lunedì 27 dicembre 2021

Stretta alle "occupazioni" scolastiche nel Lazio? (Puntata 509 in onda il 28/12/21)

Gravina di Puglia (Foto Derrick)
Un articolo di Gianna Fregonara sul Corriere della Sera del 21 dicembre 2021 letto a Stampa e Regime di Radio Radicale da Alessandro Barbano ha catturato la mia attenzione.

Ricorderanno forse gli ascoltatori di Derrick che non sono stato tenero durante il lockdown con l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio che, così come quelli di altre regioni, ha contribuito a scegliere di chiudere le scuole più a lungo di gran parte degli altri paesi avanzati. Ora sembra – ma tocchiamo ferro – che il Governo sia finalmente riuscito a far prevalere una linea di maggior garanzia per il diritto allo studio in presenza (e come sappiamo le evidenze su quanto poco la DAD gli sia paragonabile già abbondano, e ne abbiamo parlato anche di recente in una puntata di cui ho messo il link in fondo a questa pagina).

In questo contesto arriva una lettera ai presidi delle scuole superiori (riportata sotto) di Rocco Pinneri, direttore generale dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio, che chiede ai presidi di identificare, se ci riescono, denunciare per interruzione di servizio pubblico e chiedere i danni ai responsabili delle cosiddette “occupazioni” degli istituti scolastici, che almeno a Roma sono una consuetudine dei “collettivi studenteschi”.

Pinneri scrive che nelle recenti occupazioni sono avvenuti “vandalismi contro arredi e dotazioni laboratoriali, infissi, impianti, razzie ai distributori automatici e ai bar interni, distruzione di controsoffitti” e altro. Danni a cui si aggiungono i tempi di ripristino che hanno, nel caso che conosco direttamente, quasi raddoppiato i tempi di scuola persa rispetto all’occupazione vera e propria. Il tutto, secondo un tranquillo (si fa per dire) rito annuale abbastanza tollerato e perfino incoraggiato da alcuni genitori.

Ho già da tempo abbandonato la chat dei genitori della classe di mia figlia per evitare mie reazioni scomposte nel sentirmi dire che queste occupazioni sarebbero un momento di crescita e autodeterminazione dei ragazzi (chissà perché gli stessi genitori non mettono a disposizione propri spazi da adibire ad attività alternative alla scuola ed eventualmente da vandalizzare per crescere, anziché quelli della scuola pubblica). Pinneri scrive che non c’è niente di “politico” in queste azioni, e così secondo me coglie solo in parte il punto, che forse può essere descritto meglio da chi ha una cultura radicale. In questo senso: la disobbedienza civile non può essere così vigliacca da fuggire le proprie responsabilità, anzi vale proprio il contrario: uno studente che ritenga suo dovere civile non andare a scuola o addirittura occuparne uno spazio non dovrebbe farne pagare il conto al resto della collettività e ai suoi compagni in primis, conto che consta soprattutto di scuola persa. La disubbidienza civile è tale se chi la compie si espone pienamente alle sue conseguenze in termini di responsabilità personale. Ma poi: veramente i collettivi pensano di essere più credibili impedendo le lezioni anziché facendo le loro azioni in aggiunta al lavoro scolastico? Se vedessi un’occupazione senza danni in soli periodi di vacanza, per organizzare una scuola alternativa, o se l’avessi vista durante la DAD, ne avrei colto io stesso la forza. Ma nel modo in cui avviene di norma no, troppo comodo e per nulla credibile.

Ora, che questo rito di prepotenza con la copertura di istanze politiche si sia ripetuto anche dopo il disastro della scuola persa per covid forse mostra che stiamo comprendendo ancora poco l’entità del danno da mancata scuola. Speriamo questa consapevolezza cambi.

Ringrazio per questa puntata Daniela Buongiorno.



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martedì 21 dicembre 2021

Cartelli senza antitrust (Puntata 508 in onda il 21/12/21)

La stazione metro Schuman
in ristrutturazione, a Bruxelles
Impressionante la multa di oltre un miliardo di € che la nostra Antitrust ha inflitto ad Amazon, che peraltro ha annunciato ricorso.

Simili reazioni delle Autorità europee sono avvenute rispetto ad altri giganti che hanno di fatto inaugurato nuovi servizi se non addirittura settori: i social media, il commercio online, il cloud computing. Imprese che hanno avuto un successo così forte da essersi in un lasso di tempo relativamente breve trasformate da startup a monopolisti o oligopolisti di servizi che almeno nella stessa forma prima non esistevano.

È bello e mi inorgoglisce che i principi della concorrenza e quindi della difesa del consumatore vengano protetti con questa forza in Italia e in Europa. Eppure chi di noi non prova una sensazione di incongruità notando che a essere colpiti sono oligopoli che hanno incrementato il valore offerto ai consumatori, anche se, certo, rischiano di limitarne poi i benefici se bloccano la contendibilità di ciò che hanno creato.

Provo a spiegarmi meglio: a fronte degli oligopoli o monopoli per esempio di Amazon o Google ce ne sono altri direi altrettanto o più importanti nella mia qualità della vita, che per qualche motivo sembrano scarsamente pungolati a non abusare della rendita di posizione. Un abuso che, come scriveva cinquant’anni fa l’economista Albert Hirschman nel suo piacevole “Exit, Voice and Loyalty” (un libro quasi narrativo e che per molti versi oggi sembra un po’ ingenuo rispetto ai progressi della teoria della concorrenza e perfino del marketing da allora), un abuso dicevo che spesso si configura in modo molto surrettizio e insidioso: in forma di scarsa qualità offerta e non di prezzi alti (quello che Hirschman chiama lazy monopolist, il monopolista pigro – o magari sciatto).

Chi vigila sul monopolio legale delle municipalizzate del comune di Roma, per esempio, che non sono in grado di garantire il livello di servizio contrattualmente previsto? Quale antitrust mi tutela dal fatto che il mio abbonamento all’Economist vede Poste Italiane consegnarmi il numero quando ne hanno voglia loro e senza nessuna possibilità di reclamo o di rifusione se non a carico dell’editore? Cosa posso fare se non provare profonda frustrazione quando il liceo di mia figlia chiude tranquillamente per 2 o 3 giorni in caso di elezioni (senza che, chissà perché, la DAD venga minimamente presa in considerazione e in barba a tutte le parole sull’importanza dell’istruzione)? Non voglio assolutamente dire che tutti i monopoli pubblici o para pubblici funzionino male. Questa stessa rubrica ha del resto più volte fatto i complimenti per esempio alla digitalizzazione di Agenzia delle Entrate.

Quel che voglio dire è che credo sia importante che le Autorità, ma ingenerale tutti noi, cerchiamo di adottare la stessa intransigenza che riserviamo a campioni di qualità come Amazon o Google anche ai monopoli legali forse più importanti per la nostra vita ma con performance non paragonabili. Magari facendo sentire quella che Hirschman nel suo libro chiamava: “Voice”.


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domenica 12 dicembre 2021

Camminate (im)possibili: via Bologna a Roma (Puntata 507 in onda il 14/12/21)

Le due torri di Bologna
Tornano con questa puntata le camminate impossibili di Derrick. Con un episodio che potrebbe urtare la suscettibilità dei bolognesi, che prego per questo di astenersi dalla lettura.

Bene. Cari non bolognesi, provate a cercare su google maps via Bologna a Roma (da non confondere con la nota piazza omonima, da tutt’altra parte). La identificherete come strana antenna che si stacca in direzione sud dalla rotonda di accesso all’ospedale San Filippo Neri, su via Trionfale, in corrispondenza della fine dell’ultimo tratto della splendida ciclabile di Monte Mario che arriva dai pressi del Vaticano.

Provate a guardare via Bologna con la funzione “street view” di Google Maps che permette una vista soggettiva dell’intera strada: non ci riuscirete. Perché via Bologna non è mappata su street view. È difficilmente transitabile, e avrebbe dovuto essere molto coraggiosa la troupe di Google ad avventurarcisi con tanto di sofisticate videocamere grandangolari sul tetto del veicolo.

Via Bologna, malgrado l’importanza della città da cui prende il nome, e sempre che il toponimo su Google sia corretto, è un viottolo fangoso che segue un valloncello verde stretto a ovest tra l’istituto penale minorile di casal del Marmo e il grande parco agricolo omonimo, con le sue fattorie, luogo affascinante ma purtroppo di difficile perlustrazione e che meriterà una puntata a sé, e a est il complesso dell’ex ospedale psichiatrico di Santa Maria della Pietà, che oggi è un bel parco con alcuni servizi sanitari e sociali in quelli, tra i padiglioni, che sono stati ristrutturati.

