martedì 26 gennaio 2021

Voltura e cambio di fornitore energia (Puntata 470 in onda il 26/1/21)

Interruttori nella centrale idroelettrica
di Riva Del Garda (Dolomiti Energia)
Voltura e cambio di fornitore d’energia, che differenza c’è?

La prima è la procedura per attribuire a un nuovo cliente un contratto attivo senza terminarlo, il secondo invece è lo spostamento di un’utenza da un fornitore all’altro. Cosa che, lo sappiamo, grazie alle regole del mercato liberalizzato è piuttosto semplice e non richiede più nemmeno di recedere esplicitamente dal fornitore precedente perché fa tutto quello nuovo. (In realtà alcuni anni fa mi è ancora capitato che un ex fornitore mi scrivesse per chiedermi una penale di mancato recesso, ma si è messo il cuore in pace con sospetta prontezza appena gli ho risposto che era illegittimo).

Il cambio di fornitore interfacciandosi solo a quello entrante è indubbiamente comodo, e salvo casi patologici non ha alcun effetto collaterale. I casi patologici sono i venditori truffatori che cercano di carpirci abbastanza informazioni per potersi sostituire a noi nella conclusione di un nuovo contratto. Per questo, lo dico nel caso ci siano nuovi ascoltatori ancora poco smaliziati, occorre non far vedere mai una bolletta con il numero dell’utenza o del contatore a qualcuno salvo che non lo si voglia come fornitore. Ricordo anche, a rischio di essere noioso, che per lo stesso motivo non è il caso di far accedere al proprio contatore nessuno che non abbia il tesserino della società di gestione della rete locale, che non può più condividere il nome con nessun fornitore di energia.

Bene, ma, caveat a parte, c’è un’operazione commerciale piuttosto banale e utile alla concorrenza che non è ancora possibile: la voltura con cambio di fornitore contestuale.

Per esempio: compro o affitto un appartamento e voglio sia subentrare come cliente di quell’utenza sia scegliere un fornitore diverso da quello che aveva il precedente proprietario o inquilino. Oggi non si può fare: occorre prima entrare con il fornitore attuale chiedendogli la voltura, e poi cambiare fornitore. Con il rischio che quello uscente, come ultimo gesto temendo di averci già virtualmente persi come clienti, ci faccia pagare il servizio di voltura, talvolta anche piuttosto caro. Una classica clausola vessatoria del contratto a cui normalmente non si fa caso quando si sceglie un fornitore.

Ebbene, l’ARERA, Autorità per l’energia, ha messo in consultazione una proposta per eliminare questo ostacolo alla facilità di concorrenza. Si potrà fare voltura contestuale a cambio di fornitore.

I fornitori che hanno ancora relativamente pochi clienti saluteranno certamente con soddisfazione l’iniziativa, anche se probabilmente qualche piccolo rischio riguarderà la maggiore difficoltà per i fornitori stessi di proteggersi dal cosiddetto “turismo energetico” degli insolventi, che tentano di passare da un fornitore all’altro senza pagare il precedente e che, usando magari un prestanome, potrebbero dileguarsi dai debiti con più facilità cambiando fornitore e nominativo nello stesso tempo.

Inutile dire che gli insolventi finiscono in un modo o nell’altro per pesare sulle bollette di chi le onora, e che quindi c’è da augurarsi che tutti i meccanismi ragionevoli per poterli isolare vadano a buon fine.


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martedì 12 gennaio 2021

Scuola all'ultimo posto (Puntata 468 in onda il 12/1/21)

Nell’ottobre 2020 l’organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato che le scuole dovrebbero
chiudere solo se non ci sono alternative. Nello stesso mese il Comitato Tecnico Scientifico, istituito in seno alla protezione civile per la gestione dell’emergenza Covid, comunicava che in base ai dati in quel momento disponibili le scuole andavano salvaguardate perché non sono un luogo di elevato contagio.

Ignorandolo, il Governo ha subito dopo di nuovo chiuso le scuole secondarie che da marzo 2020 non hanno fatto che pochissime settimane di lezione effettiva.

