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martedì 29 aprile 2025

Resistenza (Puntata 669 in onda il 29/4/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Scrivo questa puntata il 25 aprile, ogni tanto disturbato dagli elicotteri di ronda per la protezione della città durante la convergenza dei VIP per i funerali del Papa. E di resistenza, anche se non quella con la “r” maiuscola che festeggiamo oggi, voglio parlare partendo dallo scontro tra gli atenei statunitensi e il Governo locale che ora subordina i fondi pubblici a forme di rinuncia alla libertà di ricerca o di espressione.

L’Economist in uno degli articoli in materia ha spiegato perché è molto difficile per gli atenei riorganizzarsi per sopperire di colpo alla mancanza di fondi pubblici anche quando questi non costituiscono la maggioranza degli introiti. Non ho motivo di dubitarne. Ma non penso che un direttore d’ateneo per questo dovrebbe rinunciare a difendere la libertà accademica. Così come penso che un dirigente d’azienda abbia la responsabilità di non assecondare una decisione dell’amministratore delegato che ritenga dannosa per l’azienda stessa o incompatibile con le sue regole, a costo di dimettersi (esito che ho visto molto di rado nelle organizzazioni in cui ho lavorato). E così un ministro rispetto al primo ministro, un funzionario, pubblico e non, rispetto alla sua direttrice, e giù fino a coprire qualunque ruolo.

Molti definiscono Trump un bullo, che rende in effetti l’idea di qualcuno che usa tutte, e forse più, le proprie prerogative per obiettivi non solo apparentemente irrazionali, erratici, ma talvolta anche persecutori. Come dovremmo definire un civil servant che asseconda Trump nell’ambito dei propri poteri solo per non rischiare il posto? Osservante? Leale? O invece, al contrario, inosservante del proprio ruolo.

Quel che sto cercando di dire è che forse l’anticorpo ai potenti bulli, perlomeno in un contesto di pace, sono i cittadini disposti a loro volta a usare tutte, e anche più, le proprie prerogative. Non limitandosi alle urne, perché non bastano le urne a conservare né la libertà né uno stato di diritto, lo vediamo in molti casi.

Nessun dittatore potrebbe andare avanti in caso di ammutinamento collettivo. Ma un ammutinamento non avviene se nessuno lo inizia rischiando la propria incolumità professionale o altro. E se non nasce questa resistenza, potrebbe nascere una dittatura.

Ora, aldilà dei miei afflati, la questione degli atenei statunitensi merita un minimo di approfondimento e sono contento di avere ai microfoni di Derrick Mario Macis, economista professore alla Johns Hopkins University di Washington che del tema ha scritto il 17 aprile su La Nuova Sardegna. Sentiamolo qui.

Grazie a Mario Macis che potete leggere anche nelle pagine de Lavoce.info e di ECO, il mensile di economia di Tito Boeri.

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domenica 10 novembre 2024

Insegnare (Puntata 645 in onda il 12/11/24)

Donna con bambino
(da una mostra a Bogotà)
In questa rubrica ogni tanto si parla anche di istruzione. Lo faccio perché penso sia il settore fondamentale per lo sviluppo umano e il futuro delle democrazie, e di istruzione nel mio piccolo mi occupo come docente a contratto in università, un lavoro che mi insegna molto. E che forse è un po’ cambiato in una manciata d’anni.

Il contesto odierno è quello in cui l’accesso online alle informazioni è pressoché illimitato, inclusi dati affidabili e facilmente disponibili per l’elaborazione. Per esempio nel mio settore (energia e clima) esistono agenzie internazionali che permettono gratuitamente l’accesso a vasti dataset e pubblicano continui rapporti per interpretarli e trarne le tendenze più rilevanti e anche le conseguenze in termini di politiche necessarie. Si pensi all’IPCC dell’ONU che si occupa di studiare i cambiamenti climatici o alla IEA, agenzia dell’energia OCSE, che fotografa lo stato e le tendenze mondiali del settore. Anche la possibilità di maneggiare i numeri e fare analisi empiriche oggi è più elevata che in passato, applicazioni statistiche oggi girano anche in pc personali, in un contesto in cui l’infrastruttura informatica mondiale sta investendo verso i sistemi ben più onerosi e capienti che servono a riprodurre euristicamente funzioni del cervello come quella del linguaggio.

Modelli generativi linguistici che gli allievi di pressoché tutti i livelli scolastici possono usare, che sia consentito o meno dalle politiche dell’istituto, anche per produrre elaborati d’esame. Tantoché una delle abilità richieste a un docente è proprio quella di discernere il valore aggiunto dell’allievo ai fini della valutazione.

Ma valutazione a parte, cosa resta da insegnare in questo mondo di dati già disponibili?

Mi vengono in mente due filoni.

Uno. La capacità di discernere tra le fonti e di verificarle, e quindi di riconoscere contenuti potenzialmente inaffidabili. Anche per difendersi da quelle che in modo molto ingenuo o forse invece proditorio nel settore dell’AI vengono chiamate “allucinazioni” e che di fatto sono l’incapacità o peggio il disinteresse dei sistemi generativi di distinguere tra aree in cui l’interpolazione (cioè l’invenzione analogica) è sensata e altre in cui invece occorre attenersi strettamente all’evidenza, cioè a casi osservati e verificabili.

Due. La ricerca delle connessioni. Nel mare dei dati e delle sollecitazioni, molte delle quali sono il semplice rimbalzare nel web di suggestioni per qualche motivo diventate virali, è utile aiutare gli allievi a trovare fili argomentativi, percorsi di interpretazione. Che possono essere i più disparati, ma richiedono coerenza interna, consequenzialità, robustezza. Anche passione, gusto per la proposizione di un’ipotesi e onestà e accuratezza nel testarla rispetto al mare potenziale di evidenza reperibile. E credo che un vigile anticonformismo, nel mondo dei trend virali, sia di norma un ottimo punto di partenza e un valore da insegnare.

Mi occupo di economia ma non sono uno statistico né un econometrico. So però che con un po’ di malizia o imperizia si possono far dire agli stessi dati molte cose diverse, cose talvolta non facilmente controvertibili nemmeno quando incoerenti tra loro. Alla fine trovare un filo argomentativo, una conclusione politica, una propria posizione, richiede un mix di accuratezza, umiltà ma anche intuizione, capacità dialettica, rischio, gusto per la narrazione, capacità retorica e nello stesso tempo di smontare la retorica (un po’ come per proteggersi da un hacker serve un hacker), capacità di cambiare idea.

Assecondare lo sviluppo di questo strano mix di competenze che fa per ora della nostra intelligenza una cosa diversa da quella artificiale è forse il compito di un insegnante.