Ma torniamo a via Bologna. Inizia con una discesa sassosa, sconnessa. Dopo poche centinaia di metri si apre in una specie di slargo adiacente a un impianto che sembra un piccolo depuratore con idrovore rumorose e vasche di decantazione. Infatti l’unica infrastruttura urbanistica che noterò proseguendo nel fango sono a, distanza regolare, pozzi di ispezionamento fognario, sopraelevati rispetto al terreno, come se l’area fosse destinata a un’urbanizzazione prossima (speriamo di no).

Proseguendo verso sud incrocio due anziani con gli stivali. Uno spinge pazientemente una carriola con un fusto che potrebbe essere una bombola di gas, mentre a destra e sinistra si vedono orti recintati e baracche, alcune raggiunte da sentieri che si staccano dalla strada tra acquitrini.

“Giù in fondo è chiuso” mi avvisa l’uomo con la bombola.

Ha ragione, troverò forse un chilometro più a sud un cancello chiuso con la scritta “proprietà privata” che impedisce di proseguire per avvicinarsi alla zona residenziale e commerciale di via Torresina. Anche se da qui, tra verde, fango e baracche sparse sembra inimmaginabile che ci sia una metropoli intorno.

Una deviazione verso est tra sentieri sempre più stretti dagli orti mi offre una via d’uscita. Popolata da una colonia di gatti, si arrampica molto nascosta verso la spianata sovrastante, che si rivela una zona di recente insediamento residenziale per ora incompiuto chiamata Casale del Fico.

Da qui arriverò comunque dove mi ero prefisso camminando lungo un incongruo marciapiede in mezzo a un prato d’erba e di materiali di risulta, recente credo e con tanto di strisce per ciechi ma già invaso di erbacce e credo diretto verso un nuovo edificio di appartamenti che, immagino, si farà.


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domenica 28 novembre 2021

Economia e Stati (Puntata 505 in onda il 30/11/21)

L'immagine di copertina dell'Economist
del 20/11/2021
L’editoriale dell’Economist del 20/11/2021 è dedicato al peso crescente degli Stati nelle rispettive economie. Una tendenza globale con pochissime eccezioni. Perfino negli USA ormai la quota di spesa pubblica rispetto al Pil veleggia verso il 50% mentre in Francia e Italia è attorno al 60%, superando perfino Paesi come la Svezia che siamo abituati a considerare forti esempi di welfare.

In India, lo abbiamo già visto in passato qui su Derrick, lo Stato deborda in termini di controllo delle aziende principali e, leggiamo sullo stesso Economist, anche di sussidi per alterare il prezzo di mercato di beni di consumo, con il 9% della spesa pubblica dedicata a quelli sul cibo, e qui la buona notizia è che in parallelo c’è stata nel paese una riduzione dei sussidi ai combustibili fossili.

In passato mi sono avventurato a chiedermi quanto possa durare, in Cina, un’economia basata su investimenti, anche in tecnologia, in cui c’è sempre meno spazio per l’autodeterminazione rispetto all’ingerenza delle holding controllate dal regime. L’economista Arthur Kroeber ha definito la Cina uno Stato venture capitalist, termine con cui in finanza si definiscono i fondi che investono in aziende con forti prospettive di crescita all’inizio del proprio ciclo di vita. Ma dubito che qualsivoglia regime, il cui principale obiettivo è perpetuare se stesso, possa avere intuizioni brillanti su quali innovazioni potranno interessare di più i consumatori di domani. E non è detto che la consapevolezza di questa contraddizione tardi molto a ridurre il flusso di investimenti verso la Cina.

L’Europa, dal canto suo, con la cosiddetta “tassonomia” dei settori economici in termini di sostenibilità ambientale, si sta preparando a guidare in questo senso gli investimenti privati, con alcuni rischi di eludibilità della tassonomia e soprattutto di sua incoerenza, e con la palese contraddizione dell’occuparsi della sostenibilità degli investimenti privati senza che la stessa comunità di Stati abbia interrotto i sussidi pubblici dannosi all’ambiente. Un problema globale laddove, calcola un recente studio Lancet, la carbon tax netta è addirittura negativa, cioè più che compensata dai sussidi agli stessi beni dannosi per il clima.

L’Italia su questo purtroppo contribuisce in negativo, e assistiamo a una riforma del fisco in arrivo che nel migliore dei casi sfiorerà la questione, mentre il ministro della transizione ecologica, mentre scrivo questa puntata il 27 novembre 2021, sta ancora bloccando alla sua firma, provocando un ritardo rispetto alla prescrizione normativa, l’edizione aggiornata del catalogo dei sussidi dannosi all’ambiente.

Forse perché conterrebbe numeri tali da mostrare tutta l’inadeguatezza della riforma in lavorazione?


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domenica 21 novembre 2021

Derrick speciale, conversazione con il "Gruppo di Roma per gli Studi sulla Neutralità Climatica" (Puntata 504 in onda il 23/11/21)

https://www.radioradicale.it/scheda/653129/speciale-derrick

È riascoltabile (anche con video) sul sito di Radio Radicale al link qui sotto un Derrick speciale registrato il 17 novembre 2021 con una conversazione sugli esiti della COP26 e sul lavoro del "Gruppo di Roma per gli Studi sulla Neutralità Climatica" coordinato da Luigi Troiani, docente di relazioni internazionali alla Pontificia Università San Tommaso d’Aquino di Roma, che partecipa alla puntata insieme a Justin Schembri, professore di teologia nel medesimo istituto e a Corrado Clini, già ministro dell’Ambiente.

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domenica 14 novembre 2021

COP 26 (Puntata 503 in onda il 16/11/21)

Monte Olimpo (Foto Derrick)

Benvenuti a Derrick, che non può esimersi da una puntata sulla ventiseiesima conferenza delle parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è conclusa ai tempi supplementari a Glasgow lo scorso sabato 13 novembre [2021] con una relazione apparentemente sul filo delle lacrime del suo presidente. Non lacrime di soddisfazione.

Una premessa per quanto ovvia è che gli accordi multilaterali sono vincolanti fintantoché le parti decidono spontaneamente di rispettarli, non sono leggi negli Stati membri. Ciononostante le parti non si sono date nessun nuovo obiettivo perentorio, anche se ci sono stati passi in avanti sugli strumenti e sulle misure auspicate.

Vediamo i punti più rilevanti del documento principale:

  • Gli obiettivi della conferenza di Parigi (massimo 2 gradi in più dall’era preindustriale) sono confermati e in più ora si esplicita l’importanza di stare sotto l’1,5°.
  • Si “invoca” la necessità di continuare a sviluppare fonti rinnovabili, efficienza energetica e di “accelerare gli sforzi” per ridurre l’uso non compensato del carbone e i sussidi "inefficienti" alle fonti fossili d'energia. [Questa formulazione è forse una delle più deprimenti dell'accordo. In sostanza le parti sono sono nemmeno disposte a impegnarsi a un'uscita per quanto procrastinata dall'uso del carbone. Poi, lasciare intendere che esistano dei sussidi alle fossili che siano 'efficienti' equivale a buttare a mare uno degli interventi più importanti per la decarbonizzazione, di cui su Derrick abbiamo parlato tante volte - link sotto].
  • Si “riconosce la necessità” di abbattere le emissioni dannose al clima del 45% entro il 2030 rispetto al 2010, mentre si prevede che con le sole misure messe in atto per ora salirebbero di quasi il 14%.
  • Si riconosce anche la necessità di arrivare alla neutralità climatica entro circa metà secolo. (Inevitabile qui un sorriso amaro su come un’ipocrisia espressiva possa rendere firmabile un documento in assenza di accordo).

Neutralità climatica significa non azzeramento delle emissioni, ma loro compensazione con azioni in grado di togliere i gas serra dall’atmosfera (o evitare che ci arrivino) con tecnologie su cui non ci soffermiamo in questa puntata. A questo concetto si lega la necessità di permettere una collaborazione internazionale sui progetti di riduzione della CO2, cosa che viene regolata con un importante aggiornamento dell’accordo di Parigi in relazione a come i relativi certificati saranno scambiati e regolati.

