sabato 31 agosto 2019

La "sterilizzazione" dell'IVA (Puntata 407 in onda il 3/9/19 e in replica il 1/10/19)

Cave di marmo in cima al passo del Vestito (MS)
Un politico con aspirazioni di amministrazione pubblica, che non affronti la questione di dove pensa di trovare le risorse per le sue promesse, a logica dovrebbe essere ritenuto inadatto al ruolo. Non da noi, apparentemente, dove quasi tutti i partiti e i leader da mesi stanno ripetendo il mantra del “dobbiamo sterilizzare l’aumento IVA”, come se si trattasse di arrivare in tempo a premere un bottone prima dell’innesco, e come se la parte rilevante della questione non fosse piuttosto da dove dovrebbero venire le risorse per evitare gli aumenti altrimenti già previsti.
Del resto buona parte di quegli stessi politici sembra confondere le regole di finanza pubblica UE con l’effettiva disponibilità di creditori per finanziare il debito e con le conseguenze distributive di doverne ripagare una quantità ancora più mostruosa di quella che già si abbatte sulle prossime generazioni di contribuenti.

La notizia buona, però, sull’IVA, è che proprio all’interno di questa imposta ci sono gli spazi per fare una messa a punto che permetterebbe di avere più gettito senza aumentare l’aliquota ordinaria.
Vediamo perché: oggi l’IVA vale oltre 130 miliardi (parlo sempre di numeri annuali), meno del 7% del PIL. Oltre a quella ordinaria del 22%, ha 2 aliquote agevolate (4, e 10%) applicate a beni e servizi specifici.
Uno studio della Corte dei Conti del 2016 attribuisce ai regimi agevolati oltre il 40% del gettito IVA, contro una media UE27 di poco più della metà. L’Italia, dunque, ha un’enorme spesa fiscale in agevolazioni IVA (senza contare le esenzioni pure). In parte questi regimi agevolati hanno il fine di proteggere l’approvvigionamento di beni primari (per esempio alimentari), ma perlopiù si tratta di discriminazioni incomprensibili, alcune con effetti negativi sull’ambiente.

Esempi di IVA agevolata dannosi all’ambiente secondo il Catalogo Minambiente dei sussidi dannosi (dove non specificato, il Catalogo non riporta gli ammontari) sono questi:
  • Sull’energia consumata per le attività estrattive agricole e manifatturiere: 1,4 miliardi/a (disincentiva il risparmio energetico e riduce la competitività delle aziende energicamente efficienti)
  • Sull’energia elettrica domestica (indipendentemente dal reddito): 1,7 miliardi (disincentiva efficienza e ha effetti distributivi regressivi) (simile esenzione c’è sul gas naturale)
  • Sugli olii minerali usati nella produzione di energia
  • Sui prodotti petroliferi usati in agricoltura (circa 200 milioni)
  • Sulla cessione di nuove costruzioni abitative (introdotta nel 1972). Oggi che occorre ridurre il consumo di suolo e che i vani vuoti a fronte della popolazione stagnante sono troppi, che senso ha regalare soldi alle nuove costruzioni anziché mettere in sicurezza quelle vecchie e non antisismiche?
  • Sulle acque minerali (800 milioni che si aggiungono a bassi oneri concessori per l’estrazione)
  • Sui servizi di smaltimento in discarica (alla faccia dell’economia circolare).


Esempi di regimi agevolati incomprensibili invece sul piano distributivo sono questi:
  • Parcheggi (sussidio all’uso dell’auto privata) (aliquota del 4%)
  • Hotel e ristoranti (indipendentemente dalla fascia di prezzo) (10%) (le mense scolastiche e di lavoro, qui in modo più sensato, hanno il 4%)
  • Fiori recisi (sic) (10%)
  • Tabacchi (alla faccia delle campagne antifumo) (10%)
  • Tra i beni alimentari: crostacei, molluschi, cacao amaro e birra hanno IVA al 10%, funghi, mandorle e meloni addirittura al 4%.


Allora: siamo sicuri che convenga sterilizzare l’IVA così com’è e trovare soldi altrove, magari come al solito con nuovo debito e quindi più tasse e meno investimenti futuri? In realtà anche dentro all’IVA, come in generale nel sistema fiscale (l’abbiamo visto qui anche in puntate recenti) ci sono distorsioni chiaramente dannose, superare le quali porterebbe nuovo gettito, che a seconda della radicalità degli interventi potrebbe da solo evitare l’aumento dell’aliquota ordinaria del 22% o addirittura permettere di limarla senza nuovo debito o nuove tasse alternative.


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