Rileggendo questo testo mi chiedo se non dia troppo valore alle tendenze recenti e alle novità tecnologiche rispetto alla descrizione del lavoro di un docente. Ricordo una frase di Amedeo Bertuccioli, mio prof. di francese al liceo, che una volta descrivendo il proprio lavoro disse: cerco di aiutarvi a ragionare con la vostra testa. Ecco. Trentacinque o più anni dopo, mi sembra sempre un’ottima sintesi.

lunedì 19 giugno 2023

Il liceo del made in Italy (Puntata 579 in onda il 20/6/23)

Qui a Derrick ci occupiamo ogni tanto anche di istruzione, non perché chi vi parla ne sia un esperto, ma perché crede che sia di gran lunga l’investimento più critico per il nostro futuro democratico, economico, sociale.

Ogni tanto scatta la polemica sull’utilità degli istituti tecnici rispetto ai licei. Da professionista nel mondo di imprese e altre organizzazioni, mi sono convinto che le competenze più importanti in chi inizia a lavorare siano quelle trasversali. In primis padroneggiare l’italiano (cosa che spesso non si riscontra nemmeno nei laureati) ed essere in grado di affrontare un quesito in termini analitici. A mia figlia ho consigliato di imparare a leggere un’equazione e una poesia prima di chiedersi cosa si farà di queste competenze.

Molto più delle mie opinioni sono utili però testimonianze di chi nella scuola ci lavora.

Come in passato abbiamo oggi a Derrick un insegnante di scuola secondaria, Emanuele Pinelli, che ci parla del nuovo “liceo del made in Italy” e della dicotomia licei-istituti tecnici non solo dal punto di vista sostanziale, ma anche della loro percezione:

Audio di Emanuele Pinelli

Grazie Emanuele Pinelli


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sabato 29 aprile 2023

Le valutazioni della performance della scuola - Con Joshua Honeycutt Balduzzi (Puntate 572-3 in onda il 2-9/5/23)

Banco del liceo Virgilio di Roma
fotografato da Derrick nel 2018
Puntata 572

Questa è la puntata 572 di Derrick, una pillola settimanale dedicata di solito a energia, ambiente, economia. Dico di solito perché ogni tanto ci sono digressioni, e forse la principale di queste è stata già in passato la scuola, di cui io non sono un esperto, ragion per cui ho invitato a parlarne chi ne sa, oppure ho citato studi in materia.

Di scuola mi occupo semplicemente perché credo sia lo strumento più importante e l’investimento più prezioso per la società. La crescita – o la sopravvivenza – delle democrazie, tanto per dire una cosa da poco, dipendono dall’istruzione. A livello individuale, insieme alla famiglia di origine credo che la qualità dei prof incontrati nella scuola dell’obbligo sia uno dei fattori più decisivi nell’indirizzare le nostre vite in una direzione o nell’altra, nell’attribuirci maggiori o minori capacità di cavarcela, di essere felici, di contribuire al progresso.

A margine di una conferenza ad Aviano, alcune settimane fa, ho avuto il piacere di incontrare di nuovo Joshua Honeycutt Balduzzi, un giovane insegnante di italiano, storia e geografia in una scuola secondaria di primo grado (le vecchie medie) in Friuli. Honeycutt Balduzzi è una persona impegnata in vari fronti, e naturalmente ha idee anche su come l’istituzione per cui lavora, la scuola, potrebbe essere più efficace.
Approfitteremo delle sue competenze per almeno due puntate, partendo oggi con un punto sugli esiti dei test di competenze somministrati agli allievi della scuola italiana.

Qui la voce di Honeycutt Balduzzi: https://youtu.be/b28bTqjHXOY?t=73

Grazie a Joshua Honeycutt Balduzzi, che ritroveremo nella prossima puntata per parlare di valutazione degli insegnanti, a mio avviso un grande disastroso tabù della scuola italiana.

Puntata 573

Chi di noi non ha esperienza di quanto sia stata importante per la propria formazione la qualità degli insegnanti a scuola?

Quale genitore non pagherebbe care informazioni preventive sul talento e la professionalità dei prof nella classe in cui pensa di iscrivere il figlio?

Valutare i docenti si può, con tecniche già testate in altri Paesi, e c’è evidenza che la presenza di sistemi di valutazione, se efficaci, aumenti la qualità del loro lavoro.

Ma gli amici insegnanti che ho io sembrano perlopiù convinti che qualsiasi giudizio al proprio lavoro non possa che essere distorto, inutile o lesivo della propria “libertà d’insegnamento”.

Queste righe erano l’inizio della puntata 374 di Derrick andata in onda nel 2018. Se gli insegnati che conosco la pensano perlopiù come riferivo nel 2018, ora abbiamo il piacere di avere con noi per la seconda puntata di seguito un’autorevole eccezione: Joshua Honeycutt Balduzzi, che ci parla proprio di valutazione degli insegnati anche in termine di sua esperienza:

https://youtu.be/7YSIV18ZW3s?t=60

Grazie a Joshua Honeycutt Balduzzi.


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Tutte le puntate di Derrick sulla scuola in ordine anticronologico (a partire da questa): http://derrickenergia.blogspot.com/search/label/Scuola

Informazioni da Openpolis sui dati di questa puntata:


lunedì 27 dicembre 2021

Stretta alle "occupazioni" scolastiche nel Lazio? (Puntata 509 in onda il 28/12/21)

Gravina di Puglia (Foto Derrick)
Un articolo di Gianna Fregonara sul Corriere della Sera del 21 dicembre 2021 letto a Stampa e Regime di Radio Radicale da Alessandro Barbano ha catturato la mia attenzione.

Ricorderanno forse gli ascoltatori di Derrick che non sono stato tenero durante il lockdown con l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio che, così come quelli di altre regioni, ha contribuito a scegliere di chiudere le scuole più a lungo di gran parte degli altri paesi avanzati. Ora sembra – ma tocchiamo ferro – che il Governo sia finalmente riuscito a far prevalere una linea di maggior garanzia per il diritto allo studio in presenza (e come sappiamo le evidenze su quanto poco la DAD gli sia paragonabile già abbondano, e ne abbiamo parlato anche di recente in una puntata di cui ho messo il link in fondo a questa pagina).

In questo contesto arriva una lettera ai presidi delle scuole superiori (riportata sotto) di Rocco Pinneri, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, che chiede ai presidi di identificare, se ci riescono, denunciare per interruzione di servizio pubblico e chiedere i danni ai responsabili delle cosiddette “occupazioni” degli istituti scolastici, che almeno a Roma sono una consuetudine dei “collettivi studenteschi”.