Nel contesto del summit di Glasgow sono stati siglati anche altri accordi multilaterali sul clima, tra cui:

  • Uno importante tra un centinaio di Stati inclusa Italia sulla riduzione delle emissioni di metano (che è anche un potente gas-serra)
  • Uno promosso dal Regno Unito sulla fine degli investimenti internazionali in energie fossili non compensate, firmato da una quarantina di Paesi e istituzioni tra cui Italia, ma che per come è scritto permette generiche eccezioni. [Ma quindi anche le controllate dello Stato italiano come Eni non potranno più investire sul petrolio? Sarebbe una notizia in effetti]
  • Si è allargata la coalizione BOGA (Beyond Oil and Gas Alliance) per l’uscita progressiva dalle fonti fossili di energia, con la curiosa partecipazione dell’Italia non come membro, ma come “amica” dell’accordo. Come dire: vi voglio bene, ma col cavolo che m’impegno. (Ma che senso ha?)


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lunedì 8 novembre 2021

Quarta ondata covid e scuole - Progetto euCARE (Puntata 502 del 9/11/21)

Antonio Quiros
Ritrato de Don Quijote
Quando mia figlia qualche giorno fa mi ha annunciato che il suo liceo avrebbe (aperte virgolette) occupato (chiuse virgolette), cioè che un gruppo di studenti avrebbe impedito a tutti di fare lezione per una settimana, ho cercato di raccogliere tutto l’amore paterno e ho evitato di guardare sia la chat sia la mailing list dei genitori della classe per evitare quel che avrei altrimenti sicuramente fatto: e cioè dire senza alcuna delicatezza che la cosa più cretina che uno studente possa fare riguardo alla sua capacità di influenza sul potere è restare ignorante perdendo giorni di scuola.

Ora si parla di quarta ondata di covid e nei miei incubi c’è lo spettro che per salvare il Natale (sempre tra virgolette) si richiudano le scuole. In questo contesto mi fa piacere apprendere che l’UE sta finanziando progetti per rendere più efficace il monitoraggio e uscire da una logica di reazioni d’emergenza.

In che modo le varianti al Covid, insieme ad altri fattori, ne influenzano il decorso clinico? Ci sono varianti che rendono meno efficace qualcuno dei vaccini o che sfuggono ai test sierologici o molecolari?

E venendo specificamente alla scuola: le varianti influenzano, e come, la diffusione in ambito scolastico? Possiamo definire una migliore strategia di test e contenimento negli istituti di istruzione? Qual è e quale è stato l'impatto delle misure di contenimento, compresa la DAD, su alunni e insegnanti?

Con il coordinamento dall’italiana EuResist Network, 22 università, ospedali e centri di ricerca lavoreranno per fornire risposte basate sui dati, in un progetto il cui lancio avverrà a Roma l'11 e il 12 novembre [2021] e vedrà la partecipazione internazionale di 60 scienziati e di rappresentanti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità.

“La scuola è un ambito in cui gli effetti della pandemia sono stati sottovalutati”, dice a Derrick Francesca Incardona amministratrice delegata di EuResist Network. “Per studiarla arruoleremo scuole in contesti socio economici diversi e valuteremo una metodologia di test salivare di gruppo, rapida ed economica, sviluppata dall’Università tedesca di Colonia. Con Sara Gandini, epidemiologa presso l’Istituto Europeo di Oncologia, studieremo anche gli aspetti psicologici delle misure di contenimento e la diffusione dell’epidemia nelle scuole comparandola con i nostri studi del 2020.”

Alla riunione di avvio dei lavori potranno assistere giornalisti o esperti del settore previa registrazione con la stessa Incardona, che ringrazio. L’indirizzo mail per farlo è qui sotto.


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martedì 26 ottobre 2021

Censura di internet nel mondo (Puntata 501 in onda il 26/10/21)

Pilone a Genova
(Foto Derrick)
Spesso ci irritiamo per le fake news che girano sul web e sui social, ci chiediamo se non sarebbe il caso di limitarle, di controllare chi pubblica contenuto o gestisce i siti. A me però la censura di Stato spaventa di più delle fake news, anche perché una volta che la macchina della censura esiste, è a disposizione del governo di turno, malintenzionato a piacere. In questa puntata riprenderò stralci di informazioni tratte da un articolo dell’Economist del 16 ottobre 2021 che mi ha molto colpito. Eccoli qui di seguito.

Il governo turco blocca quasi 470 mila siti web. 59 mila aggiunti alla lista solo nell’ultimo anno. La Cina ha costruito la sua infrastruttura internet fin dall’inizio tenendo conto delle necessità tecniche legate al suo controllo. Nel 1996 in Cina solo 150 mila persone erano già connesse, eppure il partito al governo già bloccava siti. In molti casi ad occuparsi di censura oggi sono le stesse aziende che forniscono contenuti in rete, se vogliono funzionare senza violare le direttive del partito.

Twitter e Telegram in Iran sono vietati, e il governo per non generare troppo malcontento sussidia un internet parallelo in grado di fornire anch’esso contenuti d’intrattenimento e di informazione non invisa al potere. Una rete autarchica che si chiama rete informativa nazionale. Vengono in altri termini chiuse le frontiere nell’infrastruttura – internet - che forse di più ha contribuito alla globalizzazione delle comunicazioni e dell’informazione.

In una legge del 2019 Putin ha proclamato la sovranità telematica della Russia, per proteggersi dagli attacchi di internet a suo giudizio controllato dalla CIA. Come in Iran, per non negare ai cittadini l’intrattenimento che ormai si aspettano dalla rete, il governo russo ha previsto la nascita di RuTube, l’alternativa autarchica a YouTube, posseduta da Gazprom, il gigante russo del gas. E mentre in Europa l’antitrust impone ai produttori di apparecchi e di sistemi operativi di rendere effettiva la concorrenza tra browser e motori di ricerca, tutti i nuovi cellulari russi devono essere dotati di Yandex, il motore di ricerca approvato dal governo. (Nota dell’autore di Derrick: l’ho provato mettendo il mio nome, e non mi sembra per ora di essere censurato tranne che nelle foto, che ritraggono perlopiù donne completamente incorrelate a me e mai me. Chissà se le cose cambieranno e se dopo che questa puntata sarà online sparirò anche dalla sezione “web” dei risultati di ricerca di Yandex).

Negli Emirati Arabi il governo propone sistemi autarchici per i messaggi, mentre in India il partito di maggioranza, dopo una brutta esperienza con Twitter, chiede ai suoi supporti di usare un clone amico chiamato Koo. Software di controllo delle comunicazioni continuano a essere sviluppati. Un’azienda israeliana chiamata NSO ne vende tra gli altri ai governi di Messico, Marocco ed Emirati Arabi.

Una donna in Tailandia è stata condannata a 43 anni di galera per aver condiviso video di critica alla monarchia. Il presidente nigeriano ha bloccato Twitter nel Paese dopo che la piattaforma gli aveva a sua volta cancellato un post.

Bene, ora torna la voce di Derrick dopo gli estratti dall’Economist. A pensarci bene, qual è il fine per cui i Paesi scarsamente democratici esercitano la censura? Favorire la permanenza al potere dei vertici in carica. Mezzo mondo è sotto scacco da parte di leader disposti a tutto per prolungare il proprio potere manipolando il consenso.

Forse bisognerebbe inventare un aggeggio da impiantare sottopelle ai leader di governo di qualunque nazione, capace di fargli passare la voglia di comandare dopo tot anni che sono al potere. Un mondo in cui la conservazione a tempo indeterminato del potere non sia nemmeno un’opzione forse sarebbe migliore, no?


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sabato 2 ottobre 2021

Il clima di Malalbergo (Puntata 499 in onda il 5/10/21 e in replica il 2/11/21)

Un grande classico delle argomentazioni di chi è contrario alle politiche contro l’emergenza climatica è: l’Europa emette una piccola parte dei gas-serra del mondo, che senso ha prenderci carico di uno sforzo maggiore o anticipato rispetto agli altri?

Una simile linea di pensiero, anche a livello individuale, si può applicare in molti casi di quelli che gli economisti chiamano beni pubblici: beni che quando esistono avvantaggiano tutti o molti, ma la cui disponibilità non può essere garantita se non con un coordinamento sociale: che faccio a fare la raccolta differenziata se tanto gli altri non la fanno? Che senso ha non sporcare un parco pubblico se tanto gli altri lo fanno?

Per fortuna c’è chi ritiene che fare la propria parte, sperando che anche grazie al suo esempio la facciano pure gli altri, sia un dovere civico.

