martedì 4 aprile 2017

Giornata mondiale dell'acqua (Puntata 308)

Si è svolta lo scorso 22 marzo la giornata mondiale dell’acqua, e grazie all’apporto di Fondazione Barilla, per la precisione del Barilla Center for Food and Nutrition, che ringrazio, posso dedicare questa puntata ad alcuni dati sul consumo idrico nel mondo e in Italia. Per esempio: qual è il settore economico che consuma più acqua dolce? L’agricoltura, di gran lunga. L’industria, in confronto, ne usa meno di un terzo. E solo l’8% dei consumi in media riguarda l’uso domestico. Ma è evidente che i nostri comportamenti d’uso di altri beni, per esempio il cibo, si portano dietro i consumi di acqua necessari a renderli disponibili. Se sommiamo quindi il nostro uso diretto e indiretto d’acqua, la media mondiale procapite è di 3400 litri al giorno. Ma così nell’acqua come in altri beni primari non c’è equilibrio, e alcuni Paesi usano molta più risorsa degli altri. Noi siamo tra questi, visto che il dato procapite italiano è di ben 6100 litri, altissimo rispetto al mondo ma molto alto, del 25% circa, anche rispetto alla media europea.

Siamo un Paese dunque idricamente fortunato in termini di disponibilità, grazie alla nostra conformazione geografica, ma estremamente inefficiente nell’uso di questa risorsa, i cui costi sono sempre più legati al trattamento delle acque reflue.
Per quanto possa disporsi di acqua potabile in abbondanza, infatti, buttarla nello sciacquone o comunque sprecarla è molto costoso in termini di energia e infrastrutture, visto che quel volume sprecato ha bisogno di essere depurato e reinserito nel ciclo.

I nostalgici di vecchie polemiche ricorderanno le mie opinioni al tempo del referendum sull’acqua pubblica, fuorviante già nel titolo, referendum di cui uno dei quesiti imponeva di non far pagare nelle tariffe idriche i costi di investimento per rendere disponibile l’acqua. Come dire: siccome è un bene primario importantissimo, chi lo rende disponibile dovrebbe perderci soldi, cioè non essere in grado, salvo indebitarsi, di fare investimenti. E trattandosi a questo punto di aziende pubbliche il debito finisce comunque per tramutarsi in nuove tasse, sebbene differite, tasse però non pagate sulla base del consumo (o spreco) di acqua. Alla faccia dell’ovvio principio che chiunque dovrebbe essere disincentivato dallo spreco di una risorsa preziosa.

Sentiamo direttamente la voce di Marta Antonelli, ricercatrice e coordinatrice dell’area di ricerca della Fondazione Barilla:



Altre informazioni dal sito della Fondazione: qui.

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