Pinneri scrive che nelle recenti occupazioni sono avvenuti “vandalismi contro arredi e dotazioni laboratoriali, infissi, impianti, razzie ai distributori automatici e ai bar interni, distruzione di controsoffitti” e altro. Danni a cui si aggiungono i tempi di ripristino che hanno, nel caso che conosco direttamente, quasi raddoppiato i tempi di scuola persa rispetto all’occupazione vera e propria. Il tutto, secondo un tranquillo (si fa per dire) rito annuale abbastanza tollerato e perfino incoraggiato da alcuni genitori.

Ho già da tempo abbandonato la chat dei genitori della classe di mia figlia per evitare mie reazioni scomposte nel sentirmi dire che queste occupazioni sarebbero un momento di crescita e autodeterminazione dei ragazzi (chissà perché gli stessi genitori non mettono a disposizione propri spazi da adibire ad attività alternative alla scuola ed eventualmente da vandalizzare per crescere, anziché quelli della scuola pubblica). Pinneri scrive che non c’è niente di “politico” in queste azioni, e così secondo me coglie solo in parte il punto, che forse può essere descritto meglio da chi ha una cultura radicale. In questo senso: la disobbedienza civile non può essere così vigliacca da fuggire le proprie responsabilità, anzi vale proprio il contrario: uno studente che ritenga suo dovere civile non andare a scuola o addirittura occuparne uno spazio non dovrebbe farne pagare il conto al resto della collettività e ai suoi compagni in primis, conto che consta soprattutto di scuola persa. La disubbidienza civile è tale se chi la compie si espone pienamente alle sue conseguenze in termini di responsabilità personale. Ma poi: veramente i collettivi pensano di essere più credibili impedendo le lezioni anziché facendo le loro azioni in aggiunta al lavoro scolastico? Se vedessi un’occupazione senza danni in soli periodi di vacanza, per organizzare una scuola alternativa, o se l’avessi vista durante la DAD, ne avrei colto io stesso la forza. Ma nel modo in cui avviene di norma no, troppo comodo e per nulla credibile.

Ora, che questo rito di prepotenza con la copertura di istanze politiche si sia ripetuto anche dopo il disastro della scuola persa per covid forse mostra che stiamo comprendendo ancora poco l’entità del danno da mancata scuola. Speriamo questa consapevolezza cambi.

Ringrazio per questa puntata Daniela Buongiorno.



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lunedì 8 novembre 2021

Quarta ondata covid e scuole - Progetto euCARE (Puntata 502 del 9/11/21)

Antonio Quiros
Ritrato de Don Quijote
Quando mia figlia qualche giorno fa mi ha annunciato che il suo liceo avrebbe (aperte virgolette) occupato (chiuse virgolette), cioè che un gruppo di studenti avrebbe impedito a tutti di fare lezione per una settimana, ho cercato di raccogliere tutto l’amore paterno e ho evitato di guardare sia la chat sia la mailing list dei genitori della classe per evitare quel che avrei altrimenti sicuramente fatto: e cioè dire senza alcuna delicatezza che la cosa più cretina che uno studente possa fare riguardo alla sua capacità di influenza sul potere è restare ignorante perdendo giorni di scuola.

Ora si parla di quarta ondata di covid e nei miei incubi c’è lo spettro che per salvare il Natale (sempre tra virgolette) si richiudano le scuole. In questo contesto mi fa piacere apprendere che l’UE sta finanziando progetti per rendere più efficace il monitoraggio e uscire da una logica di reazioni d’emergenza.

In che modo le varianti al Covid, insieme ad altri fattori, ne influenzano il decorso clinico? Ci sono varianti che rendono meno efficace qualcuno dei vaccini o che sfuggono ai test sierologici o molecolari?

E venendo specificamente alla scuola: le varianti influenzano, e come, la diffusione in ambito scolastico? Possiamo definire una migliore strategia di test e contenimento negli istituti di istruzione? Qual è e quale è stato l'impatto delle misure di contenimento, compresa la DAD, su alunni e insegnanti?

Con il coordinamento dall’italiana EuResist Network, 22 università, ospedali e centri di ricerca lavoreranno per fornire risposte basate sui dati, in un progetto il cui lancio avverrà a Roma l'11 e il 12 novembre [2021] e vedrà la partecipazione internazionale di 60 scienziati e di rappresentanti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

“La scuola è un ambito in cui gli effetti della pandemia sono stati sottovalutati”, dice a Derrick Francesca Incardona amministratrice delegata di EuResist Network. “Per studiarla arruoleremo scuole in contesti socio economici diversi e valuteremo una metodologia di test salivare di gruppo, rapida ed economica, sviluppata dall’Università tedesca di Colonia. Con Sara Gandini, epidemiologa presso l’Istituto Europeo di Oncologia, studieremo anche gli aspetti psicologici delle misure di contenimento e la diffusione dell’epidemia nelle scuole comparandola con i nostri studi del 2020.”

Alla riunione di avvio dei lavori potranno assistere giornalisti o esperti del settore previa registrazione con la stessa Incardona, che ringrazio. L’indirizzo mail per farlo è qui sotto.


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domenica 25 aprile 2021

Riapre quasi tutto, le scuole superiori restano part-time (Puntata 482 in onda il 27/4/21)

Chiesa sommersa nel lago di Mavrovo
(Copyright Derrick)
Questa è Derrick e questo è il 172esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che chiuse le scuole per la seconda volta senza che le superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime.

In almeno due passaggi la bozza di PNRR scrive che la pandemia ha danneggiato soprattutto i giovani, ma forse andrebbe corretta in: le politiche di risposta alla pandemia hanno danneggiato soprattutto i giovani che invece erano stati meno colpiti dalla virulenza della malattia. Politiche che non hanno mai considerato l’andare a scuola, in particolare per un teenager che tanto anche se sta a casa non impedisce ai suoi genitori di lavorare, come un’esigenza “comprovata” di spostamento.

L’ultimo decreto-legge in materia del Governo (n.52/2021), che ha riaperto quasi tutte le attività pur mantenendo il coprifuoco, è arrivato dopo dichiarazioni di Draghi sulla priorità della scuola nelle riaperture, ma ha lasciato le cose sostanzialmente invariate, reiterando la formula del limite minimo di apertura (leggermente incrementato al 70%).

Dovrebbero essere quindi i singoli dirigenti scolastici a prendersi la responsabilità di aprire di più, esponendosi a rischi legali e impopolarità, se non ritorsioni, rispetto a personale e sindacati massicciamente schierati perché in classe si stia il meno possibile.