Un comune del bolognese, Malalbergo, ha stabilito nel 2017 per il 2030 obiettivi di riduzione dei gas-serra all’interno del proprio territorio più sfidanti di quelli che allora erano previsti a livello europeo. Non so se i poteri municipali possano garantire il risultato, ma è certamente significativo che una piccola comunità si dia volontariamente un obiettivo del genere.

Ho appreso questo in un articolo di Davide Pini nel numero di luglio [2021] di Ecoscienza, la rivista dell’agenzia regionale dell’ambiente dell’Emilia Romagna, in buona parte dedicata alla sostenibilità. Riguardo a Malalbergo, il numero di Ecoscienza riporta anche i dati impressionanti dell’aumento della temperatura media tra due periodi adiacenti: dal 1961 al 1990 e dal 1991 al 2015. Ebbene, nel secondo intervallo le temperature medie nelle singole stagioni sono state superiori tra poco meno di 1 e circa 2 gradi rispetto a quelle del periodo precedente.

Temperature medie stagionali a Malalbergo
(Ecoscienza, luglio 2021)

Sono numeri che fanno impressione, perché ci suggeriscono, anche se solo riferiti a un piccolo territorio, quanto la situazione sia ben peggiore rispetto al limite che si è posta la conferenza del clima di Parigi, cioè massimo 1,5° auspicabili e 2° invalicabili di aumento complessivo di temperatura rispetto all’era preindustriale. A Malalbergo, e purtroppo una situazione simile si attende in media in Italia, ci siamo mangiati solo in mezzo secolo quasi tutto il margine che secondo l’accordo di Parigi possiamo permetterci da quando l’umanità brucia massicciamente i combustibili fossili.


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domenica 12 settembre 2021

Camminate (im)possibili: il parco della Maremma (Puntata 496 in onda il 14/9/21)

Il mare visto da uno dei sentieri
sui monti dell'Uccellina (foto Derrick)
Chi come me cammina o va in bici sa che purtroppo quasi tutti i percorsi interessanti devono fare i conti con accessi a proprietà private più o meno presidiate da minacce di cani cattivi (che per fortuna di solito non lo sono), cancelli, fili spinati.

In quest’episodio delle camminate impossibili di Derrick parlerò di un’area naturale pubblica anch’essa purtroppo di difficile accesso: il parco regionale della Maremma. In un’assolata mattina di inizio settembre [2021] guidavo pigramente sull’Aurelia in direzione Roma da Grosseto e mi sono fermato a Talamone per una passeggiata. Ho sempre nel bagagliaio scarpe e zaino pronti per camminare, quando non c’è anche la bici, e ho pensato di farmi un giro per il parco della Maremma, che si estende nei monti dell’Uccellina che si alzano tra Talamone a Sud e, credo, un canale poco sotto la Principina nei pressi di Marina di Grosseto, a Nord.
Una zona non vastissima, ma meravigliosa, e con accessi al mare solitari in cui – nella mia piccola esperienza – i pochi bagnanti arrivano perlopiù via mare con barche private. Lasciata l’auto nel parcheggio dell’acquario di Talamone (chiuso, immagino per covid) dove c’è anche la Pro Loco (era chiusa) ho iniziato a salire a piedi verso uno dei sentieri più ovvi che vedevo nelle mie applicazioni di mappe per bici e trekking, che si stacca da una delle tante strade private verso le ville sul mare.

Trovo una barriera per impedire auto e moto, ma anche un inaspettato cartello che indica l’obbligatorietà di prenotare una visita guidata nel periodo estivo.
Io avevo lì per lì deciso di mettermi gli scarponcini, e in generale pianifico molto poco delle mie scorribande. Mentre avrei senza problemi pagato un biglietto sapendo che contribuisce alle spese del parco (anche se ho qualche dubbio che le zone naturali demaniali debbano essere messe a reddito), ho trovato poco ragionevole non potermi muovere in autonomia. I tour guidati richiedono investimenti di tempo, attese, lentezze di cui non avevo e generalmente non ho voglia: camminare o andare in bici nella natura è anche un modo per stare con me, per assecondare i miei ritmi. Voglio poter andare veloce e sudare quando mi va, o fermarmi con l’ebookreader per ore se e dove ne ho voglia.
Capisco dal sito del parco della Maremma, che linko sotto, che il controllo degli accessi – che include quello dell’identità immagino - ha anche la funzione di prevenire incendi dolosi, e va bene. Ma addirittura imporre la scorta mi sembra eccessivo, anche perché i malintenzionati possono comunque accedere, perché difficilmente un recinto molto vasto è inviolabile a chi voglia violarlo. E in generale: un parco naturale non dovrebbe essere troppo difficile da fruire, a mio avviso.

Uno dei motivi per cui ho trovato complessivamente deprimente il mio unico safari africano è proprio l’impossibilità di muovermi in autonomia. Lì c'era il rischio di essere sbranato da un leone, ma in generale (e questo vale anche per i grandi parchi nordamericani dove nemmeno mancano animali pericolosi come l’orso bruno) credo che l’obbligo di pagare un biglietto dovrebbe essere scisso dalla privazione della libertà di fruizione eventualmente solitaria, quand’anche nel rispetto delle regole che sempre i parchi hanno.
Avviso a Talamone

Insomma, lo confesso: ho proseguito il mio giro, anche perché il sentiero di ingresso da Talamone non aveva cancelli chiusi. Ho camminato per un paio d’ore su un crinale di bosco da dove ogni tanto si aprivano splendide viste verso le calette sotto – puntinate da barche di diportisti a bagno – fino a scendere in una zona dove un torrente secco, che in alcune mappe vedo chiamato Fosso della Campana, raggiunge il mare in un’ampia, accogliente, pacifica spiaggia di scogli e vegetazione. Peccato che proprio alla fine della discesa del sentiero si stagli un cancello ermetico che protegge una vasta recinzione: ero, in altri termini, in gabbia.




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sabato 4 settembre 2021

Covid: rientro da Paesi "gruppo E" (Puntata 495 in onda il 7/9/21)

Templo El Refugio, Guadalajara

Il 28 agosto [2021] è avvenuto un aggiornamento delle regole italiane di profilassi Covid per i
viaggiatori da e per l’estero, compresi i rientri di cittadini italiani. Per la maggioranza dei Paesi extraeuropei, riuniti in un elenco denominato “E” dal Ministero della Salute, valgono tutt’ora le seguenti regole generali:

  • Non si può viaggiare per turismo ma solo per ragioni specifiche tra cui salute e lavoro
  • Al rientro occorre un tampone negativo negli ultimi 3 giorni prima dell’ingresso in Italia
  • Occorre compilare un modulo elettronico europeo chiamato “passenger locator form” con tutti i dati su identità, tragitto e destinazione
  • Occorre sottoporsi al rientro a 10 giorni di cosiddetto “isolamento fiduciario” dichiarandolo all’autorità sanitaria locale.

Avendo io viaggiato in Messico (gruppo E) durante la validità di queste norme, voglio raccontare com’è andata.

Nodo decisivo è sempre il primo check-in in aeroporto, anche se è per un volo locale o continentale e non per il volo verso il Paese che determina passivamente o attivamente le restrizioni. A Fiumicino quindi mi hanno controllato il green pass europeo esito del vaccino e richiesto dalla Spagna dove avrei fatto scalo. Il Messico non richiede né vaccino né tampone in ingresso, ma di compilare un questionario sullo stato di salute, cosa che a Fiumicino mi è stata menzionata senza un effettivo controllo. Nulla mi è stato né chiesto né controllato dalle autorità italiane o dagli addetti della compagnia aerea sul motivo del viaggio, che pure è regolato in modo molto stringente dalla nostra legge.

Le maggiori complicazioni, mi aspettavo, sarebbero avvenute al ritorno. A Guadalajara in una clinica molto efficiente ho fatto un tampone antigenico il giorno prima di partire e poi sotto una pioggia violentissima, che aveva bloccato le auto in alcune vie cittadine ma per fortuna non il mio bus di linea per l’aeroporto, mi sono recato al primo fatidico check-in. Avevo compilato già un modulo di autodichiarazione messicano, avevo ottenuto online il green pass spagnolo per far scalo di nuovo a Madrid, e avevo con me l’esito negativo del tampone. Ma una volta imbarcatomi per il primo segmento di volo per Città del Messico, non avrei mai più avuto controlli se non il green pass a Madrid (a Città del Messico, addirittura, è stato l’addetto all’imbarco del volo per Madrid a ritirarmi il talloncino del visto dal passaporto).

