8 settembre 2018 ha accertato che restare imbottigliati aumenta notevolmente la pressione del sangue.
E le auto fanno male anche da ferme se sottraggono spazio ai pedoni e a qualunque altro uso.
I dati TomTom sul traffico nelle principali metropoli indicano Roma al sesto posto nella classifica europea dei casi peggiori, con un rallentamento medio del 40% e picco diurno oltre il 70%. Numeri tristi, anche se per fortuna non siamo ai livelli delle città più congestionate al mondo tra cui Cairo, Delhi, Lagos, caratterizzate anche da un trend d’incremento dei veicoli privati. Trend che nelle nostre città dovrebbe essersi invece finalmente invertito, anche grazie al fatto che dal 2015 al 2017 in Italia i veicoli condivisi (inclusi cicli e motocicli) sono più che raddoppiati e che i sistemi di sharing sono potenzialmente utilissimi nella riduzione del numero complessivo di veicoli circolanti. Utilissimi, ma non sufficienti al risultato.
Perché no?
Perché potrebbe verificarsi che gran parte dei movimenti di un car sharing si concentri nel tempo (oltre che nel verso), cioè che i veicoli condivisi tendano a lasciare i quartieri residenziali tutti insieme all’inizio della giornata di lavoro per poi essere riutilizzati per il rientro. Nel caso estremo, potrebbe succedere che – a parità di spostamenti effettuati con auto – servano lo stesso numero di auto condivise di quante ne servirebbero private per lo stesso numero di passaggi.
Naturalmente non tutti gli spostamenti sono quelli casa-lavoro, e quindi un vantaggio nel rapporto tra viaggi e numero di veicoli con il car sharing di norma c’è, ma è un vantaggio che può essere più o meno rilevante. I dati riportati dall’Osservatorio ci dicono che nelle maggiori città italiane nel 2016 un’auto shared non veniva utilizzata più di 4 volte al giorno. E da questo valore, basso, dipende anche il ritorno economico di chi gestisce i sistemi e quindi, in un contesto competitivo, il loro costo per gli utenti. In altri termini, se il car sharing lavora molto, finiamo per pagare meno ogni minuto di utilizzo, e viceversa.
Se è così, è ragionevole chiedersi se sia sensato cercare di incidere sulle abitudini di spostamento urbano.


Segnali economici o "command & control"?
Alcuni modi per farlo sono già tecnologicamente attuabili e non richiedono all’utente di modificare uno spostamento, ma lo inducono a scegliere o il car sharing o il TPL.
Per esempio piattaforme di osservazione e monitoraggio in grado di fornire dati in tempo reale del traffico e del meteo nel tratto di percorrenza, o la disponibilità di spazi pubblici destinati al car sharing, che dovrebbero essere previsti nei PUMS (Piani Urbani della Mobilità Sostenibile).
I segnali economici poi sono sempre importanti. Per esempio: un’auto shared parcheggiata in una zona dov’è improbabile un suo riutilizzo potrebbe essere proposta a prezzo più basso agli abbonati al servizio. O il suo prezzo potrebbe dipendere da quanto è appetibile il luogo di destinazione, o dalla disponibilità (come già avviene per alcuni gestori per le auto a motore termico) a fare rifornimento. Per le auto shared a trazione elettrica, potrebbe essere premiato il cliente che lascia l’auto collegata a una colonnina di ricarica, fino a permettere al servizio di funzionare senza addetti alla ricarica. (Qui è evidente che la disponibilità di colonnine e il tipo di tariffazione sono decisive: nessun utilizzatore dovrebbe essere incentivato a occupare una stazione di ricarica più del necessario, rischio che con un’auto elettrica shared è endemicamente ridotto rispetto a una privata).
Altro vantaggio del car sharing elettrico è l’”educazione” alla mobilità elettrica: un modo per provarne i vantaggi senza dover correre i rischi di acquistare un veicolo prima che gli standard in termini di infrastrutture di ricarica e batterie si siano consolidati. Un modo cioè per essere pionieri senza dover fare privatamente scommesse tecnologiche.
Una via ulteriore per controllare le congestioni è attribuire prezzi agli ingressi urbani di veicoli che tengano conto dell’effettiva congestione del momento. Sistemi che qualche anno fa potevano esser complicati, ora tecnologicamente sono quasi banali, ma non è detto che sia banale la disponibilità dei cittadini di accettare che le esternalità del loro uso dello spazio urbano vadano pagate.
D’altra parte, tutti accettiamo che un treno nell’ora di punta costi più di uno nelle ore vuote, e tutti constateremmo l’assurdità di una tariffazione che non incentivasse chi è indifferente all’orario a evitare l’ora di punta. Uno studio sull’uso di corsie a pagamento opzionali nelle strade di Los Angeles, sempre citato dall’Economist, mostra che gli automobilisti locali sono disposti a pagare 11$ per risparmiarsi un’ora di traffico.

