sabato 7 maggio 2022

Chiacchiere su capitalismo e libertà (Puntate 486-7 e 527-8 in onda il 25/5/21, 1/6/21 e 10-17/5/22)

Il mondo classificato per libertà d'informazione
secondo Reporter Senza Frontiere
In questo miniciclo appaiono puntate di Derrick su capitalismo e libertà, in particolare d'espressione.
Le più recenti (che appaiono qui sotto per prime) e la 486 sulla figura di Elon Musk e dei suoi progetti a dir poco ambiziosi, un'altra (più sotto) sul legame tra capitalismo e libertà d'espressione.

Tutte le puntate di Derrick che toccano direttamente il capitalismo sono raggruppate in ordine anticronologico qui.

Puntata 527

Credo che l’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk sia una buona occasione per riprendere il discorso sull’imprenditore di origine sudafricana. Un articolo dell’Economist di fine aprile 2022 riassume la vicenda in modo piuttosto utile.

Questa non è la prima volta che Musk compie un’operazione, almeno secondo le sue dichiarazioni, a prescindere dalle mere prospettive di ritorno economico almeno di breve termine. Il mondo ha bisogno di una piattaforma nello stesso tempo autorevole e in grado di garantire il diritto di espressione, ha detto Musk, aggiungendo che il suo auspicio è che in futuro Twitter ospiti quanto e più di prima anche i suoi (cioè di Musk) critici più aspri.

Io sono certamente d’accordo che in linea di massima la censura sia più pericolosa rispetto a un diritto di espressione senza troppe limitazioni. Per almeno due ordini di motivi: perché in generale i proibizionismi funzionano male, e perché se una notizia falsa o di propaganda può essere in qualche modo affrontata con informazioni diverse, la censura in mano a un regime, magari sopravvenuto rispetto all’istituzione della censura stessa, diventa esiziale rispetto all’informazione tout court e quindi rispetto alla libertà.

Tradurre però ragionevole libertà d’espressione in regole pratiche è molto complicato, come fa notare l’Economist.

Musk ha proposto di obbligare gli utilizzatori di Twitter a identificarsi. E questo potrebbe aiutare. E anche di voler attuare eventuali sanzioni per il non rispetto delle regole in forma di sospensione dell’attività e non di chiusura dell’account. Ha anche detto, in modo un po’ più generico, che per lui la libertà d’espressione è non limitare nessuna esternazione compatibile con la legge. Da cui deriva l’enorme problema che le leggi in materia sono diverse perfino tra stati degli USA, figuriamoci tra paesi diversi.

E tra l’altro: dovrebbe poi adeguarsi o no un social network alle norme dei paesi in cui opera? Diciamo che nel caso di regimi senza libertà d’espressione la soluzione è direttamente fornita dalla messa al bando tout court di Twitter (nel caso della Russia la motivazione, indovinate un po’?, è proprio difendere la popolazione dalle fake news).

Far rispettare qualsivoglia limitazione è anche un problema tecnologico. Secondo l’Economist, e la cosa non mi sorprende affatto e più volte Derrick ne ha parlato anche parecchio tempo fa, l’intelligenza artificiale sta clamorosamente rivelandosi inadeguata alle analisi semantiche. Perché non è in grado di fare analogie, capire i contesti e quindi capire l’ironia, le citazioni, i paradossi. In poche parole, per ora l’intelligenza artificiale semantica non esiste. Tant’è che migliaia di persone nei social come Twitter lavorano per verificare a mano (se mi passate la metonimia) gli allerta dei sistemi automatici di censura, che sono bravini nel riconoscere un paio di tette, ma pessimi nel contestualizzare qualunque concetto.

C’è infine un problema commerciale riguardo alla libertà nei social, che deriva dal fatto che la pazienza degli utenti, in particolare di quelli più seri, ha un limite. A quanti ascoltatori di Derrick sarà successo di sentirsi frustrati di fronte a critiche o insulti da parte di profili palesemente disinteressati a comprendere l’oggetto del contendere o anche solo a non travisarne il contenuto? Più questi fenomeni avvengono, più gli utenti più desiderabili perdono motivazione a restare nel social. Con il rischio che dove c’è più libertà restino solo quelli che ne fanno cattivo uso.

Non ho le competenze per valutare soluzioni a questi problemi. Ma sono d’accordo senza dubbio con Musk riguardo al fatto che Twitter, per il tipo di utenti che lo usano e per le sue caratteristiche, è uno strumento potente ed efficiente per la partecipazione civica.

Puntata 528

Proprio su Twitter ci sono state molte reazioni alla puntata 527. Ringrazio per questo e ne riprendo alcuni spunti in questa nuova.

