martedì 23 aprile 2019

Com'è nato Derrick (Puntata 394 in onda il 23/4/19)

Roma, Colonna Traiana
Scrivo questa puntata, come spesso, la domenica. In questo caso il giorno di Pasqua del 2019, di ritorno dalla manifestazione alla colonna Traiana a Roma per la sopravvivenza di Radio Radicale. E questa puntata sarà eccezionalmente autoriferita, perché vorrei raccontare com’è nata questa rubrica.

Nel 2009 io (Michele Governatori) lavoravo già da una decina d’anni nel settore dell’energia, e da alcuni mi ero trasferito a Roma. Non avevo alcun contatto attivo con il mondo radicale ma ero un ascoltatore quasi ininterrotto di Radio Radicale (in casa poi non avevo e non ho la tivù).

Quando Paolo Vigevano, che di Radio Radicale è stato uno dei creatori e di cui è stato editore, divenne amministratore delegato di Acquirente Unico, un’azienda pubblica dell’energia in cui io stesso avevo lavorato in precedenza, gli chiesi un incontro, senza conoscere i suoi legami col mondo radicale.
Così un giorno vado a trovarlo insieme all’amministratore delegato di allora dell'azienda per cui lavoro (Domenico de Luca), un incontro di conoscenza tipico del mio ruolo nelle relazioni istituzionali.
In questo incontro la curiosità di Vigevano e un inaspettato e inconsueto clima di familiarità ci portano a una chiacchierata più vasta e libera del previsto, tanto che lui racconta del suo ruolo in Radio Radicale, e io rispondo, per rifarmi un po’ della mia ignoranza, snocciolandogliene il palinsesto.

Non l’avessi mai fatto. Lui s’illumina, brandisce il telefono e dice “Adesso ti faccio parlare con Bordin!”.


Ora, io temo sempre queste fughe in avanti di chi pur animato dalle più amichevoli intenzioni ti mette in situazioni imbarazzanti. Il mio capo tra l’altro iniziava a guardarmi con sospetto. Figuriamoci poi quanto potesse importare a Bordin di parlare al telefono con l’ennesimo fan sconosciuto.
Magari non risponde, penso. Invece vedo Vigevano che dice “Massimo ti passo una persona che devi conoscere”. Roba da matti: era lui davvero. Alla cornetta aveva un’aria scocciata e gentile nello stesso tempo. Non ricordo cosa ho balbettato, ma a un certo punto Bordin dice una frase tipo “Dunque, cosa posso fare per lei?”. Oddio cosa poteva fare? Guardo Vigevano che fa cenni tipo “Vai, vai, buttati, forza” e in qualche modo dico: “È un peccato che Radio Radicale non abbia una rubrica dedicata all’energia”. Segue un breve lunghissimo silenzio. Dopodiché Bordin dice in tono più tollerante che entusiasta: “Allora perché non viene a trovarmi”.

Andai. Occhieggiai le sale di registrazione e Bordin mi ricevette nel suo ufficio mentre andava proprio la replica della sua rassegna. Mi propose di preparare un numero zero per una rubrica sull’energia, che feci la notte stessa registrando in cucina dopo aver disattivato il frigo (altrove avrei disturbato moglie o figlia).
Malgrado il microfono fosse di fortuna, la prova andò bene, e con Bordin ci accordammo per una pillola settimanale di taglio divulgativo.

Una pillola dura poco ma, ho scoperto lungo le 393 puntate successive nel corso di 10 anni, richiede parecchio lavoro. Sarebbe diventata la spina dei miei weekend, ma l’apprezzamento di persone che stimo mi avrebbe convinto a continuare nel progetto. Lì per lì rifiutai però l’offerta di un compenso, pentendomene poco dopo, mentre oggi che la Radio è a rischio di sopravvivenza sono felice di contribuire così a un’istituzione tanto importante per me e, credo, per tutti. E comunque ormai purtroppo è tardi per rifare quella telefonata a Bordin, così rocambolesca ma decisiva per me, e che senza l’iniziativa estemporanea di Vigevano non sarebbe avvenuta.

La mia posizione probabilmente è minoritaria, ma ancor più che una proroga della convenzione di Radio Radicale io auspico l’arrivo di capitali da una cordata di fondazioni o altri azionisti, nazionali o internazionali, o magari benefattori diffusi, che credano che un servizio di informazione accurato, libero e poco mediato, di conoscenza delle istituzioni, sia indispensabile a uscire dalla notte del populismo. Populismo che si basa proprio sull’incapacità di tanti elettori di smascherare la vuotezza dei suoi slogan, e talvolta la loro pericolosità rispetto ai principi delle democrazie liberali.

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