Il "time management"
Un passo in più, nel congestion management, è l’intervento pubblico di tipo “dirigistico” riguardo agli orari delle attività. Una bestemmia? È accettabile che un’autorità ci dica per esempio a che ora dobbiamo andare al lavoro? Messa così forse no. Ma se pensiamo perlomeno alle attività come scuola e uffici della pubblica amministrazione, perché non dovremmo essere disponibili a che le lezioni dei nostri figli, per esempio, inizino e finiscano un po’ più tardi (o un po’ prima) se questo fa recuperare tempo e qualità nella vita loro e di tutti? Per fare questo però serve modernizzare i contratti di lavoro e la necessità che i datori di lavoro (pubblici e privati) passino a una remunerazione meno basata su orari rigidi di presenza e più sulle prestazioni. Qualcuno ricorda il fotofinish di Fantozzi per timbrare il cartellino in orario malgrado una serie di disavventure mostruose nel percorso da casa? Dopo uno sforzo così, difficile che gli siano rimaste energie per lavorare…
Molte amministrazioni cittadine, soprattutto nel Nord, hanno gli uffici “Tempi”. In passato alcuni di essi ebbero il compito di valutare anche la strada di scaglionamento delle attività cittadine. Proprio l’approccio che qui sopra abbiamo definito “dirigista”, ma che lo diventerebbe molto meno se fosse associato a strumenti di condivisione preventiva con i cittadini.

Insomma: quando parliamo di infrastrutture di trasporto e di congestione, e ne parliamo in termini di costi e benefici, non è affatto detto che le nostre abitudini di spostamento urbano debbano considerarsi una variabile indipendente. Una città è una comunità caratterizzata da grande densità e da forme di convivenza complesse e delicate. Forse, senza essere né illiberale né davvero dirigista, un’amministrazione dovrebbe anche lavorare con i cittadini su come usare meglio la città e non solo su come adattarla al nostro attuale trantran.

Ringrazio, oltre al coautore Gino Scaccia, Elisa Mastidoro (informazioni nella pagina "collaboratori esterni" di questo blog) per l'attività di documentazione.


Link utili:


domenica 14 ottobre 2018

Mi chiamo Guido e guido i bus dell'Atac (Puntate 372-3 in onda il 16-23/10/18)

Bancarelle e pendolari
alla stazione metro romana di Ponte Mammolo

Mi chiamo Guido e guido i bus dell’Atac. Ho 26 anni e guadagno una miseria. Dicono dei conducenti che non si presentano al lavoro, ma io a lavorare ci vado perché se perdo questo impiego sono cazzi. Anche volendo non potrei fare come certi più anziani coi contratti vecchi che fanno quello che vogliono. Ma sempre più spesso vado al deposito e non c’è una vettura per me e resto lì fermo al baracchino con gli altri.