Ma non basta, le Regioni stanno eludendo la pur timidissima norma del Governo. Per esempio l’ufficio scolastico regionale del Lazio (link sotto) dispone quanto segue, dopo aver sentito “sua eccellenza il prefetto”, il Comune e l’azienda trasporti: il 70% di scuola in presenza alle superiori può essere ignorato se le condizioni lo richiedono, e invece le scuole che vogliano aprire di più devono chiedere l’autorizzazione.

Un’impostazione intimidatoria: i dirigenti che non ritengono di poter aprire il minimo richiesto devono “comunicarlo”, quelli che invece vorrebbero fare meglio devono essere prima “autorizzati”.

Difficile non essere d’accordo con il comunicato del 22 aprile [2021] del coordinamento dei presidenti dei Consigli di Istituto di Roma e Lazio (link sotto), che inizia dicendo: “restiamo alla scuola degli slogan”. Direi anche che, se quasi tutto apre e la scuola resta sacrificata, si può dedurre che siamo di fronte a un ridimensionamento di lungo periodo dell’istruzione superiore in Italia.

Così han deciso le burocrazie locali, sentita sua eccellenza il prefetto.

Ringrazio per le fonti di questa puntata Daniela Buongiorno.


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martedì 6 aprile 2021

Covid e varianti: si deve tornare a scuola (Puntata 479 in onda il 6/4/21)

Lo scorso 1 aprile si è svolto il seminario “Covid e varianti: si può tornare a scuola?” organizzato da EuResist Network e McCan Health.

Antonella D’Arminio Monforte, ordinario di Malattie Infettive all’Università degli Studi di Milano ha riferito come da numerosi studi scientifici (es. dati OMS fino al 22 marzo) emerga che anche con le nuove varianti il virus resta meno frequente nei bambini e ragazzi sotto i 20 anni che negli adulti e soprattutto che la mortalità è bassissima in questa fascia d’età. Studi inglesi mostrano che la variante inglese non ha portato malattia più severa nei bambini e ragazzi.

E per quanto riguarda la contagiosità?

L’epidemiologa/biostatistica Sara Gandini ha illustrato un suo studio con altri 4 colleghi su dati italiani di 7 milioni di studenti e 700.000 insegnanti dal 14 settembre al 7 dicembre 2020 pubblicato su the Lancet che mostra come l’incidenza di casi nelle scuole sia minore tra gli studenti che tra gli insegnanti, con maggiore probabilità che l’infezione passi da insegnante a studente che viceversa. Lo studio usando analisi comparate tra regioni con diversi calendari di apertura mostra anche che l’andamento dell’indice Rt locale (e altri indicatori) non dipende dall’apertura delle scuole: per esempio Roma ha aperto prima di Napoli ma la curva è salita prima a Napoli che a Roma.

Riguardo alle varianti, ha aggiunto che un rapporto di gennaio della Public Health England ha mostrato che la variante inglese si trasmette in modo simile in tutte le fasce d'età, e che i bambini, specialmente quelli di età inferiore ai dieci anni, hanno circa la metà delle probabilità degli adulti di trasmettere la variante ad altri. I dati dell’Istituto Superiore della Sanità di marzo mostrano un aumento di incidenza nelle fasce d’età scolare in concomitanza con un aumento del numero di campioni, che spiega quindi il dato. La controprova viene dalla Toscana dove ci sono i dati sul numero di campioni per età: il rapporto tra positivi e tamponi effettuati tra gennaio e marzo 2021 non si modifica a fronte di tamponi triplicati e resta minore nei minorenni rispetto agli adulti.

Daniele Novara, pedagogista, fondatore e direttore del Centro PsicoPedagogico, ha sostenuto che la chiusura della scuola provoca danni gravissimi a bambini e adolescenti e ha lamentato che non ci sono pedagogisti né psicologi nel Comitato Tecnico Scientifico.

Antonella Inverno responsabile per le politiche per l’infanzia e adolescenza di Save the Children Italia ha illustrato uno studio della stessa organizzazione da cui risulta una perdita di apprendimento difficilmente colmabile, esito di quasi 75 milioni di ore di lezione perse nel nostro paese solo fino al 3 aprile 2021, solo in parte (10-15 milioni) recuperate tramite la didattica a distanza. Senza contare che uno studente su dieci non ha partecipato alla didattica a distanza e il 20% l’ha fatto solo saltuariamente.

Andrea Morniroli, socio della cooperativa sociale Dedalus di Napoli, coordinatore dello staff del Forum Disuguaglianze Diversità e collaboratore dell’Assessorato alla Scuola e Istruzione del Comune di Napoli, ha raccontato la situazione drammatica di una città dove ormai si perdono uscendo dal circuito scolastico centinaia di bambini e ragazzi non censiti dai servizi sociali. I sindacati della scuola oggi sono di fatto contro la scuola, dice, e non è il solo nel convegno.

Carlo Devillanova, economista, membro della Fondazione Franceschi onlus, ha citato i danni economici in termini di minori stipendi futuri dei ragazzi. Studenti anche loro presenti hanno espresso il loro disagio. Gabriele Toccafondi, parlamentare segretario della Commissione Cultura della Camera dei Deputati, e Claudio Di Berardino Assessore Scuola della Regione Lazio si sono infine impegnati a riportare nelle rispettive sedi le risultanze del convegno.

Ringrazio Francesca Incardona, organizzatrice dell’evento, che mi ha aiutato a sintetizzarlo.


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martedì 12 gennaio 2021

Scuola all'ultimo posto (Puntata 468 in onda il 12/1/21)

Nell’ottobre 2020 l’organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che le scuole dovrebbero
chiudere solo se non ci sono alternative. Nello stesso mese il Comitato Tecnico Scientifico, istituito in seno alla protezione civile per la gestione dell’emergenza Covid, comunicava che in base ai dati in quel momento disponibili le scuole andavano salvaguardate perché non sono un luogo di elevato contagio.

Ignorandolo, il Governo ha subito dopo di nuovo chiuso le scuole secondarie che da marzo 2020 non hanno fatto che pochissime settimane di lezione effettiva.

Nessun altro grande Paese europeo ha fino a oggi chiuso le scuole se non per periodi limitati. Del resto, nessun altro grande Paese d’Europa ha avuto produttività stagnante e reddito in calo come il nostro nell’ultimo ventennio circa. Ci sarà un legame tra la debolezza della scuola e il declino anche economico? In Italia da decenni, non da oggi, gli anni scolastici iniziano con classi scoperte, i genitori (quelli che si prestano) pagano con collette gran parte delle spese correnti degli istituti diverse dagli stipendi, i dirigenti scolastici non hanno quasi nessun potere rispetto all’organizzazione delle risorse e alla selezione e remunerazione degli insegnanti che sono tutti pagati poco e responsabilizzati altrettanto.

