martedì 28 febbraio 2017

Catalogo Minambiente dei sussidi sfavorevoli e favorevoli all'ambiente (Puntata 304)

(La puntata sull'edizione successiva del Catalogo è qui).

C’è un insieme vastissimo di voci di spesa dello Stato centrale e degli enti locali che non sempre rientra nelle pur diverse definizioni di welfare e che serve a facilitare la vita di miriadi di beneficiari. È il mondo dei sussidi alla produzione o al consumo di beni, nella forma di trasferimenti diretti oppure di facilitazioni d’imposta, inclusa la parafiscalità delle bollette dell’energia che da sola vale un ordine di grandezza di 10 miliardi di Euro all’anno.
Un mondo misconosciuto, forse anche a causa della eterogeneità delle voci che lo compongono, e che pure vale circa il 10% dell’intera spesa pubblica, se si include l’erosione fiscale (cioè i sussidi nella forma di facilitazioni d’imposta).

Il misterioso lago artificiale di Occhito, in Molise,
fotografato da Derrick nel 2013
È stato pubblicato a febbraio 2017 dal ministero dell’ambiente (link sotto) un catalogo dei sussidi pubblici classificati rispetto alla loro interazione favorevole o dannosa con l’ambiente. Un documento estremamente importante sia in termini di conoscenza della nostra politica economica, sia di quella ambientale. Dal primo punto di vista, questo catalogo si aggiunge al lavoro dello stu
dio della commissione Ceriani del 2011 e di Giavazzi del 2012.
Studi peraltro non sovrapponibili perché con ambiti di analisi almeno in parte diversi. Nel caso del catalogo del ministero dell’Ambiente, ciò che vi è incluso sono i trasferimenti del Governo centrale, esclusi quelli di competenza diretta del ministero dello sviluppo economico, e il sistema, o almeno la sua gran parte, della parafiscalità delle bollette energetiche. Non sono inclusi invece i trasferimenti degli enti locali (stesso ordine di grandezza di quelli centrali secondo altri studi) e i Piani Operativi Nazionali e Regionali finanziati dai fondi strutturali UE.

Ecco un numero di estrema sintesi del catalogo: i sussidi dannosi all’ambiente, all’interno degli ambiti oggetto dello studio, ammontano secondo il MATTM a oltre 16 miliardi di Euro all’anno, quasi tutti spese fiscali. Una cifra superiore, anche se di non molto, a quella dei sussidi ambientalmente favorevoli.

Ci sono casi, e qui è Derrick che esprime un’opinione, in cui l’indifendibilità di alcuni sussidi emerge dalla palese contraddizione rispetto a obiettivi di altri sussidi. I sussidi alle fonti energetiche fossili, per esempio, servono a rafforzare produzioni ridurre le quali è obiettivo dei sussidi alle fonti rinnovabili. Ora, è facile dimostrare che la penetrazione delle rinnovabili è resa più difficile dagli aiuti alle fonti fossili, i quali quindi rendono di fatto necessari maggiori sussidi alle fonti rinnovabili, generando un assurdo circolo vizioso.

Eliminare i sussidi alle fossili peraltro è quanto l’Italia si è già impegnata a fare entro il 2025 in occasione del G7 del 2016, e quanto auspicano OCSE, Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale. E da fare ce n’è, visto che il MATTM quantifica in oltre 11 mld/a i sussidi dannosi all’ambiente su prodotti energetici – sostanzialmente agevolazioni fiscali al consumo di fonti fossili.


Link utili:

Questo articolo è anche apparso su LabParlamento, che ringrazio, qui: http://www.labparlamento.it/thinknet/sussidi-allenergia-se-il-circolo-diventa-vizioso/

sabato 18 febbraio 2017

UE su ambiente: rischio d'infrazione per l'Italia (Puntata 303)

La volta scorsa abbiamo visto un documento della Commissione UE di inizio febbraio 2017 sull’attuazione delle politiche ambientali in Italia, che sta dando risultati insufficienti, e sulle possibili azioni di miglioramento. Uno dei settori critici è quello della salubrità dell’aria, che in alcuni grandi centri, tra cui Roma e gran parte delle città della pianura padana, sfora troppo spesso i limiti di legge senza che vengano attuati interventi efficaci.

Infrazione in arrivo?

