sabato 28 agosto 2021

"Oddio: nuove tasse!" - Riforme fiscali e idiosincrasie (Puntate 488 e 494 in onda l'8/6/21 e 31/8/21)

Dallas Dhu Distillery, Scozia
Puntata 488 (in onda 8/6/2021)

Nelle ultime settimane, in vista di una riforma da parte del Governo, si è discusso anche su stampa e social di possibili novità fiscali, e si è riverificato un grande classico di questi casi, cioè quanto segue:

qualcuno, in questo caso per esempio Enrico Letta con una proposta sulle imposte di successione, lancia un’idea di intervento sul sistema fiscale e ottiene perlopiù reazioni del tipo: “basta nuove tasse”, “giù le mani dalle tasche degli italiani” eccetera. Perfino il presidente del Consiglio, che mi sembra piuttosto pragmatico nel contemperare competenza e ragionevole dirigismo con uscite pubbliche tranquillizzanti per evitare problemi, ha dato una risposta liquidatoria, parlando suppongo da politico, suo ruolo attuale, e non da economista.

Ora, salvo ipotesi estremamente semplici e ottimistiche, è difficile immaginare una riforma fiscale che non includa le tanto odiate “nuove tasse”, cioè ambiti in cui il gettito aumenta, a fronte di altri in cui si riduce, il tutto magari a gettito complessivo invariato o addirittura ridotto (ammesso che questo sia possibile con tutti i debiti che abbiamo).

Questo significa che finché l’idea di “nuove tasse” – indipendentemente da ciò di cui si tratti - causa forme di idiosincrasia capaci di bloccare sul nascere qualunque discussione nell’opinione pubblica e nei politici che cercano di assecondarla, nessuna riforma fiscale potrà mai essere fatta se non in qualche modo eludendo il dibattito.

Per non eluderlo, invece, probabilmente occorrerebbe diffondere un documentario di formazione pubblica che spieghi che cambiare le tasse, e quindi creare “nuove tasse”, non significa né aumentare necessariamente la pressione fiscale, né, soprattutto, peggiorare le situazioni di potenziale iniquità dell’attuale sistema. Anzi, qualunque riforma del fisco aspira a obiettivi uno dei quali è tipicamente l’equità.

Per l’ennesima volta pochi giorni fa la Corte dei Conti ha lanciato l’allarme sul livello elevato e anomalo della spesa fiscale in Italia: cioè il costo dei regimi di esenzione o sconti fiscali. Altro settore da cui tipicamente i Governi stanno lontani come si starebbe da un filo dell’alta tensione, per evitare le rivolte delle innumerevoli categorie che fruiscono nei modi più disparati di regimi di favore senza che spesso si riesca nemmeno più a ricordare la ragione dello specifico privilegio. (Una motivazione generica evergreen è: “proteggere i posti di lavoro”).

Eliminare i privilegi assurdi, compresi quelli dannosi all’ambiante, certamente nel dibattito civile equivarrà a “nuove tasse”, anche se l’obiettivo per esempio è ridurre quelle sul lavoro. E quindi torniamo al punto di partenza: se ragionare a parità di gettito fa parte di un’astrazione impossibile per l’opinione pubblica, oppure non credibile per la stessa opinione, allora non abbiamo speranze per una riforma fiscale in regime di democrazia, se non in presenza di rischi imminenti come quello di un fallimento, oppure di imposizioni ineludibili dall’Europa.

Puntata 494 (in onda il 31/8/2021 e in replica il 12/10/2021)

Torno sul punto grazie a un interessantissimo studio dell’inglese Green Alliance uscito di recente che porta i risultati di un’indagine sull’accettabilità delle tasse “verdi”, inclusa carbon tax, nel Regno Unito. Vediamo alcune delle evidenze di questo sondaggio.

Il campione intervistato non si dice contrario alle tasse pro-ambiente, anzi è favorevole al principio “chi inquina paga”, ma ha alcune idiosincrasie (in buona parte dovute a incompetenza in materia economica) che possono diventare bloccanti, tra cui queste:

  1. Se parli di “disincentivi” economici preoccupi di più che se parli di incentivi. (Eppure le due soluzioni arrivano sempre insieme, almeno se ipotizziamo interventi a deficit pubblico costante e in un contesto di evasione zero – perché gli incentivi li paga chi paga le tasse, quindi comunque implicano anche un disincentivo per chi non li riceve, e viceversa)
  2. Se dici che fai una green tax per avere maggior gettito, la gente si arrabbia (ma normalmente non si arrabbia se dici che fai più spesa che richiede maggiori tasse. Misteri della percezione). Quindi le proposte per apparire accettabili devono essere tassativamente a gettito costante, oppure devono indicare come viene usato il maggiore gettito. Peccato che questa etichettatura, quando è fatta solo su una parte delle entrate fiscali, abbia scarso valore, perché l’amministrazione può sempre dire che usa i proventi di una tassa per qualcosa di specifico e dirottare altrove altre tasse senza etichettatura.
  3. Le tasse sulla produzione piacciono di più di quelle al consumo. Questo solo perché gli intervistati non considerano che chi sostiene il costo di un’imposta su una transazione non lo stabilisce la definizione, ma la forza sul mercato di produttori e consumatori. Una tassa sulla produzione di un bene verrà comunque pagata in buona parte dai consumatori, se non possono rinunciare a quel bene, oppure se il settore che lo produce è già molto competitivo e non può che traslare a valle i maggiori costi di produzione dovuti alla tassa. E viceversa: una tassa al consumo obbliga i produttori ad abbassare il prezzo del bene tassato se i clienti possono facilmente rinunciarvi, e quindi viene in questo caso di fatto sostenuta dai produttori anche se si dichiara una tassa sul consumo.