Le risorse arrivano, come abbiamo già visto qui a Derrick anche con interviste a una rappresentante dell’associazione dei consigli di istituto, Daniela Buongiorno, e del presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli, in esito alla potestà concorrente di Regioni e Stato centrale. Le stesse Regioni che hanno quasi interamente decretato in questi giorni la fine probabile dell’anno scolastico 2020-2021, sostanzialmente mai iniziato, per le scuole secondarie.

Nella retorica del lockdown, una “comprovata esigenza di lavoro” scritta in un’autocertificazione cartacea è abbastanza per spostarsi in barba a qualunque limitazione. Ma la scuola non è evidentemente lavoro, e non è un’esigenza prioritaria percepita dalla classe di governo nel suo complesso. Non è un ristorante, un parrucchiere, un centro commerciale, una istituzione di culto. La scuola e i suoi studenti adolescenti, forse quelli per cui questa istituzione è più critica, non hanno priorità di alcun tipo, né diritto ad alcun ristoro.


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lunedì 23 novembre 2020

Intervista a Niccolò Argentieri sulle scuole superiori chiuse (Puntata 462 in onda il 24/11/20 e in replica il 29/12/20 e 16/3/21)

Un banco del liceo Virgilio di Roma (particolare)
Sento indiscrezioni su un nuovo bonus acquisti di Natale, pagato come tutti gli altri con debito che graverà su tasse e minori servizi futuri, e mi viene in mente una favola triste, non ricordo scritta da chi, che qualche mia maestra o maestro adattò per una recita delle elementari. La storia di un padre facoltoso ma assente (negli anni Ottanta non ci si faceva ancora scrupoli a ipotizzare che a essere facoltoso e assente fosse il genitore maschio) che cerca di compensare con molti regali al figlio.

Ecco, io come cittadino mi sento un po’ come quel figlio: mi sembra che lo Stato stia cercando di compensare con mancette il fatto che non riesce a darmi in misura adeguata, e adeguata all’emergenza, ciò che solo lui potrebbe darmi: anzitutto sanità e scuola.

Il resto di questa puntata è la lettura dell’intervista di Giada Giorgi, apparsa su Open, il giornale online gratuito fondato da Enrico Mentana, a Niccolò Argentieri, un professore di matematica e fisica di un liceo statale che, in tempi normali, fuori dall’orario di scuola organizza un ciclo di conferenze con allievi ed ex allievi chiamato “Caffè scientifico”.

Ecco alcuni passaggi delle parole di Argentieri, adattate solo in pochi punti per collegare diversi segmenti del discorso:

La didattica a distanza viene presentata spesso come una medicina, una soluzione che può lenire un problema più grande. In realtà è un veleno. Perché contribuisce a [far apparire] la chiusura delle scuole un gesto meno forte di quello che in realtà è. Alcune cose [la didattica a distanza] certamente permette di farle, ma [… soprattutto] per i ragazzi del liceo, che a differenza di [quelli delle] elementari e medie subiscono attualmente la chiusura totale, […] la scuola a casa è […] un’aberrazione. Un liceale ha bisogno di essere persona fuori dal suo essere figlio, ha bisogno di buttarsi nel mondo esterno per crearsi un’identità diversa, acquisire consapevolezze maggiori. In alternativa finisce per chiudersi perennemente nella cameretta, quando ce l’ha, e di vivere lì, tentando di ricrearsi un mondo di autonomia. Senza considerare poi le conseguenze sulla didattica in sé, […] dimezzata e vanificata [malgrado gli sforzi] per continuare il progetto formativo. La maggior parte degli argomenti [di studio delle mie materie] hanno avuto bisogno di essere ripresi da capo [dopo i mesi a distanza dello scorso anno scolastico]. Rimanere a distanza anche a gennaio sarebbe un colpo dal quale non credo […] potremmo rialzarci. Non è un invito a rischiare né tantomeno una volontà di fare fazioni a prescindere. Ma il punto è che se la scuola è davvero una delle cose più importanti come molti dicono, allora si chiude soltanto quando a chiudere è tutto il Paese.


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sabato 12 settembre 2020

Riapertura scuole: interviste a Antonello Giannelli ANP e Daniela Buongiorno (Puntate 451-2 in onda 8-15/9/20)

  • Ci sono gli insegnanti e il personale per presidiare i maggiori spazi necessari alla didattica in presenza con distanziamento?
  • C'è un rapporto tra il nuovo concorso MIUR e l'arrivo del personale straordinario?
  • La disponibilità degli spazi da chi dipende?
  • In quali circostanze è previsto il ricorso alla didattica a distanza?
  • I "contributi volontari" che gli istituti chiedono ai genitori a cosa servono? Come devono venire utilizzati? Si tratta di un'abdicazione dello Stato?
Questi i temi toccati nell''intervista rilasciata a Derrick da Antonello Giannelli presidente dell'Associazione Nazionale Presidi il 2/9/20, qui sotto nella versione integrale:


Successivamente alla puntata di Derrick con l'intervista qui sopra, ho ricevuto ulteriori segnalazioni riguardo a casi di scuole che invece non beneficeranno, o lo faranno in modo insufficiente, delle maggiori risorse di cui parla Giannelli.
Sentiamo su questo Daniela Buongiorno, sentita l'11 settembre 2020, presidente del consiglio d'istituto di un liceo romano e rappresentante del coordinamento dei presidenti dei consigli d'istituto di Roma e Lazio:

Dunque gli Uffici Scolastici Regionali hanno un ruolo nel distribuire le risorse statali, e sulla base delle scelte che si stanno facendo non tutte le scuole hanno (o ritengono di avere) le risorse di personale per riaprire completamente.
Questo a prescindere del fallimento nella fornitura tempestiva dei banchi monoposto.

Derrick continuerà a seguire la materia e a dare voce a rappresentanti del settore scuola.


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martedì 1 settembre 2020

Paris Saclay (Puntata 450 in onda il 1/9/20)

Ho l’impressione che ci sia una contraddizione tra le dichiarazioni rassicuranti del Governo rispetto alla riapertura delle scuole e i piani di istituti che invece si preparano a riaprire con una limitazione delle ore di lezione frontale, dopo che i più disparati esperti ci hanno spiegato che le lezioni a distanza svantaggiano soprattutto gli allievi più deboli in termini di competenze già acquisite e preparazione al digitale, rendendo quindi la scuola di fatto classista, oltre che meno efficace.

Vorrei tentare con Derrick di raccogliere le voci dei dirigenti scolastici che ritengano di non essere messi in condizioni per una riapertura completa, per poi invitare il MIUR a dire la sua sempre in questo spazio. La mail a disposizione per i dirigenti, o presidi come eravamo abituati a chiamarli, è derrick.energia@gmail.com.