Nei giorni scorsi la Commissione ha fatto un ulteriore passo, inviando un ultimo avvertimento di procedura di infrazione a Germania, Francia, Spagna, Regno Unito e Italia, per il mancato rispetto dei limiti previsti di biossido di azoto (NO2), che in media in Europa – scrive la Commissione - causa il triplo dei decessi di quelli da incidenti stradali. Salvo risposte convincenti dal nostro Governo, all’avvertimento seguiranno sanzioni.

Il biossido di azoto, così come il meno tossico monossido, si forma durante processi di combustione ad alta temperatura, che favoriscono l’ossidazione dell’azoto
dell’aria. In concentrazioni anomale è responsabile di malattie dell’apparato respiratorio e precursore delle polveri sottili, a loro volta dannose alla salute, e dello smog. A maggiori altitudini invece gli ossidi di azoto causano piogge acide e, nel caso del monossido d’azoto, contribuiscono all’effetto-serra.
La loro fonte principale sono i veicoli con motore a combustione, in particolare quelli diesel.

Il ministro dell’ambiente Galletti ha rilasciato dichiarazioni, riprese tra l’altro dall’Ansa, in cui ricorda come le politiche di risposta al problema hanno tempi lunghi di effetto e si dice fiducioso che la Commissione prenderà atto della congruità della risposta italiana, tra cui le politiche di controllo delle caldaie urbane per il riscaldamento e il piano di sviluppo delle colonnine di ricarica per l’auto elettrica.
Due azioni di sicuro importanti. Restano però intanto quasi inerti le politiche urbane di controllo del traffico privato (basti pensare a Roma dove qualunque auto non obsoleta – ma in pratica nessuno controlla nemmeno questo aspetto) può girare senza oneri perfino in zone centralissime come i piedi di piazza del Campidoglio o un intero lato del foro romano.

La reazione di Galletti è un po’ sintomatica di quella di molti di noi: sembra che il problema sia far star buona l’Europa, non migliorare la nostra vita, non proteggerci da un’emergenza sanitaria che riguarda noi.
Che dire? Lunga vita ai tecnocrati di Bruxelles visto che è grazie a loro che questioni così importanti vengono monitorate.

Ringrazio Massimiliano Iervolino


Altri link utili:


sabato 11 febbraio 2017

Rapporto UE di febbraio 2017 sulle politiche ambientali italiane (Puntata 302)

Nell’ambito del 7° Programma Europeo d’Azione per l’ambiente, la Commissione UE (direzione generale ambiente) ha diffuso il 3 febbraio 2017 una relazione sull’attuazione delle politiche ambientali a cui l’Italia è impegnata da norme e accordi europei. Si tratta di una relazione che copre tra gli altri gli ambiti della gestione dei rifiuti, del suolo e del rischio idrogeologico, dell’utilizzo efficiente delle risorse naturali, della protezione della qualità dell’aria e della sostenibilità della vita in città. Il documento suggerisce anche alcune politiche efficaci secondo gli estensori per perseguire gli obiettivi non raggiunti.

Vediamo alcuni dei punti. Riguardo alle performance italiane, un indicatore di come la cosiddetta economia circolare stenti in Italia sono i dati sulla differenziazione della raccolta dei rifiuti, settore in cui il nostro Paese nel 2014 era ancora lontano dall’obiettivo del 50% cui eravamo impegnati per il 2009, con il nord che pur facendo meglio della media era ancora a sua volta lontano dall’obiettivo del 2011. Quale politica potrebbe aiutarci secondo la DG Ambiente? Una tassa sui rifiuti conferiti in discarica, e il favorire la collaborazione tra Regioni, quest’ultimo punto opposto a quanto spesso prescrivono le nostre norme regionali.

Uso del suolo: l’Italia nel 2012 era il 4° paese più costruito dell’UE, il che è abbastanza impressionante se pensiamo che in Europa ci sono anche città-Stato densissimamente abitate, e con un consumo di suolo (cioè di nuovo suolo reso artificiale) dello 0,37% all’anno nel periodo 2006-2012.