Atterrato a Fiumicino nessun controllo, nemmeno il passaporto (venivo da Madrid) (salvo, immagino, controlli a distanza della temperatura di cui non mi sono accorto).

Le esenzioni alla quarantena al rientro possono essere chieste in anticipo al ministero della Salute con una particolare procedura formale. Io l’ho fatto, e a distanza di oltre un mese e mezzo, preparando questa trasmissione, non ho mai ricevuto una risposta, nemmeno uno straccio di avviso di ricevimento, e quindi sono stato costretto a considerare respinta la richiesta.

Arrivato a casa, ho scritto quindi una mail all’indirizzo PEC della mia ASL per comunicare l’inizio dell’isolamento. Nessuna risposta nemmeno ora.

A fine isolamento ho fatto un tampone in farmacia che è stato comunicato dalla farmacia al database del ministero della Salute e che mi è valso un inutile green pass di tre giorni (inutile perché sono vaccinato e ho già il green pass permanente).

Ora, in sintesi, la mia impressione è questa: non mi permetto di valutare la congruità delle restrizioni, che indiscutibilmente sono piuttosto pesanti e – per i Paesi “gruppo E” - indipendenti dall’essere vaccinati.

Credo però si possa affermare l’apparente disinteresse delle nostre istituzioni nel farle rispettare. Non ho mai ricevuto risposte alle mail, nemmeno a quella obbligatoria, e non ho mai subito nessun controllo, almeno di cui io sia consapevole. Il mio tampone in Messico in nessun modo può essere noto alle autorità italiane, se non attraverso la verifica dell’addetto al check-in dell’aeroporto di Guadalajara.

Forse avrebbero senso norme meno vessatorie ma fatte rispettare non solo a chi vi si attiene spontaneamente?


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sabato 28 agosto 2021

"Oddio: nuove tasse!" - Riforme fiscali e idiosincrasie (Puntate 488 e 494 in onda l'8/6/21 e 31/8/21)

Dallas Dhu Distillery, Scozia
Puntata 488 (in onda 8/6/2021)

Nelle ultime settimane, in vista di una riforma da parte del Governo, si è discusso anche su stampa e social di possibili novità fiscali, e si è riverificato un grande classico di questi casi, cioè quanto segue:

qualcuno, in questo caso per esempio Enrico Letta con una proposta sulle imposte di successione, lancia un’idea di intervento sul sistema fiscale e ottiene perlopiù reazioni del tipo: “basta nuove tasse”, “giù le mani dalle tasche degli italiani” eccetera. Perfino il presidente del Consiglio, che mi sembra piuttosto pragmatico nel contemperare competenza e ragionevole dirigismo con uscite pubbliche tranquillizzanti per evitare problemi, ha dato una risposta liquidatoria, parlando suppongo da politico, suo ruolo attuale, e non da economista.

Ora, salvo ipotesi estremamente semplici e ottimistiche, è difficile immaginare una riforma fiscale che non includa le tanto odiate “nuove tasse”, cioè ambiti in cui il gettito aumenta, a fronte di altri in cui si riduce, il tutto magari a gettito complessivo invariato o addirittura ridotto (ammesso che questo sia possibile con tutti i debiti che abbiamo).

Questo significa che finché l’idea di “nuove tasse” – indipendentemente da ciò di cui si tratti - causa forme di idiosincrasia capaci di bloccare sul nascere qualunque discussione nell’opinione pubblica e nei politici che cercano di assecondarla, nessuna riforma fiscale potrà mai essere fatta se non in qualche modo eludendo il dibattito.

Per non eluderlo, invece, probabilmente occorrerebbe diffondere un documentario di formazione pubblica che spieghi che cambiare le tasse, e quindi creare “nuove tasse”, non significa né aumentare necessariamente la pressione fiscale, né, soprattutto, peggiorare le situazioni di potenziale iniquità dell’attuale sistema. Anzi, qualunque riforma del fisco aspira a obiettivi uno dei quali è tipicamente l’equità.

Per l’ennesima volta pochi giorni fa la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme sul livello elevato e anomalo della spesa fiscale in Italia: cioè il costo dei regimi di esenzione o sconti fiscali. Altro settore da cui tipicamente i Governi stanno lontani come si starebbe da un filo dell’alta tensione, per evitare le rivolte delle innumerevoli categorie che fruiscono nei modi più disparati di regimi di favore senza che spesso si riesca nemmeno più a ricordare la ragione dello specifico privilegio. (Una motivazione generica evergreen è: “proteggere i posti di lavoro”).

Eliminare i privilegi assurdi, compresi quelli dannosi all’ambiante, certamente nel dibattito civile equivarrà a “nuove tasse”, anche se l’obiettivo per esempio è ridurre quelle sul lavoro. E quindi torniamo al punto di partenza: se ragionare a parità di gettito fa parte di un’astrazione impossibile per l’opinione pubblica, oppure non credibile per la stessa opinione, allora non abbiamo speranze per una riforma fiscale in regime di democrazia, se non in presenza di rischi imminenti come quello di un fallimento, oppure di imposizioni ineludibili dall’Europa.

Puntata 494 (in onda il 31/8/2021 e in replica il 12/10/2021)

Torno sul punto grazie a un interessantissimo studio dell’inglese Green Alliance uscito di recente che porta i risultati di un’indagine sull’accettabilità delle tasse “verdi”, inclusa carbon tax, nel Regno Unito. Vediamo alcune delle evidenze di questo sondaggio.

Il campione intervistato non si dice contrario alle tasse pro-ambiente, anzi è favorevole al principio “chi inquina paga”, ma ha alcune idiosincrasie (in buona parte dovute a incompetenza in materia economica) che possono diventare bloccanti, tra cui queste:

  1. Se parli di “disincentivi” economici preoccupi di più che se parli di incentivi. (Eppure le due soluzioni arrivano sempre insieme, almeno se ipotizziamo interventi a deficit pubblico costante e in un contesto di evasione zero – perché gli incentivi li paga chi paga le tasse, quindi comunque implicano anche un disincentivo per chi non li riceve, e viceversa)
  2. Se dici che fai una green tax per avere maggior gettito, la gente si arrabbia (ma normalmente non si arrabbia se dici che fai più spesa che richiede maggiori tasse. Misteri della percezione). Quindi le proposte per apparire accettabili devono essere tassativamente a gettito costante, oppure devono indicare come viene usato il maggiore gettito. Peccato che questa etichettatura, quando è fatta solo su una parte delle entrate fiscali, abbia scarso valore, perché l’amministrazione può sempre dire che usa i proventi di una tassa per qualcosa di specifico e dirottare altrove altre tasse senza etichettatura.
  3. Le tasse sulla produzione piacciono di più di quelle al consumo. Questo solo perché gli intervistati non considerano che chi sostiene il costo di un’imposta su una transazione non lo stabilisce la definizione, ma la forza sul mercato di produttori e consumatori. Una tassa sulla produzione di un bene verrà comunque pagata in buona parte dai consumatori, se non possono rinunciare a quel bene, oppure se il settore che lo produce è già molto competitivo e non può che traslare a valle i maggiori costi di produzione dovuti alla tassa. E viceversa: una tassa al consumo obbliga i produttori ad abbassare il prezzo del bene tassato se i clienti possono facilmente rinunciarvi, e quindi viene in questo caso di fatto sostenuta dai produttori anche se si dichiara una tassa sul consumo.

 

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domenica 22 agosto 2021

Trasporto pubblico a Guadalajara (Messico) (Puntata 493 in onda il 24/8/21)

Stazione metro Zapopan centro (linea 3)
Derrick torna con nuove puntate dopo una pausa in cui chi vi parla ha viaggiato, e in particolare ha soggiornato a Guadalajara, la seconda città del Messico, più grande di Roma, dove come al solito si è interessato del sistema locale di trasporto pubblico, di cui questa puntata è un reportage simile ad altri del passato, tutti facili da recuperare in questo blog (link sotto).

Guadalajara, nello stato del Jalisco, Messico centrale, è uno degli esempi di uso di Bus Rapid Transit (BRT), cioè linee di bus ad alta frequenza e portata, segregate dal resto del traffico e con stazioni simili a quelle di una metropolitana, una soluzione di cui qui abbiamo parlato più volte, che ha molti vantaggi di costi rispetto a una metropolitana e che vede applicazioni soprattutto in America Latina e estremo oriente, ma di cui ci sono piccoli esempi anche in Italia (come tra Mestre e Venezia e a Firenze).

