domenica 11 novembre 2018

Trump, accordo di Parigi e industria del carbone USA (Puntata 376 in onda il 13/11/18)


Con le ratifiche dell’accordo di Parigi, oltre 180 Governi si sono impegnati a contenere in non più di 2 gradi l’aumento di temperatura del globo rispetto al livello pre-industriale. Una decisione conseguente alle indicazioni della comunità scientifica assunte dall’UNFCCC, il panel ONU che coordina le politiche mondiali sul clima. Secondo gli scienziati e l’ONU, per fermare il riscaldamento e quindi i cambiamenti del clima occorre ridurre le emissioni di gas-serra in atmosfera causate dall’uomo, legate alla combustione di fonti energetiche fossili. Il più diffuso di questi gas è la CO2, la cui concentrazione in era preindustriale, pur con un andamento ciclico, non aveva mai superato le 300 parti per milione ed è invece schizzata a 400 in meno di un secolo.
Albero spezzato a Roma il 30/10/18
Per questo ha senso considerare le emissioni di CO2 come un indicatore di insostenibilità climatica.
Buona parte della comunità economica del mondo sta orientando i propri investimenti verso un futuro senza energie fossili. Perfino le grandi major del petrolio, riunite nell’Oil and Gas Climate Initiative, hanno annunciato il proprio cambio di rotta e chiesto in modo coordinato segnali coerenti dalla politica.

Dopo l’annuncio di Trump del ritiro dall’accordo di Parigi, aziende americane  come Apple, Google, Twitter, Amazon, Facebook, Tesla, Microsoft, IBM si sono dissociate dalla scelta del presidente.
La stessa filiera del carbone americano, che Trump intendeva proteggere con la propria decisione, non ha invertito se non temporaneamente il trend di riduzione di investimenti e capacità. Ne parla Ed Crooks sul Financial Times del 9/11/18 sulla base di recentissimi dati di Lazard, una banca d’investimento, che mostrano come negli USA oggi sia conveniente sostituire gli impianti di generazione elettrica a carbone a fine vita con altri da fonti rinnovabili, grazie al calo dei costi di questi ultimi (l’energia da un parco eolico nuovo costa negli USA secondo Lazard tra 29 e 56 $/MWh complessivi, mentre i soli costi di funzionamento di un impianto a carbone – per gran parte dovuti al combustibile – sono tra i 27 e i 45). Perfino alcune centrali di costruzione recente, come quelle di Vistra Energy, sono in fase di chiusura in Texas, anche per concorrenza del gas prodotto nei mega giacimenti coltivati con la tecnica del fracking.
Dopo una breve ripartenza con l’inizio dell’amministrazione Trump, nel 2019 la produzione di carbone statunitense è prevista tornare ai livelli del 2016, i più bassi della storia recente. Per invertire questo trend evidentemente non bastano gli annunci di uscita da ogni politica di contenimento delle emissioni dannose per il clima.
Per questo l’amministrazione ha anche parlato di sussidi diretti alla filiera del carbone, i quali però per ora non si sono concretizzati. Intanto gli investimenti vanno verso rinnovabili ed efficienza energetica, che assumeranno, secondo per esempio il capo dell’utility energetica del New Jersey, il ruolo che recentemente ha avuto il gas nell’abbassare le bollette elettriche degli americani.

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