lunedì 27 aprile 2020

Dopo il covid (Puntata 435 in onda il 28/4/2020)


Dopo la pandemia non torneremo come prima, quante volte lo abbiamo sentito dire? Solo retorica? Un articolo sull’Economist online del 23 aprile 2020 mostra com’è cambiata con la chiusura forzata la spesa di un campione di famiglie spagnole all’inizio di marzo: via vestiti, spese legate all’automobile, hotel, cinema, ristoranti, mentre è triplicata la spesa per il cibo.
Nessuno può dire, sostiene l’articolo, se torneremo alle abitudini di prima. La costrizione ci fa provare uno stile di vita e di consumo inatteso, una forzata sperimentazione di cose nuove o di uso diverso di quelle vecchie. Il cibo del supermercato, per esempio, diventa anche un po’ bene d’evasione svolgendo la funzione che prima era assolta dai ristoranti o da altre attività. Cambierà in modo permanente il nostro rapporto col cibo? Quanti single hanno imparato a cucinare in queste settimane?

Le auto parcheggiate in strada mostrano ancora di più la loro incongrua invadenza ora che sono temporaneamente inutili. Possibile che tanto spazio debba essere occupato così in città? Torneremo a usarle come prima? Le limitazioni ai mezzi pubblici probabilmente renderanno obbligatorio l’uso di forme di mobilità individuale alternative all’auto, a meno di non voler finire in un incubo di inquinamento e congestioni peggiori di quelli di partenza. L’inquinamento, appunto: aver sperimentato un crollo di quello acustico e atmosferico ci lascerà indifferenti al momento della ripartenza? Quando scrivo questa puntata i morti di Covid-19 in Italia sono oltre 25000. 80000 sono ogni anno quelli da inquinamento dell’aria secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente. Uno studio dell’Arpa Lombardia (link sotto) mostra come gli inquinanti generalmente attribuiti anche al traffico (PM 2.5, ossidi di azoto e benzene) siano crollati nella regione a marzo rispetto alle medie dello stesso periodo in altri anni (e con gli impianti di riscaldamento ancora accesi). Prevedibile? Sì, ma constatarlo fa impressione lo stesso.

Nel marketing, una tecnica per lanciare un prodotto è promuoverlo all’inizio, sperando che il consumatore lo apprezzi e diventi poi disposto a pagarlo a prezzo pieno. Quanti dei lavoratori del terziario saranno disposti a proseguire il lavoro da casa, magari con un part-time verticale? Quanti dei cittadini che hanno potuto per la prima volta tenere aperta la finestra in un viale metropolitano normalmente trafficato si sono affezionati a questo lusso? Quanti dei viaggi Roma-Milano di middle manager affannati si sono evitati senza troppi danni di produttività, anzi magari aumentandola? Proprio tutto il nostro vecchio tran tran aveva senso, ora che lo guardiamo da questa strana condizione?

Io no, non credo che resterà tutto come prima. Credo che questo shock stia cambiando, estendendolo, il set di stili di vita che prenderemo volontariamente in considerazione. Quando ieri sono uscito a buttare la spazzatura e passeggiare con la mia stupida autocertificazione in tasca, quelle macchine impolverate mi sono sembrate per un attimo vestigia di un mondo già lontanissimo.


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martedì 14 aprile 2020

Scelta del fornitore di energia (Puntata 434 in onda il 14/4/20)

Torniamo a occuparci di scelta del fornitore d'energia domestico.

Lo scorso 25 febbraio [2020] il mio condominio a Roma è stato visitato da una coppia di venditori che mostrando un tesserino Eni raccontavano ai malcapitati false informazioni sulla fornitura di gas. In particolare a me il venditore si è presentato prima come Italgas (la società che gestisce la rete cittadina del gas a Roma) poi come Eni, aggiungendo che le due aziende sono collegate (falso) e che avrei dovuto dare accesso al contatore.
Si tratta di una tecnica di truffa classica, già vista qui a Derrick, che sfrutta la confusione che la gente comune comprensibilmente fa tra ruolo del gestore delle reti e quello di venditore.

