Ulivi tra Amfissa e Delfi |
Prima di entrare nel
merito della divaricazione percettiva di cui parla l’articolo voglio però
notare che un’analogia nella reazione ai due temi a mio avviso c’è: la tendenza
a dicotomizzare le posizioni: quelli che vorrebbero fermare tutte le attività e
ti guardano male se cammini per strada, e quelli per cui “è poco più di
un’influenza” e se ti preoccupi sei un pivello. Può darsi che le visioni
estreme facciano semplicemente più rumore, ma è curioso che non ci sia una
convergenza vasta su un approccio più razionale, secondo cui l’altissima
contagiosità di un virus senza vaccino, e che per una rilevante parte dei casi
richiede cure ospedaliere, rischia di portare al collasso il sistema sanitario
con esiti disastrosi per chiunque ne abbia bisogno anche per altre patologie.
Torniamo a La Stampa e al
suo quesito: L’Oms stima che tra il 2030 e il 2050 la crisi climatica del
pianeta provocherà 250 mila morti all’anno. Solo in Italia l’inquinamento
dell’aria è la causa di circa 80 mila decessi l’anno secondo l’Agenzia europea
per l’Ambiente (quante volte abbiamo citato qui questo numero).
I ricercatori
dell’IPCC (il panel ONU sui cambiamenti climatici) calcolano che entro il 2100
le perdite economiche dovute all’emergenza climatica oscilleranno tra gli 8,1 e
i 15 trilioni (cioè migliaia di miliardi) di dollari. Eppure non sembra che per
le strade ci sia il panico. Come mai?
Riporta La Stampa tra gli altri l’opinione
di Giovanni Carrosio, sociologo dell’Ambiente presso l’università di Trieste: “Per
comunicare efficacemente non basta utilizzare dati oggettivi o un approccio
razionale, perché la percezione dei rischi è un fenomeno molto complesso che
prende forma in base al vissuto […] delle persone”. Fenomeno che si accentua,
aggiunge Carrosio, dove scarseggia la cultura scientifica.
Interessante anche Marco
Bagliani, docente di Cambiamento climatico all’università di Torino, secondo
cui nella psicologia dei disastri hanno importanza tempi, spazi e ricadute
sociali: “L’epidemia del coronavirus si sviluppa su una scala temporale breve e
rispetta i tempi tipici dell’attenzione, mentre il cambiamento climatico varia
su una scala temporale più lunga. Parlando di spazi, l’epidemia ha una sua
collocazione: le città, gli ospedali, una nave in quarantena, mentre la crisi
del nostro pianeta non si sviluppa per forza sotto i nostri occhi”.
Siamo insomma
un po’ tutti come i bimbi piccolissimi, per i quali il mondo è solo ciò
di cui hanno un’immagine attuale davanti a sé.
Link:
- Un video semiserio (per cui ringrazio l'interprete Luca Iacoboni) sulle nostre reazioni alle informazioni sullo stato del clima: https://youtube.com/shorts/WjTRQT7eI_Y
- Articolo da La Stampa del 23/2/2020 https://www.lastampa.it/tuttogreen/2020/02/23/news/il-coronavirus-terrorizza-il-clima-no-come-nasce-la-percezione-del-rischio-1.38506243
- Sullo stesso tema: Owen Jones sul Guardian:
https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/mar/05/governments-coronavirus-urgent-climate-crisis?CMP=share_btn_tw
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