Si è svolta lo scorso 22
marzo la giornata mondiale dell’acqua, e grazie all’apporto di Fondazione
Barilla, per la precisione del Barilla Center for Food and Nutrition, che ringrazio, posso dedicare questa puntata ad
alcuni dati sul consumo idrico nel mondo e in Italia. Per esempio: qual è il
settore economico che consuma più acqua dolce? L’agricoltura, di gran lunga. L’industria,
in confronto, ne usa meno di un terzo. E solo l’8% dei consumi in media
riguarda l’uso domestico. Ma è evidente che i nostri comportamenti d’uso di
altri beni, per esempio il cibo, si portano dietro i consumi di acqua necessari
a renderli disponibili. Se sommiamo quindi il nostro uso diretto e indiretto
d’acqua, la media mondiale procapite è di 3400 litri al giorno. Ma così
nell’acqua come in altri beni primari non c’è equilibrio, e alcuni Paesi usano
molta più risorsa degli altri. Noi siamo tra questi, visto che il dato
procapite italiano è di ben 6100 litri, altissimo rispetto al mondo ma molto
alto, del 25% circa, anche rispetto alla media europea.
Siamo un Paese dunque
idricamente fortunato in termini di disponibilità, grazie alla nostra
conformazione geografica, ma estremamente inefficiente nell’uso di questa
risorsa, i cui costi sono sempre più legati al trattamento delle acque reflue.
Per quanto possa disporsi
di acqua potabile in abbondanza, infatti, buttarla nello sciacquone o comunque
sprecarla è molto costoso in termini di energia e infrastrutture, visto che
quel volume sprecato ha bisogno di essere depurato e reinserito nel ciclo.
I nostalgici di vecchie
polemiche ricorderanno le mie opinioni al tempo del
referendum sull’acqua pubblica, fuorviante già nel titolo, referendum di cui uno
dei quesiti imponeva di non far pagare nelle tariffe idriche i costi di
investimento per rendere disponibile l’acqua. Come dire: siccome è un bene
primario importantissimo, chi lo rende disponibile dovrebbe perderci soldi,
cioè non essere in grado, salvo indebitarsi, di fare investimenti. E
trattandosi a questo punto di aziende pubbliche il debito finisce comunque per tramutarsi
in nuove tasse, sebbene differite, tasse però non pagate sulla base del consumo
(o spreco) di acqua. Alla faccia dell’ovvio principio che chiunque dovrebbe
essere disincentivato dallo spreco di una risorsa preziosa.
Sentiamo direttamente la
voce di Marta Antonelli, ricercatrice e coordinatrice dell’area di ricerca
della Fondazione Barilla:
Altre informazioni dal sito della Fondazione: qui.
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