Guadalajara però mi ha colpito non tanto per il suo BRT, molto meno vasto per esempio di quelli di Jakarta o Bogotà di cui ho già riportato, quanto per la convivenza di vari esperimenti di trasporto pubblico moderno. Nella città c’è un vastissimo sistema di bike sharing station based, per intenderci quello in cui le bici vanno prese e rimesse in appositi stalli, simile al bike sharing di Milano, con la disponibilità di abbonamenti annuali ma anche di pochi giorni per i turisti. Alcune dorsali di piste ciclabili permettono di spostarsi tra quartieri in bici restando relativamente segregati dal traffico e ho notato – anche da automobilista – un livello generale di rispetto delle regole della strada molto elevato, sicuramente più di quanto i miei pregiudizi potessero farmi attendere.

Ci sono tre linee di metropolitana a Guadalajara, di cui una molto moderna in parte sopraelevata come spesso avviene in America (per esempio a Chicago o a Seattle e, per restare in Messico, a Città del Messico), ci sono aree del centro con limiti di velocità a 30 chilometri/ora e una pianificazione urbanistica che scoraggia il parcheggio in strada. Tutte le domeniche una vasta zona del centro viene pedonalizzata e alcune associazioni distribuiscono bici gratis. Stessa zona che beneficia di un paio di linee di filobus a ridurre inquinamento e rumore.

Brutti invece i bus urbani ordinari: si tratta di rumorosissimi veicoli diesel, perlopiù di produzione Mercedes, con cambio manuale, motore anteriore, privi di sospensioni idrauliche o pneumatiche e in generale con standard decisamente basso rispetto ai bus costruiti per le città europee. (C’è da dire che i bus in Messico, quando non sono previsti per percorsi predefiniti come le vetture BRT citate prima, devono essere in grado di resistere ai terribili dossi artificiali utilizzati in tutto il paese e anche nelle periferie urbane per imporre velocità limitate, e alle buche non sempre frequenti ma certe volte terribili).

In ogni caso, per quanto brutti, questi bus hanno una capillarità e frequenza notevoli. Armato della app Moovit (se non la conoscete installatela, funziona in tutte le grandi città del mondo e guida a una destinazione indicando fermate, linee e direzioni) ho potuto sempre trovare linee di bus per arrivare anche in quartieri molto lontani e senza mai attese superiori ai 10 minuti. A Roma, per esempio, non sarebbe stato possibile.

Una cosa di cui ho notato l’assenza a Guadalajara sono sistemi di mobilità leggera condivisa “free floating”, come auto, bici, monopattini o scooter condivisi parcheggiabili in qualunque luogo compatibile con il codice della strada. Sarebbe interessante capire se si tratti di una scelta dell’amministrazione o delle aziende del settore, o semplicemente un’onda che non ha ancora raggiunto questa affascinante città capoluogo del Jalisco. Saranno graditissimi contatti da parte di esperti in ascolto per provare a rispondere a questo quesito.


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domenica 18 luglio 2021

Infrastrutture a go-go (Puntata 492 in onda il 20/7/21 e in replica il 17/8/21)

Spiaggia di marmo a Thassos
(Copyright Derrick)
I consumi di energia, malgrado il rimbalzo soprattutto nel gas nei mesi post Covid, sono in Italia pressoché stagnanti da anni, ma non lo sono di certo le infrastrutture del settore, su cui gli investimenti non si sono mai fermati in era recente e sembrano ora, anche per il PNRR, sull’orlo di una nuova ondata. Parliamo anche di reti. Nel gas nell’ultimo decennio si sono costruiti in Italia due nuovi (e gli unici grandi) porti di attracco di navi metaniere, stoccaggi, metanodotti, ed è anche proposta la metanizzazione della Sardegna attraverso un sistema di ricezione di gas liquido via nave e sua distribuzione con una rete di metanodotti che sostituirebbe quella molto parziale già esistente di distribuzione di GPL.

Quest'ultima è un'infrastruttura che visti i bassi consumi sardi non potrà che essere un bagno di sangue economico per chi ne usufruirà, se la pagheranno i consumatori locali, o per tutti gli utenti dell'energia o i contribuenti, se i costi verranno socializzati. E in generale costruire ex novo una rete gas insulare mentre si va verso la decarbonizzazione, cioè verso la generazione elettrica rinnovabile, lascia molto perplessi, e ha avuto gioco facile l’amministratore dell’Enel Starace nel dire che non ha senso farlo, a maggior ragione visto che Terna – il gestore della rete elettrica – ha appena riproposto di portare in Sardegna un cavo sottomarino da 1000 MW dalla costa tirrenica campana giù fino a quella siciliana del Nord, per poi staccarsi e raggiungere l'isola a Est di Cagliari.

Come dire: nelle reti energetiche si investe senza badare troppo a spese, in una cosa e nel suo contrario. Con soddisfazione di molti, visto che gl’investimenti sono remunerati lautamente (cioè con un ritorno predefinito molto soddisfacente per un’attività quasi senza rischi) nelle bollette energetiche, andando a remunerare gli azionisti di Snam e Terna ma anche le tante aziende coinvolte nella costruzione di cavi e tubi e nella loro posa.

Una sbornia di infrastrutture, utili sì ma forse con qualche rischio di ridondanza e soprattutto di costi fuori controllo in assenza di analisi costi/benefici accurate, e su cui chiedono di vederci meglio (come hanno scritto il 12 luglio 2021 Quotidiano Energia e un livido ma divertente Mauro Pili sull’Unione Sarda) il tavolo della domanda energia di Confindustria ma perfino associazioni di fornitori come AIGET e Energia Libera. Fornitori consapevoli che, se sulla frazione risicata e molto competitiva della componente energia delle bollette si abbatte una parte sempre più pesante per remunerare l’infrastruttura, sarà difficile che la bolletta energetica complessiva possa essere competitiva.

Con il Tyrrhenian Link (così si chiama il nuovo cavo progettato da Terna), sarebbe la prima volta in Italia – e se non sbaglio una rarità anche altrove – che si usa una dorsale elettrica sottomarina non solo per raggiungere isole o varcare mari attraverso il percorso più breve o più semplice, ma – in parte del tracciato – anche per evitare potenziamenti su terra molto più economici ma anche più difficili da autorizzare.

Una difficoltà, quella autorizzativa, che evidentemente diventa possibile eludere off-shore quando dalle bollette arrivano i miliardi necessari.


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domenica 11 luglio 2021

La riforma fiscale. Ecologica? (Puntata 491 in onda il 13/7/21)

Aigues-Mortes (Francia)
Copyright Derrick
L’Italia, presidente di turno del G20, nell’ambito di un simposio sul fisco tenutosi a Venezia il 9 luglio 2021, ha richiesto a OCSE e Fondo Monetario internazionale di preparare un rapporto sull’uso delle politiche fiscali per accompagnare la transizione ecologica.

È ragionevole attendersi che il nostro Governo terrà in conto anche gli studi già disponibili riguardo alle necessità nazionali di adeguamento, in primis il Catalogo dei sussidi dannosi all’ambiente predisposto da quello che è oggi il Ministero della Transizione Energetica, e di cui si attende a breve l’uscita della quarta edizione.

Ma restando sul piano internazionale, come appare il nostro sistema fiscale se lo confrontiamo con quello degli altri Paesi OCSE? Sbilanciato nel colpire i redditi rispetto ai consumi. Con aliquote elevate nella tassazione dei redditi e nei contributi sociali sul lavoro dipendente. Con un ammontare elevatissimo di spesa fiscale (cioè gettito perso in regimi fiscali di favore), pari a circa il 3,5% del PIL nel 2019 secondo la Commissione per le spese fiscali.

Una revisione del fisco che scarichi la pressione sui redditi da lavoro, in particolare sugli scaglioni intermedi, è auspicata anche da un documento licenziato a fine giugno 2021 (link sotto) dalle commissioni finanze del Parlamento italiano, che auspica che la riforma sia anche funzionale alla “transizione ecologica”.

Curiosamente, invece, nel PNRR la riforma del fisco a cui il Governo verrà delegato entro luglio 2021 dal Parlamento con una legge-delega (predisposta dallo stesso Governo) non è connotata rispetto alla finalità ecologica.