Il dirigente movimento decide da quali linee dirottare i mezzi per metterli in quelle dove arrivano più proteste, in pratica si riduce il servizio nelle linee meno critiche finché qualcuno influente non si fa sentire. Volendo con l’elettronica si potrebbero conoscere i movimenti dei passeggeri in tempo reale e anche quanta gente in media aspetta alle fermate, ma figurati.

Quando ho letto su Metro che la sindaca ha detto che metteva i tornelli nei bus, ero con dei colleghi al deposito che aspettavamo un mezzo per partire, ci siamo messi a ridere. Ma questa l’ha mai preso un autobus a Roma nell’ora di punta? Dove penserebbe di metterlo ‘sto tornello? Infatti io ancora devo vederne uno, e in media cambio 3-4 vetture al giorno.

Ieri a un certo punto arriva Luigi con una pompa dell’olio avvolta in uno straccio e mi dice che se è compatibile col mio Irisbus mi fa fare due giri di 44. Il 44 passa dal Gianicolo dove ci sono le signore cagacazzi che poi se non arriva mandano le lettere in sede. Luigi e gli altri della manutenzione fanno avanti e indietro tra i depositi per prendere i pezzi dai mezzi fermi, ma quei mezzi in teoria dovevano essere riparati, non fermati, e invece dopo un po’ diventano carcasse che non si riesce più a far partire. Quando prendono un pezzo, tipo un alternatore una centralina un iniettore, mettono un post-it dietro allo sportello del motore come promemoria che quel pezzo è stato levato e in teoria dovrebbe tornare.

La collega che aveva denunciato gli incendi per mancata pulizia delle morchie sotto ai pianali, che è una roba da avere paura a starci a bordo, come reazione l’hanno mandata via.
Stamattina ho fatto la 170 con tre spie accese, tra cui l’ABS. A via Marmorata un vigile mi dice di passare sul Lungotevere senza entrare a Testaccio: ma si potrà sapere di una deviazione all’ultimo momento, con la gente che dopo se la prende con me?
I cicalini acustici delle spie li stacchiamo noi conducenti per non diventare scemi. Certe spie sono accese perché mancano i sensori o mancano dei servomeccanismi non indispensabili al movimento, oppure perché si ignora un guasto. Un mezzo non dovrebbe circolare con l’ABS rotto, è una questione di sicurezza mia e dei passeggeri. Ma alla fine cosa devo fare, fermo la corsa? L’unica è andare piano e sperare bene.

Ho sentito di questi #MobilitiamoRoma che vogliono privatizzarci, allora sono andato a un tavolino a vedere. C’era una ragazza della mia età. Le ho chiesto Cosa faccio io se privatizzano l’Atac? Mi ha detto Non è che ti vogliamo privatizzare, vogliamo che arriva un’altra azienda che vince la gara, che può anche essere un’azienda pubblica di un’altra zona, e quell’azienda la prima cosa che fa è assumere qui chi gli serve per portare avanti il servizio a Roma. Mica fanno venire conducenti da lontano, che non conoscono le linee e magari gli devono anche pagare la trasferta. Se devono lasciare qualcuno a casa, sarà dura che ci lasciano te che lavori e gli costi meno di un anziano per non parlare di un dirigente.

Come ragionamento mi fila abbastanza.

Senza contare che magari in un’azienda normale, come in una città normale, avrei dei mezzi sicuri, puliti, che non mi piove in testa, avrei dei passeggeri che non ce l’hanno con me perché il mio collega prima non è passato o non c’era la vettura, e magari mi darebbero anche dei premi di produzione e un aumento pagato facendo timbrare i biglietti.
In fin dei conti non ho capito perché devo difendere proprio io quest’azienda qui e i suoi dirigenti, io che ci perdo sulla mia pelle, che mi faccio il sangue amaro, che mi prendo le umiliazioni dai passeggeri e devo anche stare zitto.

Guido non esiste: è un personaggio di fantasia. O forse ne esistono tanti?


Link utili