Ho letto il libro di
Marco Cappato, Credere disobbedire combattere, uscito con Rizzoli a ottobre 2017.
Per qualche motivo mi aspettavo
di imbattermi in un’autobiografia, genere che mi piace. In realtà ho trovato
una cosa diversa: un libro su un metodo, la disobbedienza civile, che si
accompagna - non tanto paradossalmente - al rispetto del diritto, e su temi ai quali
questo metodo è stato applicato da Cappato e dai suoi compagni politici.
Temi
che hanno il filo conduttore direi della libertà, una libertà “concreta” come
la definisce lo stesso Cappato raccontando il suo impegno a favore dell’autodeterminazione
dei malati terminali sull’interruzione delle cure. Chi nega questa libertà,
scrive Cappato, lo fa in nome di una molto ideale libertà assoluta, quella di affrancarsi
da scelte dovute a una contingenza dolorosa, e “in nome della libertà assoluta
nega il diritto a esercitare una libertà concreta, inevitabilmente condizionata
dagli accidenti della vita. Ma la libertà non è mai assoluta”.
Cappato e i Radicali
hanno lottato e lottano contro ingerenze incomprensibili o eccessive da parte
dello Stato. È la cultura liberale, l’obiettivo di “smontare lo Stato dove non
serve (le leggi proibizioniste, con i loro apparati per applicarle) e
rimontarlo dove serve (conoscenza, democrazia)”.
Proprio il proibizionismo è un capitolo importante del libro. Il 43% dei detenuti in Italia è in cella per violazione delle leggi sulle droghe, scrive Cappato, comprese sostanze psicotrope non più pericolose di altre legali come alcool e sigarette. E racconta di quando nel 2012, in seguito a una restrizione della libertà degli stranieri di frequentare i coffee shop olandesi, lui con altri si fece bloccare all’ingresso di uno di questi per poi denunciare la natura discriminatoria della norma, fino a farla annullare un anno dopo da una sentenza della corte di giustizia europea.
Un capitolo particolarmente impressionante è quello sulle tecniche di riproduzione assistita e di interventi anche solo diagnostici sugli embrioni, perché è impressionante il livello di arbitrio e insensatezza delle limitazioni della norma che lo riguarda: la legge 40 del 2004. Che tra le altre cose obbligava (prima di una serie di interventi delle corti) alla crioconservazione a tempo indeterminato di embrioni inutilizzati vietandone l’uso a scopi di ricerca.
Quasi tutti i grandi
salti in avanti della scienza comportano problemi di regolamentazione anche
profondi e inediti, ma il proibizionismo probabilmente è il modo più
autolesionista di affrontarli.
Sul finire il libro tocca
uno dei più recenti tra questi problemi, legato alla possibilità dei principali
social network, soprattutto Facebook, di gestire grandi masse di informazioni
sui loro utenti, e di poterle elaborare tanto da prevedere anche le decisioni
di voto. Uno strumento potente per campagne elettorali.
Cappato cita Simon Kuper che dice che nell’era degli algoritmi di elaborazione dati il voto non è più segreto. Un’affermazione a mio parere inutile quanto quella di uno che si lamenti con un amico che lo conosce bene, e lo sa interpretare, che per lui i suoi pensieri non sono più un segreto. Un conto è diventare prevedibili, un conto perdere la possibilità di determinare la propria scelta in modo diverso dalle previsioni (certo: scelta condizionata, e qui torniamo al discorso sopra sulla libertà inevitabilmente, antropologicamente incompleta).
Cappato cita Simon Kuper che dice che nell’era degli algoritmi di elaborazione dati il voto non è più segreto. Un’affermazione a mio parere inutile quanto quella di uno che si lamenti con un amico che lo conosce bene, e lo sa interpretare, che per lui i suoi pensieri non sono più un segreto. Un conto è diventare prevedibili, un conto perdere la possibilità di determinare la propria scelta in modo diverso dalle previsioni (certo: scelta condizionata, e qui torniamo al discorso sopra sulla libertà inevitabilmente, antropologicamente incompleta).
Pensare di limitare
l’uso di tecnologie nell’elaborazione dei dati sarebbe simile al pensarlo riguardo
alla ricerca sugli embrioni. Qui il problema, se mai, è di nuovo una questione
di regole liberali: la necessità di impedire a qualcuno di sfruttare un
monopolio danneggiando la società.
Credere disobbedire
combattere, di Marco Cappato, Rizzoli, è un libro appassionante e limpido su
perché hanno senso le idee radicali e liberali del suo autore e dei suoi
compagni di politica. Un libro per me molto utile, che consiglio a tutti e
regalerò a molti.
Ho scritto un commento troppo lungo per essere postato qui, così le Ho inviato una email.
RispondiEliminaCordiali saluti.
Giacinto Avitabile
Le ho risposto. Cordialmente, MG
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