Ma è difficile immaginare che senza recuperare il gettito dei sussidi censiti dal Catalogo già citato (qui e in tante altre puntate precedenti di Derrick) un Paese con un rapporto debito PIL al 160% possa abbassare l’imposta sui redditi. Sussidi dannosi che ammontavano nel 2018 a circa 19 miliardi secondo lo stesso Governo, e la cui quasi totalità è relativa a spesa fiscale: sconti o regimi di favore che incentivano attività dannose all’ambiente.


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domenica 4 luglio 2021

Truffatori con tesserino Acea (Puntata 490 in onda il 6/7/21)

Senso unico alternato pedonale
a Praga (copyright Derrick)
Oggi riprendiamo un tema già trattato molte volte qui a Derrick ma che purtroppo continua a essere di
attualità, almeno a Roma dove chi scrive vive.

Si tratta di venditori invariabilmente maschi, giovani e in coppia che lavorano per agenzie mandatarie di società di vendita dell’energia e usano tecniche di vendita sempre – nella mia esperienza – truffaldine.
A Roma da mesi è in corso un’emergenza Acea: senti tutti i citofoni del palazzo suonare insieme, poi campanelli dei portoni uno dopo l’altro e poi una domanda aggressiva tipo: ”Lei lo sa che deve aggiornare il contatore per non pagare di più?” di solito qualificandosi come dipendenti Acea (il che è falso, mentre non è di norma falso – salvo evidenza contraria che non ho - che siano agenti per Acea).

Come al solito la truffa si basa anche sulla confusione tra la società di vendita (in questo caso Acea Energia) e quella di gestione di rete e contatore (in questo caso Areti). Il che rende l’inganno facile da riconoscere: se qualcuno che non abbia un tesserino Areti e non abbia avvisato in anticipo della visita vi parla di contatore è quasi certo che sia un truffatore e fate bene a chiudergli la porta in faccia. Allo stesso modo non vanno mai mostrate bollette né forniti i dati della propria utenza, perché questo facilita eventuali attivazioni di forniture non desiderate.

Ho proposto all’ufficio stampa di Acea di intervistare qui a Derrick l’amministratore delegato, ma l’azienda ha preferito mandarmi un comunicato stampa, pubblicato integralmente qui sotto, che riferisce dei tentativi di controllare la qualità di queste agenzie, di come talvolta si tratti di semplici millantatori che usano il tesserino in modo fraudolento e di come in caso di nuovi contratti l’azienda verifichi che non siano involontari, cosa quest’ultima ottima.

Ma mi chiedo se al marketing di Acea tengano anche in conto il danno rispetto a tutti i potenziali clienti che non cadono nel tranello e semplicemente osservano truffatori con il tesserino aziendale in azione mentre cercano di confondere soprattutto gli anziani e le persone più in difficoltà.

Se io fossi Acea, e fossi intenzionato a mantenere una reputazione commerciale decente, farei l’impossibile per non confondermi con queste pratiche. Per esempio chiudendo il canale door to door, se non su appuntamento e con personale verificabile dal cliente. Cosa impedisce di imporre modus operandi corretti e di mandare propri ispettori? E se l’azienda non ci riesce, cosa aspetta a comunicare pubblicamente a clienti e potenziali clienti come riconoscere i truffatori? (Ripeto: nel mio caso tutte le persone con tesserino Acea che mi hanno suonato nell’ultimo anno usavano metodi truffaldini, e verosimilmente non tutti millantavano il mandato. Per cui, se le agenzie serie esistono, qualcuno deve aver raccomandato loro tassativamente di non suonare alla mia porta).

Acea Energia è parte del gruppo energetico del comune di Roma. I sostenitori delle partecipazioni pubbliche ritengono che un servizio essenziale debba essere operato da aziende controllate dal pubblico per garantirne qualità ed equità, e questa è tipicamente la ragione politica per giustificare che con la mia IMU o la mia addizionale comunale il Comune partecipi in un’azienda. Il che fa di me, indirettamente, un’azionista. In questa veste mi arrogo la responsabilità di affermare che il management di Acea e il Comune di Roma hanno una grave responsabilità per non essere intervenuti efficacemente sui tentativi di truffe porta a porta in nome di Acea.

Ma anche gli azionisti privati dovrebbero preoccuparsi di una dissipazione di credibilità di questo tipo.

I microfoni di Derrick restano aperti.


Link e allegato


Allegato: Nota di Acea Energia
(ricevuta da Derrick il 25/6/21 e qui riprodotta integralmente)

Acea Energia gestisce il suo rapporto con i clienti attraverso un servizio di 
assistenza e una rete commerciale che utilizzano differenti canali di 
comunicazione. Tra questi c’è il canale door to door che, secondo i termini di 
uno specifico mandato, regolamentato dal Codice di Condotta Commerciale (di 
cui alla Delibera n. 104/2010 dell’ARERA e successive modifiche, qualora 
applicabili, al Decreto legislativo n. 206 del 6 settembre 2005, anche detto 
“Codice del Consumo”), nonché dal Regolamento UE 2016/679 (“GDPR”) a 
garanzia del rispetto della privacy dei clienti, viene affidato ai suoi Business 
Partner (agenzie) per svolgere l’attività di promozione e commercializzazione di 
prodotti e servizi offerti dall’azienda. 

 Gli agenti incaricati di questo compito sono muniti di un tesserino 
identificativo autorizzato da Acea Energia e la società ha responsabilità 
di controllare che la loro condotta sia perfettamente idonea e adeguata 
al corretto adempimento del loro mandato. È evidente, però, che tale 
responsabilità e tale attività di controllo possono essere applicate solo agli 
agenti effettivamente incaricati dai suoi Business Partner e che l’azienda non 
ha alcun collegamento con le attività svolte in maniera illegittima da persone 
che si qualificano come agenti commerciali dell’azienda senza averne alcun 
titolarità.  

La società ha predisposto una sequenza di azioni per mitigare il rischio di 
potenziali malpratiche: esegue, per esempio, controlli qualità ex-post 
nell’ambito della gestione di eventuali reclami avanzati dai clienti; nelle 
attivazioni contestate, laddove venga accertata una violazione commessa dagli 
agenti incaricati, trovano applicazione meccanismi di ripristino con i precedenti 
fornitori e l’applicazione di tariffe a sconto rispetto a quelle di riferimento nel 
mercato di maggior tutela; nei casi più gravi, viene applicato il c.d. 
art.66 quinquies del Codice del Consumo che dispensa il cliente dal pagamento 
della tariffa nel periodo in cui è stato fornito contro la sua volontà.  Infine, i 
contratti acquisiti dal canale door to door, vengono verificati con una 
“instant call” in cui il cliente, dopo la sottoscrizione della fornitura, viene 
intervistato telefonicamente per accertare l’effettiva volontà di sottoscrizione 
del contratto nonché l’effettiva comprensione ed accettazione delle condizioni 
tecnico-economiche. 

Acea Energia, inoltre, sta implementando un processo di digitalizzazione dei 
servizi per incrementare ulteriormente la qualità dell’assistenza offerta al 
cliente e continuerà a porre in essere tutte le possibili azioni di miglioramento 
delle proprie reti commerciali. 

domenica 20 giugno 2021

Blackout e investimenti (Puntata 489 in onda il 22/6/21)

Pali della luce a Nara
(copyright Derrick)
Recentemente a Milano, con i primi caldi estivi di fine primavera, si è verificata una serie di blackout anche piuttosto lunghi, probabilmente dovuti alla minore efficienza dei consumi per raffrescamento in un contesto in cui molte persone lavorano da casa anziché in uffici con impianti centralizzati.

Questo si verifica all’alba di una lunga stagione in cui per raggiungere gli obiettivi di transizione ecologica i consumi di energia dovranno necessariamente avvenire sempre più in forma di elettricità, con il vantaggio da un lato di non produrre emissioni dannose nel luogo di consumo (e per quote sempre maggiori nemmeno in quello di produzione), dall’altro di facilitare l’uso di fonti rinnovabili. All’alba, in altri termini, di un’era in cui le reti elettriche saranno stressate ben più di quanto possa fare oggi il caldo di una normale giornata pre-estiva.

Il sindaco Sala, in relazione ai blackout, ha dichiarato la necessità di investimenti da parte del gruppo A2A, la ex municipalizzata dell’energia tutt’ora controllata dalle amministrazioni locali di Milano e Brescia, la quale possiede interamente Unareti, il gestore delle reti elettriche locali.