 

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domenica 22 agosto 2021

Trasporto pubblico a Guadalajara (Messico) (Puntata 493 in onda il 24/8/21)

Stazione metro Zapopan centro (linea 3)
Derrick torna con nuove puntate dopo una pausa in cui chi vi parla ha viaggiato, e in particolare ha soggiornato a Guadalajara, la seconda città del Messico, più grande di Roma, dove come al solito si è interessato del sistema locale di trasporto pubblico, di cui questa puntata è un reportage simile ad altri del passato, tutti facili da recuperare in questo blog (link sotto).

Guadalajara, nello stato del Jalisco, Messico centrale, è uno degli esempi di uso di Bus Rapid Transit (BRT), cioè linee di bus ad alta frequenza e portata, segregate dal resto del traffico e con stazioni simili a quelle di una metropolitana, una soluzione di cui qui abbiamo parlato più volte, che ha molti vantaggi di costi rispetto a una metropolitana e che vede applicazioni soprattutto in America Latina e estremo oriente, ma di cui ci sono piccoli esempi anche in Italia (come tra Mestre e Venezia e a Firenze).

Guadalajara però mi ha colpito non tanto per il suo BRT, molto meno vasto per esempio di quelli di Jakarta o Bogotà di cui ho già riportato, quanto per la convivenza di vari esperimenti di trasporto pubblico moderno. Nella città c’è un vastissimo sistema di bike sharing station based, per intenderci quello in cui le bici vanno prese e rimesse in appositi stalli, simile al bike sharing di Milano, con la disponibilità di abbonamenti annuali ma anche di pochi giorni per i turisti. Alcune dorsali di piste ciclabili permettono di spostarsi tra quartieri in bici restando relativamente segregati dal traffico e ho notato – anche da automobilista – un livello generale di rispetto delle regole della strada molto elevato, sicuramente più di quanto i miei pregiudizi potessero farmi attendere.

Ci sono tre linee di metropolitana a Guadalajara, di cui una molto moderna in parte sopraelevata come spesso avviene in America (per esempio a Chicago o a Seattle e, per restare in Messico, a Città del Messico), ci sono aree del centro con limiti di velocità a 30 chilometri/ora e una pianificazione urbanistica che scoraggia il parcheggio in strada. Tutte le domeniche una vasta zona del centro viene pedonalizzata e alcune associazioni distribuiscono bici gratis. Stessa zona che beneficia di un paio di linee di filobus a ridurre inquinamento e rumore.

Brutti invece i bus urbani ordinari: si tratta di rumorosissimi veicoli diesel, perlopiù di produzione Mercedes, con cambio manuale, motore anteriore, privi di sospensioni idrauliche o pneumatiche e in generale con standard decisamente basso rispetto ai bus costruiti per le città europee. (C’è da dire che i bus in Messico, quando non sono previsti per percorsi predefiniti come le vetture BRT citate prima, devono essere in grado di resistere ai terribili dossi artificiali utilizzati in tutto il paese e anche nelle periferie urbane per imporre velocità limitate, e alle buche non sempre frequenti ma certe volte terribili).

In ogni caso, per quanto brutti, questi bus hanno una capillarità e frequenza notevoli. Armato della app Moovit (se non la conoscete installatela, funziona in tutte le grandi città del mondo e guida a una destinazione indicando fermate, linee e direzioni) ho potuto sempre trovare linee di bus per arrivare anche in quartieri molto lontani e senza mai attese superiori ai 10 minuti. A Roma, per esempio, non sarebbe stato possibile.

Una cosa di cui ho notato l’assenza a Guadalajara sono sistemi di mobilità leggera condivisa “free floating”, come auto, bici, monopattini o scooter condivisi parcheggiabili in qualunque luogo compatibile con il codice della strada. Sarebbe interessante capire se si tratti di una scelta dell’amministrazione o delle aziende del settore, o semplicemente un’onda che non ha ancora raggiunto questa affascinante città capoluogo del Jalisco. Saranno graditissimi contatti da parte di esperti in ascolto per provare a rispondere a questo quesito.


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