lunedì 6 gennaio 2025

Aumento del prezzo del gas a inizio 2025 (Puntata 653 in onda il 7/1/25)

Veduta di Xishuangbanna, Yunan, Cina
Un aumento dei prezzi del gas successivo alla chiusura del transito di gas russo in Ucraina ha riacceso le discussioni in materia.

Come al solito, le soluzioni invocate tendono a guardare inutilmente lontano (un nucleare che in italia non vedremmo prima di 15 anni e a costi proibitivi) oppure alla sindrome di Stoccolma (legarci ancora di più al gas ed esporci così ai danni anche delle prossime crisi) anziché guardare alle tendenze positive già in atto e da incoraggiare (boom delle rinnovabili anche senza incentivi e delle batterie per la sicurezza di fornitura elettrica). Ringrazio Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, per aver ospitato il contributo che segue. Sul sito di Altreconomia e di Derrick Energia link al testo.

Ho sempre trovato inquietante che i due paesi in guerra commerciassero in servizi di transito del gas come niente fosse, e credo che la chiusura del transito del gas russo in Ucraina sia opportuna, come lo sarebbe estendere al gas le sanzioni europee applicate al petrolio russo.

L’effettiva fine del transito è stata confermata relativamente all’ultimo, e quindi non mi stupisce che stia avendo effetto sui prezzi (ma i 50 € al MWh attuali sono ben lontani dai picchi di oltre 300 del 2022). Già in tempi non sospetti con il Think Tank ECCO abbiamo evidenziato il rischio che questo inverno portasse di nuovo a bollette elevate (così come avevamo previsto la repentina discesa dopo i momenti più aspri della crisi, trainata dal calo dei consumi di gas). È comunque vero quel che ha detto il ministro Fratin: con gli stoccaggi quasi pieni, è verosimile che in assenza di altri eventi avversi il prezzo attuale sia già il picco più alto dell’inverno in corso.

Riguardo alle soluzioni per abbassare la bolletta, non credo sia utile stigmatizzare la speculazione dei mercati futures (che sono naturalmente volatili e servono proprio ad anticipare potenziali scarsità o eccedenze future del prodotto contrattualizzato) anche se, certo, è importante vigilare contro abusi. Nemmeno credo che un price cap sarebbe una soluzione efficiente, perché a seconda di come lo si realizza può semplicemente spostare il costo su qualcun altro rispetto al consumatore, o produrre rendite indesiderate, o ancora portare a forme di razionamento più indesiderabili rispetto a un prezzo temporaneamente alto. È quest’ultimo l’effetto descritto da Manzoni nei Promessi Sposi sulla farina: se si impone un prezzo politico del pane che ignora una scarsità oggettiva della materia prima, i forni restano vuoti. Ma anche senza scomodare Manzoni, abbiamo visto come il price cap spagnolo, per esempio, abbia portato i contribuenti iberici a pagare per esportare in Francia elettricità da gas a prezzo politico durante periodi di scarsa disponibilità del nucleare francese. Un effetto non desiderabile per gli spagnoli.

Quel che credo invece serva è mettere urgentemente i consumatori di elettricità nelle condizioni di non pagare il costo del gas se accedono a offerte 100% rinnovabili, cosa che purtroppo non è ancora possibile. Come ECCO ha proposto durante l’ultima audizione ARERA, è urgente che i consumatori elettrici possano approvvigionarsi con contratti che escludano l’uso del gas anche per bilanciare i propri consumi, per esempio con accumuli dedicati alla propria fornitura. In altri termini: se a un cliente va bene continuare a esporsi alle crisi del gas – per esempio perché installa di nuovo una caldaia a gas in fase di ristrutturazione o perché compra elettricità generica – se ne assume le conseguenze. Ma chi vuole proteggersi dalla prossima crisi del gas e ha elettrificato ed efficientato i propri consumi e desidera accedere a contratti di fornitura elettrica da sole rinnovabili è incomprensibile che non sia messo nelle condizioni di emanciparsi completamente dal prezzo del gas a meno di staccarsi dalla rete (che è una soluzione irrazionale perché troppo costosa).

Riguardo al prezzo futuro: tornerà a scendere rispetto all’attuale, ma non ai livelli precedenti la crisi, perché il gas liquefatto che arriva da nave costa di più del gas da tubo. Inoltre, il prezzo continuerà a essere volatile e quindi pericoloso e avrà una componente di costi fissi sempre più alta per ripagare l’inutile infrastruttura che abbiamo costruito malgrado la riduzione strutturale dei consumi.

In termini di fonti, dalla dipendenza dalla Russia siamo passati almeno in parte a quella dagli Stati Uniti, ormai principale esportatore mondiale, che di fatto hanno un ruolo crescente di price maker grazie alle decisioni unilaterali riguardo alla capacità di liquefazione che renderanno (o non renderanno) disponibile nel mar dei Caraibi. Abbiamo visto questo effetto già con la presidenza Biden, e non c’è da aspettarsi miglioramenti con le politiche protezionistiche annunciate da Trump.

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