martedì 26 novembre 2013

Ecopedaggio francese per mezzi pesanti, e proteste - D182

L’altra volta Derrick si è occupato della carbon tax francese, prima tentata da Sarkozy e ora forse in via di approvazione con il governo socialista.
Sarkozy in realtà ci aveva provato anche in un altro modo a introdurre tasse di natura ecologica per ridurre quelle sul reddito: con la TPL, taxe poid lourds, detta anche ecotassa, imposta sul trasporto pesante che, arrivata a ridosso dall’applicazione dopo anni di preparazione, ha scatenato blocchi stradali da parte dei camionisti (soprattutto i cosiddetti padroncini, secondo Assotir) e anche da parte dei “cappucci rossi” (bonnets rouges), esponenti dell’industria agroalimentare bretone già in crisi che temono un peggioramento con l’aumentare dei costi di trasporto. Evidentemente non tranquillizzati dall’esenzione che la norma prevede per i trasporti di alcuni prodotti alimentari, stando al sito ufficiale dell’amministrazione francese.

Ma cos’è quest’ecotassa? È un pedaggio per i mezzi pesanti (non pesantissimi, in realtà, perché parte da masse di 3,5 T) calcolato per chilometro percorso su circa 10.500 km di rete stradale nazionale più circa la metà di strade dipartimentali e comunali.
L’importo al chilometro dipende dalla classe ecologica del veicolo sulla base della classificazione europea (veicoli più inquinanti pagano di più), dal numero di assi e dal peso autorizzato, per un costo per il 2014 da 8,8 a 15,4 centesimi al chilometro).
Funziona con portali in luoghi strategici della rete. Curioso però che siano escluse le autostrade dove gli apparecchi per il pedaggio elettronico già ci sono. In effetti l’infrastruttura è simile a quella per il telepass, e ci vuole un trasmettitore che dev’essere obbligatoriamente pagato e installato da tutti i mezzi commerciali per cui è dovuta l’ecotassa.

Mettere tutto in piedi non dev’essere stato una cosa da poco, tantoche la società Ecomouv, una cordata controllata da Società Autostrade, è stata costituita già nel 2011. E ha firmato con l’amministrazione francese un contratto che pare preveda, per remunerare l’investimento, il 20% di aggio sulle somme raccolte oppure  – cosa che ora a Società Autostrade tornerà utile - una penale di 800 milioni nel caso in cui l’ecotassa non entri effettivamente in vigore.
E in effetti in un’intervista a Les Echos, il primo ministro Jean-Marc Ayrault ha anticipato il 18 novembre che il governo era favorevole a sospendere l’ecotassa, già rimandata di un anno. E la sospensione è poi avvenuta. Ayrault ha detto che prima di partire serve il tempo per una revisione generale del sistema fiscale. 
E società Autostrade probabilmente dovrà sudarsi gli 800 milioni, visto che il ministro dell’economia francese ha rilasciato dichiarazioni critiche rispetto a Ecomouv, riferendosi a ritardi nell’approntamento del sistema.

La morale? Un po’ come con i taxi, o gli autobus urbani, sembra che chi tocca i TIR muoia, almeno in termini di singole iniziative di amministrazione. E dire che la norma francese prevede espressamente che i trasportatori possano passare a valle il maggior costo.

Ho sempre più l’impressione che le riforme fiscali si riescano a fare non tanto se hanno un senso complessivo in termini di equità e sviluppo, quanto se il ramo negativo del loro impatto – per quanto grosso – non è percepito da categorie in grado di far casino.

Per questa puntata ringrazio Marianna Antenucci.

martedì 19 novembre 2013

D181 - Carbon tax in Francia

Vi ricordate? Nel 2009 il presidente francese Sarcozy tentò di introdurre una carbon tax in Francia. Che però fu rigettata dalla corte costituzionale. Perché? Perché aveva troppe esenzioni.
Troppe esenzioni.

Ora Hollande ci riprova ma ha imparato solo in parte la lezione.

Prima di entrare nei dettagli però vorrei evitare un fraintendimento: le proteste dei TIR che stanno bloccando le strade francesi ancora mentre scrivo questo post non sono proteste contro la carbon tax. Bensì contro un’ecotassa in forma di pedaggio di cui parlerò nella prossima puntata e di cui hanno parlato i giornali italiani per un coinvolgimento di Società Autostrade nella cordata che ha messo in piedi l’apparato di esazione.

Riguardo invece alla carbon tax francese (contribution climat énergie): è già approvata da un ramo del parlamento. Si tratta di una modifica delle accise sull’energia che introduce in anticipo parte delle previsioni dell'evoluzione della direttiva europea sulla tassazione dei prodotti energetici, il cui aggiornamento, non ancora legge, prevede che le accise su questi prodotti debbano legarsi alle emissioni di CO2 e al contenuto energetico.
Su questa base, il legislatore francese stabilisce un costo della CO2 per i prossimi anni, e in questo modo aggiunge una componente di accisa ai combustibili. Il ricavato andrà perlopiù ad alimentare il credito d’imposta per la competitività e l’occupazione.