Nel frattempo, cito una notizia da Parigi dell’Economist della settimana scorsa. Il Governo francese ha messo in atto – in parte secondo l’autore dell’articolo anche come risposta post gilets jaunes alla percepita elitarietà del sistema francese delle grandi scuole superselettive – un processo di aggregazione delle università pubbliche che ha prodotto tra l’altro “Paris Saclay”, una grande università con 9000 tra docenti e ricercatori e 48.000 studenti. Specializzata in materie scientifiche è stata lanciata solo quest’anno con l’obiettivo di essere l’MIT di Francia e secondo il Shanghai world University ranking – scrive l’Economist - è già al quattordicesimo posto nel mondo e al terzo in Europa dopo Cambridge e Oxford.

Al di là dell’affidabilità di questa classifica, quel che mi sembra interessante del caso francese è che investire in conoscenza si può. E visto che ci stiamo indebitando in modo drammatico, che questo debito corrisponda a investimenti in capitale umano potrebbe essere forse l’unico modo per sperare di ripagarlo.


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domenica 10 maggio 2020

Primo, riaprire le scuole (Puntata 437 in onda il 12/5/20 e in replica il 2/6/20))

Illustrazione di Andrea Ucini (@andreaucini su Twitter) per The Economist
Un articolo sull’Economist del 2 maggio 2020 s’intitola: “Open schools first” e argomenta perché chiudere le scuole provoca danni, anche economici, maggiori ai benefici di riduzione del contagio.

Una questione fondamentale, forse la principale, è il ruolo della scuola nel promuovere parità di opportunità.
L'attitudine di studenti e famiglie ad assecondare la formazione a distanza è molto disuguale, e non solo per il cosiddetto digital divide: la formazione a distanza funziona ma richiede una maggior collaborazione di chi la riceve e un set di competenze già acquisite, e difficilmente permette di costruire lo stesso rapporto di fiducia e lealtà che un docente in gamba stabilisce in aula. Questo vale soprattutto per la scuola primaria, ma se ripenso alla mia formazione io ricordo ancora anche singoli sguardi, consigli, reazioni, gesti di miei insegnanti di liceo che ancora ringrazio non solo per la loro competenza, ma per aver contribuito a sviluppare il mio senso critico e i miei valori nel loro complesso.

In termini di mobilità sociale, è ampia la letteratura che mostra il ruolo decisivo soprattutto della scuola primaria. Non c’è cosa più efficace che uno Stato possa fare per aumentare le chance di benessere ai figli di famiglie disagiate, e quindi in prospettiva alle famiglie stesse, che una buona scuola.

Anna Ascani, viceministro MIUR, in un’intervista a Radio Radicale raccolta da Massimiliano Coccia il 9 maggio 2020 (link sotto, anche a un'altra precedente di Giovanna Reanda) ricorda alcune iniziative già prese dal Ministero per ridurre il digital divide e non esclude (e difficilmente avrebbe potuto del resto) che in particolare per le scuole superiori si prospetti per il prossimo anno scolastico una riduzione dell’attività didattica in presenza.
“Nessuno in ogni caso perderà l'anno” dice Ascani, affermazione che personalmente trovo preoccupante perché lega, in modo implicito, la perdita dell’anno alla perdita del valore legale dell’istruzione per quell’anno anziché al mancato raggiungimento degli obiettivi formativi.
Ma se il problema fosse non perdere il valore legale dell’anno scolastico, un 6 politico risolverebbe tutto.
Il danno grave, se mai, è quello al capitale umano perso per gli studenti (tanto che da genitore potrei avere interesse a chiedere piuttosto la ripetizione di un anno che non si sia potuto svolgere in modo efficace).

Se alcune scuole riprenderanno le lezioni frontali con classi dimezzate, è evidente che si dovrà ricorrere a nuovi docenti. È in grado il sistema scolastico di trovarli da qui a settembre o di chiedere a quelli curricolari di lavorare significativamente di più? Avrebbero i nuovi docenti le stesse competenze di quelli da affiancare, o si stravolgerebbe anche il programma di studi?
Se metà delle ore diventassero un doposcuola con meno insegnamenti scientifici o di lingua italiana avremmo probabilmente un problema in prospettiva, se è vero che quelle scientifiche e logiche, insieme alla capacità di comprendere un testo complesso, sono competenze fondamentali perché una società civile sia meno prona a fake news e a politici ignoranti.

I dati di alfabetizzazione scientifica in Italia sono in miglioramento, secondo uno studio Observa di qualche anno fa, e non è certo il caso di invertire il trend, se è vero che nel 2016 secondo lo stesso studio più del 37% del campione pensava che il sole fosse un pianeta. Con un andamento migliore dei giovani rispetto agli anziani, ai numi piacendo.


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lunedì 23 marzo 2020

Didattica online (Puntata 431 in onda il 24/3/20)

Il tema della didattica online su Radio Radicale è affrontato in questo periodo in modo estensivo nell’imperdibile rubrica domenicale Media e Dintorni di Targia e Fleischner, e anche io vorrei contribuire qui con una testimonianza basata sulla mia esperienza presso un ateneo, il Suor Orsola Benincasa di Napoli che, come tutti, ha dovuto nel giro di pochi giorni convertire il programma di lezioni, esami, ricevimento in lavoro online. Per farlo si è creata una comunità di docenti e tecnici che si connette in videoconferenza ogni sera per scambiarsi competenze, impressioni, esperienze, consigli sotto il coordinamento della manager didattica Natascia Villani.
L’eterogeneità di formazione e attitudini all’interno di questa comunità rende ancor più interessanti le sinapsi che si creano, un po’ come in un cervello che costruisce nuovi circuiti per aggirare quelli divenuti inservibili. Per saperne di più, mi fa piacere avere ai microfoni di Derrick il rettore dell’Università Suor Orsola Benincasa, Lucio D’Alessandro, che ringrazio:


Nel caso di questo ateneo, e di moltissimi altri istituti di istruzione, la piattaforma utilizzata è quella di Google per l’istruzione, che include in una versione ampliata strumenti già disponibili gratis a chiunque abbia un account Google, tra cui un modulo specifico per l’istruzione chiamato Classroom, un ambiente che favorisce lo scambio tra docente e studenti e che rende anche possibile somministrare test o sondaggi in modo facilitato. Su questo mi sono divertito a fare un tutorial il cui link è qui sotto.