Intanto una precisazione importante. Mi fanno notare esperti di cibersecurity che quel che Musk ha chiesto, l’identificabilità dei profili, non significa necessariamente che essi vengano resi palesi al pubblico. In un suo tweet di quache tempo fa Federico Fuga, un esperto di sicurezza online, scrive:

“Quello dei social non è anonimato, ma pseudoanonimato, [che] esisteva anche prima del digitale” (per esempio con l’uso di pseudonimi in libri o giornali).

Poi aggiunge una cosa che in realtà a me sembra poco significativa, e cioè che se si riesce a bloccare un account vuol dire che si riesce ad attribuire le responsabilità a un soggetto preciso. 

Osservo io che nel momento in cui è possibile creare molti account anche automaticamente usandoli a cascata da parte di uno stesso soggetto, l’identificabilità di cui parla Fuga è di scarso aiuto pratico. Infatti lui stesso scrive che quella contro i cosiddetti “BOT” (cioè robot software che usano anche account multipli per diffondere massivamente informazioni) è una causa persa.

E proprio la limitazione dei BOT è un obiettivo che Musk dice di porsi a proposito di Twitter.

Twitter, credo in risposta a questo punto, ha dichiarato a inizio maggio [2022] che gli account “falsi o spam” (così scrive Reuters riportando l’informazione) pesano solo un 5% del totale. In un tweet su questo, il 13 maggio, Musk scrive che il suo acquisto dell’azienda – cui si dichiara sempre interessato – è sospeso proprio per la verifica di tale dato.

Se una piattaforma come Twitter è utile a mio avviso in generale, lo è ancora di più in luoghi dove gli organi dell’informazione sono meno liberi e indipendenti, e quindi meno utili alla società se non addirittura mera grancassa del potere costituito o dei soli interessi consolidati.

Secondo un rapporto di reporter senza frontiere, l’Italia è l’unico Paese dell'Europa occidentale con una libertà di informazione “problematica” (si veda il grafico dell’Economist sopra su questo). Significativo, per esempio, che nemmeno il servizio radiotelevisivo di Stato stia informando su un referendum, quello sulla giustizia del 12 giugno, inviso a gran parte delle forze politiche e della magistratura, che pure è uno strumento costituzionale di democrazia.

Che piattaforme come Twitter riescano a trovare un bilanciamento tra la loro libertà e la loro frequentabilità è decisamente auspicabile.


Puntata 486

Questa è Derrick e questo è il 200esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che ha chiuso le scuole per la seconda volta senza che quelle superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime.

Alcuni critici del capitalismo avevano e forse hanno ancora l’abitudine di parlare di schiavitù dei consumi, di legge del profitto antitetica addirittura alla libertà, cose del genere.

Una linea critica forse un po’ più analitica consiste nel mettere in evidenza come questa (tra virgolette) logica del profitto tenda a essere poco lungimirante e incapace di mirare a vantaggi che siano abbastanza diffusi e tengano in conto varie forme di sostenibilità.

Un imprenditore che mette un po’ in crisi questi luoghi comuni, giusti o sbagliati che siano, e che forse proprio per questo è spesso particolarmente detestato dagli anticapitalisti è Elon Musk, il miliardario americano (ma sudafricano di nascita) nemmeno cinquantenne che con i soldi fatti anni fa con PayPal e altre aziende ne ha create varie altre nei settori più disparati e apparentemente con una caratteristica comune: concentrarsi su sfide a lungo termine, proprio del tipo che un capitalista dallo sguardo corto, interessato a profitti probabili e vicini, non dovrebbe prendere in considerazione.

Con SpaceX Musk, che ha lauree in economia e fisica, ha l’obiettivo di introdurre razzi e navette riutilizzabili per ridurre il costo dei viaggi spaziali e permettere così di realizzare l’obiettivo finale: rendere l’uomo una specie multiplanetaria colonizzando Marte, ma anche posizionare e gestire batterie di satelliti per le comunicazioni internet. Un’infrastruttura quest’ultima che ha visto diversi fallimenti dai tempi della rete di telefoni satellitari Iridium. Starlink, così si chiama una delle varie altre aziende fondate da Musk, dovrebbe appunto occuparsi di questi satelliti, in grado per esempio di connettere luoghi remotissimi o che comunque non abbiano una rete preesistente, qualcosa di simile a quello che nell’energia è la prospettiva di elettrificazione lontano dalle grandi reti, sfruttando le nuove tecnologie di generazione e stoccaggio diffusi. Con Starlink, però, la connessione verrebbe dal cielo.