Un primo consiglio che posso dare è di allontanare qualunque promotore che al telefono o di persona leghi questioni di "contatore" ad altre di "bollette" o di contratto di fornitura.

Dopo il fatto ho provato invano ad avere assistenza tramite la chat nel sito di Eni Gas e Luce, e successivamente con un contatto diretto sono riuscito a parlare con l'azienda, che mi ha ringraziato per la segnalazione e, tramite una mail dall'ufficio stampa, ha affermato di non tollerare simili comportamenti e che:
“Le linee guida dell’azienda sulla trasparenza e sulla correttezza commerciale ed etica verso il cliente parlano chiaro, sono ampiamente illustrate nei corsi di formazione organizzati dalla Società, e non seguirle, come in questo caso, rappresenta una scelta arbitraria e scorretta da parte degli agenti. Eni Gas e Luce censura e dunque sanziona in maniera ferma e decisa tali comportamenti sui quali non si può e non si deve in alcun modo soprassedere.”


Altri consigli su come trovare il contratto giusto

A parte il consiglio specifico che davo sopra, come si può cercare di evitare venditori scorretti?

Ho sentito in collegamento Antoine Arel, amministratore delegato di Selectra, l'azienda che gestisce il sito luce-gas.it:

Altra cosa su cui occorre sempre stare molto attenti è cosa succede alla fine del primo periodo di contratto con un nuovo fornitore. Nella mia esperienza e in quella di tanti che mi hanno scritto, dopo 1 o 2 anni di condizioni concordate arriva di solito una proposta unilaterale poco trasparente e molto esosa di modifica del contratto. Sentiamo ancora Arel:



Quindi attenzione anche con i gruppi d'acquisto a cosa succede alla fine della validità dell'offerta iniziale.

Grazie per questa puntata a Eni Gas e Luce e Antoine Arel di Selectra.


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domenica 5 aprile 2020

Il lunedì nero del petrolio (Puntate 430 e 433 in onda il 17/3 e 7/4 2020)


Puntata 430

Il 9 marzo 2020, il prezzo del petrolio Brent (che è uno di quelli standard di riferimento) è crollato da circa 50 a circa 30 $ al barile. Un movimento tanto repentino non si vedeva dalla crisi del 2008. Una differenza rispetto ad allora salta all’occhio: in questo caso il petrolio fa solo le spese, se così si può dire, della crisi da covid19, mentre allora l’aumento enorme dei prezzi del greggio prima del crollo aveva esso stesso contribuito alla contrazione dell’economia.
Il prezzo del petrolio è piuttosto volatile perché l’offerta fa fatica ad adattarsi alle fluttuazioni della domanda, che dipende dall’andamento dell’economia e dalle attese di breve periodo di questo andamento. L’offerta infatti nel breve periodo è rigida in aumento (pur con differenze tra tecnologie) perché è costoso o impossibile incrementare in poco tempo la capacità produttiva fisica (come avviene del resto perfino con beni semplici come le mascherine chirurgiche, lo stiamo vedendo), mentre per chiudere i rubinetti occorrono azioni dei produttori che avvengono solo in presenza di un incentivo individuale in tal senso o di un coordinamento efficace tra produttori (cioè un cartello che funzioni).
E quest’ultimo aspetto, come qui a Derrick ci siamo detti varie volte, è molto mutato nell’ultimo decennio. In particolare da quando, con incrementi soprattutto tra il 2012 e il 2014 e poi di nuovo dopo il 2017, la capacità produttiva dei campi di shale oil americani ha prima raggiunto e poi superato la produzione sia dell’Arabia Saudita sia della Russia viste singolarmente.