Certo, c’è da chiedersi cosa impedisse all’Italia o all’Europa di sviluppare simili strumenti in casa. Ma ciò non può essere oggetto di questa puntata ed è anche tardi chiedercelo oggi che il vantaggio di queste piattaforme è probabilmente diventato incolmabile da parte di concorrenti sul mercato in assenza di interventi di regolamentazione. Un mare di dati e di informazioni che oggi non hanno, o hanno parzialmente, lo status di bene pubblico.
Detto questo, mi chiedo se in tempi di emergenza non avrebbe senso da parte del Governo chiedere aiuto a Google anche per monitorare gli assembramenti causa di contagio per evitare, quando sono evitabili, prescrizioni punitive e più dannose per l’economia e la libertà. Non sarebbe certo con un’applicazione di monitoraggio degli assembramenti che cederemmo per la prima volta a un gigante della Silicon Valley i nostri dati di posizione e identità.


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martedì 3 dicembre 2019

Valutazione degli insegnanti (Puntate 374-419 in onda il 30/10/18 e 3/12/19)

Gli insegnanti: forse una delle categorie
più importanti per il nostro futuro,
chiusi in Italia in un corporativismo
che ci danneggia.
Puntata del 30/10/18

Chi di noi non ha esperienza di quanto sia stata importante per la propria formazione la qualità degli insegnanti a scuola?
Quale genitore non pagherebbe care informazioni preventive sul talento e la professionalità dei prof nella classe in cui pensa di iscrivere il figlio?

Valutare i docenti si può, con tecniche già testate in altri Paesi, e c’è evidenza che la presenza di sistemi di valutazione, se efficaci, aumenta la qualità del loro lavoro.

Ma gli amici insegnanti che ho io sembrano perlopiù convinti che qualsiasi giudizio al loro lavoro non possa che essere distorto, inutile o lesivo della propria “libertà d’insegnamento”. Al che io rispondo che mi preoccupa questo corporativismo che preferisce la certezza di proteggere gli incapaci al rischio di essere ingiustamente valutati.
Rischio che si riduce con accorgimenti banali, statistici e di metodo, che possono prevedere l’utilizzo sia di dati comparativi interni a una scuola, sia standard generali, sia interviste a diversi portatori di interessi.
Set di strumenti tra cui l’OCSE include anche l’autovalutazione e la valutazione da parte degli studenti.

Ritenere che un professionista possa essere valutato solo da chi sa più di lui del suo mestiere, poi, è una delle boiate più incredibili tra quelle che vengono usate di solito da chi non vuole essere valutato, in questo e altri ambiti. È come dire che solo uno chef può valutare un ristorante. La verità è che è sì utile il parere di altri chef, purché siano un campione rappresentativo e non solo magari un concorrente rancoroso, ma lo è altrettanto o più quello di chi al ristorante ci mangia.

Ecco alcuni strumenti di valutazione degli insegnanti adottabili o già adottati altrove (per esempio in alcuni stati USA):
  1. Valutazione da parte dei presidi
  2. Test standard sull’accresciuta performance degli studenti (da noi oggi i test invalsi si fanno ma non hanno impatto diretto sulla carriera o sulla remunerazione dei docenti)
  3. Valutazione statistica dei risultati degli allievi nella successiva carriera formativa
  4. Valutazione di esperti esterni alla scuola
  5. Interviste ad allievi e genitori
  6. Peer evaluation tra docenti e autovalutazione

E cosa si potrebbe fare con i risultati di queste valutazioni? Sempre secondo l’OCSE, potrebbero essere l’input per attivare avanzamenti o rallentamenti della carriera degli insegnanti, e incentivi (o disincentivi) economici.

Aggiungo io che alcuni dei risultati, resi pubblici, sarebbero utili alle famiglie per scegliere consapevolmente una scuola.

Oggi in Italia esiste un sistema di rating delle scuole superiori basato sui risultati della carriera scolastica successiva degli allievi che le hanno frequentate (chi scrive lo ha usato per scegliere il liceo di sua figlia), sviluppato dalla Fondazione Agnelli. È solo una delle logiche di confronto possibili, è parziale e quasi certamente rischia di misurare anche altri fattori sociali legati alla comunità presso cui le scuole hanno il proprio bacino di allievi. Ma è uno strumento disponibile, intanto, e può essere integrato con altre informazioni.



Puntata del 3/12/19

La puntata qui sopra è una di quelle di Derrick che hanno suscitato più interesse, più critiche (ma solo dagli insegnanti, stranamente) e più richieste di approfondimenti.
Se è vero che il più delle volte è subito chiaro a studenti e genitori chi siano i prof bravi quando hanno a che fare con loro, di queste informazioni la società non fa da noi quasi nessun uso, né in termini di carriere dei prof, né di messa a disposizione di queste informazioni alle famiglie, che potrebbero scegliendo consapevolmente innescare una concorrenza virtuosa tra istituti ancor più di quanto il semplice passaparola già faccia.
Avevamo visto che le tecniche più promettenti, secondo l’OCSE e secondo numerose amministrazioni di paesi avanzati, in particolare negli Stati Uniti, sono l’analisi di valore aggiunto e la valutazione diretta dei prof. Vediamo qualche dettaglio in più.

L’analisi di valore aggiunto è la misura delle performance che gli allievi ottengono nel proseguimento della loro carriera scolastica successivamente all’esposizione a un insegnante (la fondazione Agnelli usa questa tecnica).
Si tratta di un’analisi che viene fatta con strumenti statistici in grado di depurare, sebbene non perfettamente, la distorsione dovuta alla qualità degli studenti in ingresso e al contesto. In altri termini: se aree o scuole tendono ad avere studenti destinati ad andare meglio in futuro, per motivi magari di benessere sociale o economico o di qualità della mera infrastruttura scolastica, il sistema ne tiene conto, e mira a dare una valutazione positiva solo ai prof i cui allievi in futuro fanno meglio di quel che statisticamente ci si poteva attendere da quel plesso scolastico e dal suo bacino sociale, e viceversa.
Tuttavia, come scrive l’esperto Justin Raudys, c’è evidenza che l’analisi di valore aggiunto tenda a danneggiare gli insegnanti cui toccano gli studenti eccellenti, a causa del cosiddetto “effetto soffitto” per cui è più difficile per studenti bravi in un contesto di eccellenza distinguersi ulteriormente in modo statisticamente evidente. Altro problema è la difficoltà del sistema di valutare i casi medi (cioè di "leggere" i risultati di popolazioni di studenti che si discostano poco significativamente dalle medie).