Con la celebre Tesla, Musk non solo ha in qualche modo indotto l’inizio degli investimenti globali sull’auto elettrica, ma lo ha fatto con una strategia a dir poco radicale e apparentemente velleitaria: sviluppare dal nulla un’azienda molto integrata, che fa dalle batterie – anche di dimensioni industriali e utili alle reti elettriche per immagazzinare grandi quantità di elettricità rinnovabile - alle auto vere e proprie fino alla loro rete di ricarica. Il tutto senza che inizialmente nessuno di questi segmenti fosse in grado di fornire margini operativi, cioè di almeno iniziare a ripagare i costi fissi. Per Musk, se un pezzo di filiera che serve a un suo progetto non è maturo, la risposta naturale sembra essere di realizzarlo lui stesso. E attenzione: non può definirsi megalomane chi è capace di trovare le risorse finanziarie per i suoi progetti.

Ora gli utili per Tesla stanno arrivando, quasi vent’anni dopo la fondazione. Nel frattempo sono confluiti fiumi di denaro dagli investitori, rendendola un’azienda con capitalizzazione di varie volte superiore a qualunque altra casa automobilistica.

Non sappiamo ancora se l’investimento nelle aziende di Musk pagherà alla fine per chi ci lascerà i soldi a tempo indeterminato (per ora ha pagato eccome). Ma di certo si può dire che a questo capitalismo, fatto di imprenditori coraggiosi e visionari e di investitori pronti a fidarsi, non manca la capacità di immaginare mondi meravigliosi desiderabili da tanti e di provare a realizzarli.

Puntata 487

Questa è Derrick e questo è il 207esimo giorno dal decreto del 6/11/2020 che ha chiuso le scuole per la seconda volta senza che quelle superiori, anche nelle regioni più fortunate d’Italia, abbiano da allora mai più riaperto a pieno regime. L’anno scolastico è quasi finito e non mi pare di aver nemmeno sentito l’assicurazione che ci sarà una riapertura completa a settembre.

La scorsa settimana (qui sopra per chi legge il blog) abbiamo parlato del capitalismo sognante di Elon Musk, una puntata su cui temevo critiche magari il velleitarismo e inevitabile superficialità del parlare di capitalismo in pochi minuti, invece ho ricevuto diversi incoraggiamenti. Allora riprendiamo il discorso: nel suo “Capitalismo e libertà” Milton Friedman forniva argomenti sull’indissolubilità tra l’uno e l’altra. Lo faceva osservando il mondo degli anni ’60 e la dicotomia tra economie socialiste e capitaliste, e mostrava come l’assenza di libertà economiche comprometta la libertà individuale tout court, visto che tanta dell’autodeterminazione passa da azioni economiche: di investimento, imprenditoriali, di consumo.

Oggi il libro di Friedman sarebbe forse ancora più utile perché l’incompatibilità è meno ovvia, mi pare, rispetto alle economie capitalistiche in regimi autoritari (Friedman cita sì le esperienze fascista, nazista e franchista ma da un lato lo fa solo en passant, dall’altro vorrei augurarmi che quegli esempi si applichino poco al futuro). Un quesito riformulato dunque potrebbe essere: è sostenibile il capitalismo dove i regimi non difendono, bensì reprimono, la libertà di pensiero e di espressione, pur incoraggiando quella imprenditoriale?

La repressione della libertà di espressione nella superpotenza asiatica dei giorni nostri ha recentemente portato all’espulsione di giornalisti, ritorsioni commerciali, messa all’indice improvvisa di imprenditori con crollo del valore di mercato delle loro aziende. Non credo che nel breve periodo sia immaginabile che nemmeno i capitali stranieri se ne ritirino, vista la vastità di quel mercato, anzi aziende multinazionali hanno mostrato in vari episodi la disponibilità a imbavagliarsi pur di operare presso il Dragone (per esempio a Hong Kong). Eppure sarei molto cauto, per almeno un paio di ragioni, a ritenere che il capitalismo possa a lungo funzionare senza la libertà anche solo di espressione.

La prima ragione: in generale gl'investitori preferiscono fare previsioni di un flusso di profitti basati sul potenziale di un’azienda e analisi di mercato, o semmai segnali politici di lungo periodo, che dipendere dalle ritorsioni improvvise di un regime in grado di influenzare le transazioni economiche, soprattutto se in ansia da mantenimento del potere. Si veda, per esempio, l’effetto dell’erratica politica monetaria determinata dal governo turco in barba all’autonomia della banca centrale.

La seconda è in continuità con la scorsa puntata: le avventure imprenditoriali più creative, innovative, dirompenti sono forse scindibili dal desiderio – magari velleitario quanto volete - di cambiare il mondo? Di trovare nuove strade alle nostre aspirazioni? Non credo. E se è così, nessun regime autoritario, obbligato a preservare se stesso e quindi per forza conservatore e repressivo rispetto alle nuove idee dirompenti, può permettersi nel lungo periodo un’economia capitalistica abbastanza libera da alimentare sostenibilmente il proprio successo.


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