L’applicazione della carbon tax sarà graduale perché prevede prezzi della CO2 crescenti. Uno potrebbe chiedersi perché si utilizzano prezzi convenzionali anziché prezzi del mercato delle emmissioni – il cosiddetto ETS. La risposta più verosimile è che questo mercato, per diversi motivi, sta esprimendo prezzi bassi e dalle prospettive inaffidabili e che per questo i legislatori, in modo un po’ illiberale, stanno cercando di eluderlo anziché farlo funzionare, o semplicemente prenderne atto. In ogni caso, il gettito previsto dalla contribution climat énergie è di soli 340 milioni di euro nel 2014, per poi salire a 2,5 miliardi nel 2015 e poco più di 4 miliardi nel 2016. Si tratterà circa di 2 € in più a regime per un pieno di gasolio da 50 litri.
Non per tutti, però. Perché come accennavo all’inizio ci sono esenzioni. In particolare per il trasporto pesante sopra le 7,5 tonnellate, già in parte esentato dalle attuali accise. Derrick si è recentemente occupato dei clamorosi sconti alle accise sul gasolio di cui il trasporto pesante gode anche in Italia (1,6 miliardi nel 2012), e nella prossima puntata faremo un confronto comparato sulle dimensioni di quest’esenzione rispetto alla Francia.

Quel che si può di sicuro dire, riprendendo anche la corte costituzionale francese, è che se uno mette una tassa sulle emissioni CO2 è per scoraggiarle. Cioè per farne pagare un costo economico a chi le causa. Ma se questo costo non viene fatto pagare all’autotrasporto commerciale  si fallisce nell’introdurre un vantaggio ai prodotti che hanno minor necessità di emettere CO2 da trasporto. Si impedisce quindi al sistema introdotto di funzionare anche per i prodotti che hanno un consumo energetico – e quindi emissioni – indirette dovute al trasporto. Si rende quindi il sistema di molto monco.

Per questa puntata ringrazio Marianna Antenucci.

martedì 12 novembre 2013

D180 - Il nuovo nucleare inglese di Stato - Parte 2

L’ultima volta abbiamo commentato la notizia che il governo inglese in carica ha chiuso un accordo con una cordata industriale guidata dalla francese Areva per costruire e operare in Gran Bretagna almeno due reattori nucleari per produzione elettrica. Reattori attesi tra dieci anni e a cui per i successivi 35 il governo inglese garantirà un prezzo dell’energia di circa 108 Euro al MWh, indicizzato all’inflazione, che è più o meno il doppio del prezzo dell’elettricità all’ingrosso in Gran Bretagna e circa il 60% di più di quello italiano.

Il Governo inglese è convinto che saranno soldi ben spesi, sia per superare le prospettive di carenza di capacità di generazione elettrica locale (e su questo è facile controbattere che si tratta di una soluzione che – se il problema c’è davvero – arriverà tardi) sia per combattere il riscaldamento globale – cosa a cui gli ambientalisti oppongono che le fonti rinnovabili, se continuano anche solo in piccola parte il loro trend di sviluppo, costeranno meno di questo nucleare.

Carlo Stagnaro mi ha segnalato un articolo dell’economista inglese David Henderson, uscito già nello scorso aprile, in cui le passate stagioni di investimento pubblico inglese in nucleare sono annoverate, insieme alla partecipazione al progetto Concorde, tra i peggiori bagni di sangue alimentati dal denaro pubblico in Gran Bretagna. E alla luce della novità, scrive Henderson, non sembra che la storia stia insegnando granché agli amministratori.

Ma la cosa che mi ha colpito di più in questo testo è un passaggio che parafraserei così:

“Si tende a presumere che gli approvvigionamenti energetici richiedano forme nazionali di strategie che si sostituiscano ai mercati [anche quando questi ci sono e funzionano, aggiungo io]. E che i governi debbano sostituirsi ai consumatori predefinendo i bisogni energetici da soddisfare. Eppure, quando parliamo di beni e servizi, non c’è bisogno che abbia senso soddisfare a qualunque prezzo.”

Ora, anche volendo essere meno tranchant di Henderson, si deve ammettere che decidere oggi per la prossima generazione il prezzo giusto di un bene che il mercato è spontaneamente in grado di produrre e remunerare è un bell’azzardo. Un azzardo probabilmente molto più alto rispetto al rischio che – per motivi oscuri – gli imprenditori decidano di non fare centrali elettriche nemmeno se il prezzo dell’energia tende a salire.