Aria. Sapete quant’è secondo gli studi usati dalla Commissione il valore economico del danno da esposizione a inquinanti dell’aria, soprattutto in zone urbane, in Italia (nettamente peggiore che nella media UE)? 47 miliardi di Euro 2010. E non è solo l’inquinamento il problema delle nostre città, che sono messe molto male anche in termini di danni da traffico congestionato per tempo e reddito persi (numeri alla mano, l’Italia può ritenersi un Paese nettamente sottosviluppato per abnorme diffusione di auto private e scarso uso di trasporto pubblico urbano).
Come ovviare? I segnali economici sono lo strumento più sensato per la Commissione, che ci consiglia un’imposizione fiscale che stimoli comportamenti più virtuosi. 20 miliardi all’anno è quanto si potrebbe recuperare riparametrando le imposte ambientali (che secondo la definizione internazionale, che include per esempio il bollo auto, sono già relativamente alte rispetto alla media UE) per restituirle ai redditi da lavoro e rilanciare l’economia, di cui circa 9 arriverebbero solo dall’armonizzazione delle tasse dei carburanti nei trasporti. Una tassa per l’estrazione dell’acqua potrebbe valerne quasi 5, e anch’essa incentiverebbe comportamenti virtuosi.

Vi ricorda qualcosa questa ricetta? Sono gl’interventi proposti da Radicali Italiani e Legambiente già 3 anni fa con #Menoinquinomenopago e in parte previsti nella delega fiscale approvata dal Parlamento nel 2014 e mai attuata dagli esecutivi.

Quando il governo non trova risorse per abbassare le tasse sul lavoro, o quando per anni non è in grado di fare nemmeno un documento programmatico sull’ambiente, beh, sta di fatto proteggendo rendite che danneggiano la bellezza e salubrità del nostro patrimonio naturale e che danneggiano il potenziale innovativo della nostra economia.

Link:

domenica 5 febbraio 2017

Sicurezza o profitto? (Puntata 301)

È arrivata la sentenza di primo grado sulle responsabilità del disastro ferroviario di Viareggio, dove nella notte del 29 giugno 2009 in seguito a un guasto al carrello di un vagone merci e al conseguente ribaltamento di un serbatoio di gas di petrolio si sviluppò un incendio che si estese al difuori dell’area dei binari e causò oltre 30 morti e sconvolse la vita di molte famiglie della zona.
Le condanne in primo grado colpiscono esponenti dell’azienda proprietaria dei vagoni affittati alle ferrovie italiane, della stessa Trenitalia e di RFI, la società che gestisce la rete ferroviaria italiana, proprietà del gruppo Ferrovie dello Stato.
Tra i condannati, l’attuale AD di Leonardo, Finmeccanica, Mauro Moretti, ai tempi dell’incidente amministratore delegato delle ferrovie.
Le motivazioni della sentenza per ora non sono note, e Derrick si impegna, grazie a consulenti in grado di aiutarlo, a leggerle quando ci saranno.

Nel frattempo sono stato molto colpito da un articolo apparso su Repubblica mercoledì 1 febbraio 2017, in cui si riportano virgolettati del procuratore di Lucca, Pietro Suchan e del PM Salvatore Giannino. A quest’ultimo Repubblica attribuisce la frase: “Questa sentenza pone al centro la sicurezza e non più il profitto”. E ancora “L’incidente è nato da un errore, ma se quell’errore ha generato un disastro è perché il sistema era orientato al profitto e non alla sicurezza”.
Apparso su Repubblica il 1/2/2017

Ma cosa c’entra il profitto? Mi chiedo io. Io mi aspetto che i giudici abbiano indagato la violazione di norme sulla sicurezza o delle prestazioni stabilite dai contratti di servizio nelle diverse aziende coinvolte. Ma non mi aspetto assolutamente che si occupino di stabilire la primazia morale tra sicurezza e profitto. Se non altro, perché è una dicotomia faziosa: il diritto alla sicurezza in che modo dovrebbe essere perseguito tenendo conto della sua concorrenza con il perseguimento del profitto? Se FS fosse ancora l’azienda-carrozzone che perdeva soldi pubblici, allora un livello di sicurezza basso ma perseguito più efficacemente del profitto sarebbe accettabile?

Se è vero che la nostra Costituzione subordina agli interessi del bene comune l’iniziativa imprenditoriale (che “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”), dice anche che è “la legge” che “determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata ai fini sociali”. Ora, per quanto il passaggio sia sibillino in quel riferimento vago ai “fini sociali”, se è la legge che introduce i limiti – anche in favore della sicurezza - all’attività d’impresa, non dovrebbe essere una sentenza a farlo, se non in applicazione di quella stessa legge, no?