martedì 24 aprile 2018

Come non trattare i clienti energia (Puntata 354, in onda il 24/4/18)

Derrick riceve spesso mail da ascoltatori circa i contratti e le offerte commerciali di fornitura di elettricità e gas, in particolare per i consumi domestici. Questa volta mi è stata mostrata la lettera di un fornitore di gas. Si tratta di una “proposta di modifica unilaterale del contratto” che arriva in prossimità della fine della durata di un prezzo fisso per la materia prima precedentemente sottoscritto.
Tutte le offerte di energia prevedono una remunerazione per l’energia vera e propria (materia prima), che dipende dai suoi prezzi all’ingrosso e che in alcune offerte viene tenuta fissa per un periodo di uno o due anni, e componenti per oneri diversi che sono aggiornate trimestralmente dall’Autorità per l’Energia.
Casa a Cohasset (Massachusetts, USA) fotografata da Derrick
Quindi un modo per confrontare la convenienza tra varie offerte - a parità di servizi ricevuti e di frequenza di aggiornamento - è confrontare la componente materia prima.

Bene, la nostra lettera prosegue annunciando la nuova componente materia prima unilateralmente proposta dal fornitore e che sarà valida per i successivi due anni.

Qual è la prima cosa che chi legge vorrebbe sapere a questo punto? Beh: vorrebbe sapere se il nuovo prezzo è più alto o meno del precedente. Invece nulla, la lettera non lo dice.

In compenso dice quanto vale la componente materia prima rispetto alla bolletta complessiva, sì, ma non del nostro ascoltatore, bensì di un consumatore medio di una famiglia media.
Ora: perché mai non personalizzare questo dato tenendo conto degli effettivi consumi del cliente?
Va beh, ma quest’ultimo è un problema veniale in fondo.
Il guaio è che la lettera non aiuta in nessun modo il nostro ascoltatore a capire se pagherà più o meno di prima.

In compenso lo avvisa che può recedere dal contratto. E ci mancherebbe altro, in concomitanza di una modifica unilaterale. E come può recedere, secondo la lettera? Non - come invece è nella realtà - sottoscrivendo una fornitura con qualunque altro fornitore, il quale avrebbe poi l’onere di comunicare al sistema la variazione, senza alcun’altra incombenza per il cliente, bensì “mediante raccomandata con avviso di ricevimento”.
Questo è particolarmente grave: la verità è che non serve alcuna raccomandata per recedere da un contratto di fornitura domestica d'energia: basta scegliere una nuova offerta di qualunque fornitore anche con pochi clic sul web.

Naturalmente la lettera di cui stiamo parlando, che dice tutto tranne ciò che serve al cliente per capire se pagherà più o meno, è infarcita di riferimenti a delibere dell’Autorità che le conferiscono un adeguato stile da azzeccagarbugli.

Mio commento: se ricevete una lettera così cambiate fornitore, perché un fornitore che non dice quel che conta di più, che non dà gli elementi più utili alla scelta consapevole, e nello stesso tempo si mette (o tenta di mettersi) giuridicamente al sicuro citando articoli di delibere senza spiegarli, non ha rispetto per il suo cliente. Quand’anche “l’occasione” gli sia “gradita per porgere cordiali saluti”.

martedì 10 aprile 2018

Ingresso di Cassa Depositi e Prestiti in TIM: mossa sbagliata (Puntata 352 in radio il 10/4/18)


Questo articolo, in una versione leggermente diversa, è apparso anche su Stradeonline, che ringrazio.

Scalinata dell'Hotel Bristol di Genova
fotografata da Derrick nel dicembre 2017
Non conviene moltiplicare reti nazionali come quelle di telecomunicazioni e energia perché costerebbe troppo, e anche per questo occorre garantirne un accesso pluralistico a vantaggio anzitutto dei consumatori.
Queste garanzie di accesso, con le loro modalità e tariffe, già oggi sono stabilite dall’ordinamento sia nelle telecomunicazioni che nell’energia, anche tramite il potere regolatorio e di vigilanza delle Autorità indipendenti.

C’è una differenza rilevante però tra telecomunicazioni ed energia: nel primo settore in Italia la rete non è stata scorporata, mentre nel secondo – almeno per le dorsali nazionali – sono state create società ad hoc a cui le reti, in precedenza di proprietà degli ex monopolisti nazionali, sono state conferite. Queste società hanno acquisito la struttura di public company, cioè aziende ad azionariato diffuso, con però una quota di maggioranza relativa di Cassa Depositi e Prestiti (CDP).
Carlo Calenda in un suo tweet nell’ambito della polemica sul possibile ingresso di CDP nel capitale di TIM ha auspicato, mi pare, proprio un simile assetto anche per le reti delle telecomunicazioni.

Questo auspicio a mio avviso però non implica affatto che abbia senso un ingresso di CDP nell’attuale TIM, per i motivi seguenti:
  1. Il mancato scorporo della rete di TIM implica che se CDP compra TIM compra anche attività che in nessun modo possono essere definite “strategiche”, e quindi introduce un nuovo (ennesimo) conflitto di interessi tra Governo e un mercato in cui lo Stato dovrebbe garantire le regole di una concorrenza corretta, anziché prendere le parti di uno dei competitori. La partecipazione di CDP, se mai, potrebbe essere considerata riguardo a una società di sola gestione della rete, a patto di riuscire a motivare perché sia necessaria (a mio avviso non lo è: si veda il prossimo punto).
  2. Esistono strumenti alternativi per il Governo per proteggersi dal rischio che l’azionista di TIM faccia scelte contrarie alla sicurezza nazionale per quanto riguarda l’infrastruttura di rete. Oltre alla regolamentazione e all’Autorità di settore, il Governo può in casi estremi decidere di usare il cosiddetto “golden power”, recente evoluzione della “golden share” adatta anche alle società non partecipate, e che esplicitamente si applica anche alle reti di telecomunicazioni.
  3. Come ha notato tra gli altri Luigi Zingales, l’operazione di rastrellamento di rilevanti quote di azioni TIM ha effetti sugli interessi dei suoi azionisti in termini di aumento del prezzo. (Per gli azionisti più grandi diventano molto rilevanti anche gli effetti in termini di governance). E il susseguirsi di dichiarazioni sull’eventuale scalata apre evidentemente il rischio di insider trading sul titolo TIM da parte di soggetti contigui al Palazzo. E se gli azionisti TIM più dinamici possono guadagnare da impennate di prezzo, è verosimile che i conferitori del capitale di CDP, principalmente risparmiatori postali, abbiano da perdere dall’uso dei loro soldi per sostenere una speculazione al rialzo del titolo telefonico.


Vecchio detto statalista: mai far sapere al risparmiatore postale come vengono usati i suoi soldi.