Nessun altro grande Paese europeo ha fino a oggi chiuso le scuole se non per periodi limitati. Del resto, nessun altro grande Paese d’Europa ha avuto produttività stagnante e reddito in calo come il nostro nell’ultimo ventennio circa. Ci sarà un legame tra la debolezza della scuola e il declino anche economico? In Italia da decenni, non da oggi, gli anni scolastici iniziano con classi scoperte, i genitori (quelli che si prestano) pagano con collette gran parte delle spese correnti degli istituti diverse dagli stipendi, i dirigenti scolastici non hanno quasi nessun potere rispetto all’organizzazione delle risorse e alla selezione e remunerazione degli insegnanti che sono tutti pagati poco e responsabilizzati altrettanto.

Le risorse arrivano, come abbiamo già visto qui a Derrick anche con interviste a una rappresentante dell’associazione dei consigli di istituto, Daniela Buongiorno, e del presidente dell’Associazione Nazionale Presidi Antonello Giannelli, in esito alla potestà concorrente di Regioni e Stato centrale. Le stesse Regioni che hanno quasi interamente decretato in questi giorni la fine probabile dell’anno scolastico 2020-2021, sostanzialmente mai iniziato, per le scuole secondarie.

Nella retorica del lockdown, una “comprovata esigenza di lavoro” scritta in un’autocertificazione cartacea è abbastanza per spostarsi in barba a qualunque limitazione. Ma la scuola non è evidentemente lavoro, e non è un’esigenza prioritaria percepita dalla classe di governo nel suo complesso. Non è un ristorante, un parrucchiere, un centro commerciale, una istituzione di culto. La scuola e i suoi studenti adolescenti, forse quelli per cui questa istituzione è più critica, non hanno priorità di alcun tipo, né diritto ad alcun ristoro.


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domenica 3 gennaio 2021

La demeritocrazia (anche finanziaria) (Puntata 467 in onda il 5/1/21)

Distributore automatico di oro
fotografato a Linate nel 2011
Buon anno da Derrick!

Ricorderete le polemiche anni fa quando alcuni fallimenti di banche comportarono perdite anche di risparmiatori che avevano acquistato obbligazioni di rischio. I commentatori si divisero sull’accettabilità di usare soldi pubblici per ristorare tali perdite, visto che erano legate a un investimento intrinsecamente rischioso. Anche Derrick commentò la cosa, facendo notare che se si protegge l’investitore dall’eventualità che perda soldi in un investimento in cui il rischio è parte integrante del contratto (e che per questo in media e nel lungo periodo ha rendimenti più alti) si finiscono per scardinare i legami virtuosi tra rendimento e rischio, avvantaggiando i prodotti finanziari peggiori e quindi i debitori peggiori.

I tempi da allora sono cambiati: ora sono molto peggio. Quei dubbi oggi non sembrano nemmeno porsi mentre la legge di Stabilità 2021 al comma 219 dell’articolo 1 stabilisce che sull’investimento in capitale di rischio di aziende tramite i fondi PIR, quelli già avvantaggiati da varie forme di esenzione fiscale, si sarà protetti dallo Stato rispetto a perdite fino al 20% del capitale investito. In altri termini: la legge stabilisce che chi paga le tasse debba ristorare le perdite di chi investe in aziende scarse a piacere, purché le azioni di queste aziende siano impacchettate nei PIR. Un invito di fatto a mettere il peggio dell’imprenditorialità e delle capacità degli intermediari dentro ai PIR per fare perdite poi ripagate con le tasse.

A pensarci bene, la porcata è doppia, perché il legislatore introduce questa salvaguardia con tempi di realizzazione che trascendono quelli del documento di economia e finanza, visto che i PIR prima di poter realizzare le perdite devono essere tenuti in portafoglio 5 anni. Quindi, se i danni alla decenza dei mercati finanziari son fatti subito, quelli al fisco sono buttati sotto al tappeto dei tempi futuri.

Ne ha scritto in modo illuminante Mario Seminerio nel suo blog Phastidio in un articolo (link sotto) in cui si nota la contraddizione di mettere norme come questa, di scudo fiscale al peggio della finanza e all’irresponsabilità, mentre ogni due per tre la stessa classe politica invoca imposte patrimoniali. Come dire che i patrimoni vanno bene solo se malgestiti o comunque se incanalati nelle modalità di investimento previste dallo stesso legislatore, in nome di volta in volta dell’italianità o delle piccole imprese, mentre servirebbero imprese e investitori semplicemente capaci.

Uno dei fari nel mondo di Sussidistan, come lo chiama Seminerio, sembra essere la demeritocrazia, come la chiamo io.


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