Direi che da quel che capisco tutte le altre tecniche già diffuse di valutazione degli insegnanti si basano sull’autovalutazione o la valutazione di terzi, anche attraverso l’osservazione degli insegnanti al lavoro.
Questa, l’osservazione, è però onerosa per le scuole, perché richiede di affiancare personale agli insegnanti, ma può essere molto utile soprattutto se associata a piani di formazione e sviluppo, dove l’osservazione diventa una fase successiva a un programma di incremento delle competenze didattiche. 
Interessante uno studio recente del dipartimento dell’educazione del Rhode Island secondo cui quando gli osservatori sono altri insegnanti essi tendono a dare giudizi più bassi rispetto al caso in cui a osservare siano i direttori didattici (anche qui, niente paura, sono distorsioni che in quanto verificabili diventano anche statisticamente depurabili).
L’uso di video per l’osservazione, in alternativa, potrebbe avere vantaggi di efficienza e di spontaneità (non c’è interazione con l’osservatore). Ma se fino a oggi le associazioni dei piloti aerei del mondo hanno ottenuto la mancata installazione di videocamere nei cockpit – le quali in rari ma significativi casi avrebbero potuto essere dirimenti in investigazioni post-incidente – dubito che una cosa del genere sarà accettata facilmente nelle scuole.
Le osservazioni, come ha scritto la studiosa Charlotte Danielson, funzionano meglio se sono analiticamente strutturate riguardo ad aspetti predefiniti, come prevede anche un metodo sviluppato dallo studioso Robert Marzano. Tra i vari studi empirici ce n’è uno di una scuola della Florida che ha adottato il metodo Marzano di valutazione su parametri preconcordati con gli stessi docenti, traendone vantaggi nella qualità stessa dell’insegnamento.

In altre parole: i sistemi di valutazione non servono solo a capire chi è bravo tra gli insegnanti (cosa già utile di per sé), ma a rendere tutti (in particolare chi non sia già un talento) un po’ più bravi.


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domenica 20 ottobre 2019

Formazione e sicurezza alimentare (Puntata 413 in onda il 22/10/19)

Si è celebrata il 16 ottobre la giornata dell’alimentazione proprio mentre il Nobel per l’economia andava a studiosi della povertà.
A questo proposito mi ha contattato CEFA, una Onlus bolognese attiva internazionalmente con programmi che affrontano la povertà alimentare anche attraverso la diffusione di competenze. Volentieri do la parola a Dario De Nicola, responsabile delle attività CEFA in Tanzania e di quelle sulle energie rinnovabili, con cui ho avuto una conversazione telefonica:




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martedì 11 giugno 2019

L'industria dell'istruzione (Puntata 400 in onda l'11/6/19)

Spesa privata in istruzione
(immagine dall'Economist 13 aprile 2019)
I miei nonni hanno avuto figli poco prima, durante o poco dopo la seconda guerra mondiale. Erano poverissimi, ma intuivano che sarebbe convenuto al benessere della famiglia togliersi il pane di bocca pur di far studiare i figli. Se oggi ho una vita stimolante, per quanto faticosa, lo devo a loro.

Cosa ci è successo da allora? Riusciremo a uscire da questa sorta di nuovo patto populista che promuove il “buonsenso” (cioè la permeabilità a slogan fallaci ma facili) contrapposto alla competenza? Patto di cui anche la Radio che trasmette questa rubrica, o meglio i suoi ascoltatori, rischiano di fare le spese.

Ma se guardiamo al mondo, soprattutto all’Asia, i ragionamenti dei miei nonni non sono affatto passati di moda. Il mondo investe sempre di più in istruzione privata che si aggiunge a quella già fornita dagli Stati e che in molti casi opera in coordinamento con essa.
India, Cina, Vietnam sono i Paesi in cui l’industria dell’istruzione sta decollando in modo impressionante, avendo quasi triplicato il fatturato in dieci anni. Lo racconta un prezioso speciale apparso sul numero dell’Economist del 13 aprile 2019. L’istruzione privata funziona anzitutto come soluzione alle lacune di quella pubblica, e lo fa per le classi deboli ancor più che per le élite.
Nella poverissima Haiti l’80% degli alunni elementari vanno in scuole private. A Sangham Vihar, un immenso slum a sud di Delhi, un insegnante locale ha fondato una scuola per 2000 studenti con rette a partire da 12 dollari al mese (un discreto sacrificio per le famiglie, che però così riescono a emanciparsi). Altre organizzazioni sono multinazionali finanziate da grandi fondazioni, compresa quella di Bill Gates. Nei Paesi più indietro nello sviluppo, la disponibilità di una comunità di insegnanti locali è un fattore-chiave nella nascita di scuole. In casi più evoluti, le scelte dei genitori e la concorrenza tra scuole influenzano positivamente anche l’offerta pubblica.

Naturalmente la mal posta dicotomia pubblico-privato è un tabù bloccante sia per alcuni governi che per parte dell’opinione pubblica, ma deriva perlopiù da manicheismo di vedute. Un servizio quando è pubblico? Quando la struttura che lo rende possibile è di proprietà pubblica? Quando chi ci lavora è dipendente dello Stato? Quando la fruizione non prevede un pagamento oltre alle tasse? (se fosse così, dalle elementari al liceo – tutti statali - mia figlia non ha mai avuto una scuola pubblica visto che tutte pagano una parte cospicua delle spese correnti – stipendi esclusi – con collette tra i genitori). Oppure un istituto è pubblico quando chi lo esercita non può fare profitti? E perché mai un bravo insegnante non dovrebbe avere aspettative di essere pagato più di uno scarso, come avviene spesso a un bravo manager o a un bravo chef?
Più sensato ritenere che un servizio sia pubblico quando è pubblicistico il modo in cui esso è accessibile – cioè effettivamente disponibile e pagato con le tasse o eventualmente con una retta a prezzo sussidiato per le famiglie che ne hanno bisogno - e in cui le sue prestazioni e qualità sono verificate e garantite da un organo pubblico.

In termini di partnership pubblico-privato nell'istruzione, uno dei più interessanti laboratori al mondo è quello del Cile dove i cittadini decidono dove spendere un voucher pagato dalle tasse, ma anche in Olanda, per esempio, lo Stato finanzia scuole di natura pubblicistica ma gestite da privati. Nei Paesi in via di sviluppo, queste partnership sono spesso un modo quasi obbligato per gli Stati di accelerare lo sviluppo dell’offerta più di quanto riuscirebbero da soli.

Anche nel settore dell’istruzione specializzata per adulti, questa invece perlopiù di natura privatistica, le attività crescono velocemente, grazie anche alle possibilità della tecnologia, che permette modi di fruizione diversi dall’aula tradizionale e spesso coinvolge come insegnanti dei professionisti iperspecializzati che si trasformano in docenti solo in alcuni momenti della loro vita professionale.

Quando guardiamo al mondo e ci chiediamo quali saranno le grandi potenze di domani, e se noi saremo tra esse, dovremmo forse guardare ai trend di spesa in istruzione (pubblica e privata) come primo indicatore.


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