Quasi inevitabilmente le affermazioni di Sala stimolano una domanda: cos’ha impedito fino a oggi a Unareti di fare tutti gli investimenti necessari perché accendere i condizionatori non metta fuori uso più volte la città? Mancanza di fondi proprio no, visto che l’azienda, che svolge in regime di monopolio regolato la gestione della rete, riceve in tariffa quanto basta secondo l’Autorità per l’energia per mantenere e sviluppare la rete stessa, tanto che l’ultimo conto economico della stessa Unareti presenta un risultato netto di 100 milioni, poco meno del 5% dell’intero capitale investito, una remunerazione ottima per un’azienda che in quanto monopolista regolato non corre rischi di mercato.

A Sala andrebbe forse anche chiesto se non sia avvenuto e stia avvenendo che l’azienda energetica di Milano, così come altre ex municipalizzate in giro per l’Italia, sia in effetti usata dall’amministrazione come fonte di cassa più che come veicolo di potenziamento dell’infrastruttura che presidia, mostrando, se così fosse, quanto è incongrua l’affermazione (che pure è evergreen) secondo cui se un servizio è di particolare interesse pubblico allora sia meglio un operatore di proprietà pubblica per garantirne una disponibilità soddisfacente.

A Derrick già abbiamo notato come, basandosi sui dati dell’Autorità di settore, la tendenza di miglioramento dell’affidabilità delle reti locali dell’elettricità, che è stata uno dei successi innegabili della liberalizzazione, si sia da qualche tempo invertita. Tornare a un percorso di miglioramento è fondamentale, visti i cambiamenti che ci aspettano e che accennavamo all’inizio. Le tariffe pagate in bolletta dovrebbero già oggi bastare a tutti gli investimenti nelle reti, che in più potranno contare su oltre 4 miliardi dal PNRR. Che altro serve?


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martedì 18 maggio 2021

La bussola dell'inquinamento cittadino (Puntata 485 in onda il 18/5/21)

Da "The Economist", 8/5/2021

Questa è Derrick e questo è il 193esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che chiuse le scuole per la seconda volta senza che quelle superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime.

Torniamo a parlare a Derrick di qualità dell’aria nelle città, ma lo facciamo prendendola stavolta da lontano. Un articolo dell’Economist della seconda settimana di maggio 2021 mi ha molto colpito, tanto che per un po’ sono rimasto lì a guardarne i grafici esplicativi senza capire dove volessero arrivare.

Questi grafici, che riporto sul blog Derrickenergia.it insieme al link all’articolo (a pagamento e non sono autorizzato ovviamente a riprodurlo), sono a forma di cerchio il cui centro rappresenta il centro di una città. Quale città? Tutte le principali città della Gran Bretagna che sono state analizzate in questo studio recentemente pubblicato nel journal della University of Chicago a firma di tre accademici: Heblich, Trew e Zylberberg.

I tre studiosi hanno confrontato la localizzazione della popolazione residente a più basso reddito delle città considerate con la qualità dell’aria nei singoli quartieri. Per i periodi antecedenti alla disponibilità di rilevazioni, gli studiosi hanno usato modelli di dispersione degli inquinanti a partire dagli opifici con emissioni dannosi registrati nella documentazione disponibile. Lo studio ha coperto un periodo che inizia alla fine del XVIII secolo, cioè con la prima rivoluzione industriale, quando la Gran Bretagna, si può forse dire, ha inventato lo smog.

Ebbene, cosa emerge dallo studio? Che i poveri abitavano e abitano tutt’ora nelle zone più inquinate della città, che sono anche quelle con i prezzi delle case sensibilmente inferiori. Questo in parte si spiega con la prossimità agli opifici ma, secondo gli autori, significativamente di più con quella che potremmo chiamare gentrificazione della salubrità: le zone più inquinate esprimono proprio per questo prezzi delle case più bassi e sono alla portata dei redditi inferiori.

C’è una costante, a prima vista curiosa, che gli autori notano e che avvalora le loro conclusioni: nelle città dell’isola le zone inquinate sono perlopiù a Est e Nordest dei centri urbani (mentre gli opifici sono o erano distribuiti in modo omogeneo nella cintura cittadina). Perché? A causa dei venti prevalenti nella regione considerata (e non, per esempio, delle esalazioni dei fiumi, perché non sempre come avviene a Londra il fiume cittadino fluisce verso Est).

E guarda caso statisticamente più spesso a Est e Nordest sono i quartieri più poveri. E c’è di più: questo trend non si è affatto invertito, almeno non ancora, con la deindustrializzazione almeno parziale.

Si direbbe una conferma (e non ce ne sarebbe bisogno) dell’efficacia dei cosiddetti “prezzi edonici”, una tecnica con cui gli economisti ambientali misurano la disponibilità a pagare un bene ambientale (in questo caso l’aria più pulita) con i prezzi di altri beni che permettono di fruirne (in questo caso le case in determinati quartieri).

Continueremo il tema, ma spostandoci in Italia, nella prossima puntata.


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domenica 9 maggio 2021

Il ritardo dell'intelligenza artificiale (Puntata 484 in onda l'11/5/21)

Finestra a Regensburg
(Copyright Derrick)

Questa è Derrick e questo è il 186esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che chiuse le scuole per la seconda volta senza che le superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime. Il Governo tre settimane fa ha annunciato la riapertura, ha fatto un decreto in cui invece lascia la decisione alle Regioni che in qualche caso (per esempio in Lombardia) hanno sensibilmente aumentato i giorni in presenza, in altri come nel Lazio no. In generale, la riapertura completa sembra essere l’ultima delle aspirazioni di governo centrale (annunci a parte), regioni, e maggioranza dell’opinione pubblica. Lo stesso Enrico Letta in un tweet del 5 maggio 2021 si preoccupa delle aperture turistiche estive senza menzionare le scuole superiori part time.

Oggi parliamo non per la prima volta qui della cosiddetta intelligenza artificiale. Dopo 484 puntate, sarà pur capitato qualche volta a Derrick di imbroccare una previsione? Una di queste forse è proprio lo scetticismo sull’imminenza dell’arrivo dell’intelligenza artificiale.

Di questi giorni è la notizia che anche Uber ha gettato la spugna sullo sviluppo della sua piattaforma di guida autonoma e venduto il relativo ramo d’azienda. E in generale nelle auto anche più moderne non si sta assistendo all’introduzione della guida autonoma completa che invece molti avevano previsto già per lo scorso decennio. Ciò che si trova nelle auto anche di fascia media è quanto è disponibile già da diversi anni su quelle più costose: sistemi di assistenza alla guida in grado di compiere solo specifiche funzioni come tenere la corsia e la distanza (sterzando e frenando opportunamente) o parcheggiare una volta che l’auto sia in prossimità di uno spazio adatto.

Mi pare del resto che anche i più ottimisti sull’intelligenza artificiale ultimamente ammettano che l’automazione per ora può sostituire l’uomo in attività estremamente circoscritte e specializzate, ma non dove è necessario usare la capacità umana di vedere analogie tra ambiti diversi. Tant’è che l’insistenza con l’antropomorfismo dei robot comincia a dare un po' l'idea di fantascienza di modernariato (ma ricorderete che fino a pochi anni fa l’Istituto Italiano di Tecnologia aveva come prototipo di punta un robottino bianco antropomorfo).

Il famoso test di Turing, detto in modo molto semplificato, definisce intelligenza artificiale quella che sia indistinguibile rispetto a quella umana da un umano. Ecco: il fatto che comunemente nell’accesso a siti web ci venga richiesto di riconoscere banali immagini per dimostrare di non essere robot è appunto un test di Turing inverso detto test Captcha.

­Cosa ci indica la diffusione di questo test? Che l’intelligenza artificiale comunemente disponibile non sa riconoscere un semaforo, una casa o altre immagini estremamente banali quando sono confuse con altre e non invece isolate e stilizzate. Che è anche il motivo per cui la guida autonoma di veicoli funziona bene solo in contesti molto infrastrutturati in termini di mappatura dell’area e di connettività, e riesce a fare alcune cose ma non tutte.

Ringrazio per questa puntata Antonio Sileo direttore dell'Osservatorio sull'innovazione energetica I-Com il cui rapporto 2020 si è anche occupato di monitoraggio dello sviluppo di tecnologie di guida autonoma: https://www.i-com.it/wp-content/uploads/2020/07/la-ripresa-sostenibile-l-innovazione-energetica-chiave-dello-sviluppo-report-i-com.pdf 

Un'altra recente puntata di Derrick sulla guida autonoma è qui: http://derrickenergia.blogspot.com/2021/02/i-trasporti-locali-del-futuro-puntata.html