Oggi l’Opec, che include i produttori del Golfo, molti di quelli africani e il Venezuela, da sola non è in grado di sostenere il prezzo mondiale del greggio riducendo la propria produzione. Può certamente contribuire a farlo, purché ci sia la collaborazione di altri big come la Russia. La quale, invece, non si è prestata per ora a un accordo, innescando quella che molti giornali hanno definito una guerra commerciale. Dal canto loro i produttori nordamericani, come ha scritto Massimo Nicolazzi (docente a Torino su questi temi e più volte ospitato su queste frequenze) sul Foglio del 12 marzo 2020 (link sotto) sono una moltitudine con scarso coordinamento tra loro.
La vita più breve dei pozzi shale, inoltre, fa sì che da un lato questi produttori debbano remunerare nel breve periodo anche i costi fissi di perforazione, e dall’altro che essi siano relativamente reattivi nel ridurre la capacità se il prezzo non permette questa remunerazione.
Per questo credo si possa dire che il limite a quanto il greggio può scendere è probabilmente proprio il livello dei costi dello shale oil nordamericano. Sotto tale limite questa fonte realizzerebbe una stretta dell’offerta relativamente rapida in grado di fermare la discesa dei prezzi.
Qui però entra in gioco la politica, visto che Trump il 13 marzo ha dichiarato che considererà di approfittare dei prezzi bassi per chiedere al suo “secretary of Energy” di comprare petrolio per riempire le riserve strategiche del Paese. Questo renderebbe addirittura istituzionale il ruolo degli USA come freno a ribassi ulteriori. Una sorta di calmiere da banca centrale rispetto alla grandissima incertezza sul lato della domanda. Come scrive Nicolazzi, che ringrazio anche per la consulenza a questa puntata - che non toglie che ogni eventuale errore sia mio -, il ciclo epidemico è più difficile da prevedere di quello economico.


Puntata 430

Al crollo-shock del prezzo del petrolio del 9 marzo 2020 di cui abbiamo parlato sopra è seguito un ulteriore ribasso fino a toccare per il brent i 20 $/barile, e solo a quel punto un rimbalzo con risalita oltre 30.
Cosa sta succedendo? Che l'improvviso e globale shock di domanda ha reso ridondante la capacità produttiva e sta rapidamente riempiendo gli stoccaggi, con casi di pozzi non vicini al mare o a oleodotti che in attesa di ridurre la produzione cedono petrolio anche a prezzi quasi nulli, mentre la scarsità crescente di stoccaggi rende l'accantonamento via via più costoso e si ripercuote anche sui costi di trasporto via mare del greggio, perché - come riporta Bloomberg - alcune grandi petroliere vengono usate come stoccaggi.
Una crisi di questo tipo avrà effetti permanenti? Secondo alcuni osservatori sì. Negli USA, dove come sappiamo i costi di breve periodo dei pozzi shale sono più alti che in giacimenti tradizionali, stanno arrivando i primi fallimenti. E la chiusura di pozzi, in generale, può comportare il loro danneggiamento.
È possibile, in altri termini, che prezzi così bassi a lungo causino una riduzione della capacità produttiva con l'allocazione in altri settori delle risorse finanziarie tecniche e umane oggi allocate in quello petrolifero, che Michael Liebreich, citato da Forbes lo scorso 1 aprile [2020], prevede destinato a ridimensionarsi in modo permanente.

L'inizio della fine dell'era del petrolio per il club di Roma e suoi seguaci fino a una decina di anni fa era destinato ad arrivare in forma di una crescente scarsità dei volumi di idrocarburi disponibili, che avrebbe dovuto causare un picco di capacità produttiva. Più recentemente, come sappiamo qui a Derrick, ci si è interrogati sul picco - se mai - della domanda, che però fino alla crisi di questi giorni non si è mai strutturalmente realizzato, pur potendosi prevedere come conseguenza di medio periodo dei grandi investimenti attesi nelle energie rinnovabili. Ora uno shock globale della domanda di petrolio, se abbastanza persistente, potrebbe causare una contrazione improvvisa della capacità di estrazione, riestendere successivamente la quale richiederebbe una nuova stagione di investimenti i cui capitali il petrolio dovrebbe contendersi con i settori dell'energia decarbonizzata. E se è vero che la politica di buona parte dell'Occidente, ma anche di grandi fondi di investimento, ha scelto la strada delle fonti rinnovabili, l'inizio della nuova stagione potrebbe essere proprio lo shock che stiamo vivendo. O perlomeno potrebbe trattarsi di una fortissima avvisaglia.

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