Puntata 430
Il 9 marzo 2020, il prezzo del petrolio Brent (che è uno di quelli standard di riferimento) è crollato da circa 50 a circa 30 $ al barile. Un movimento tanto repentino non si vedeva dalla crisi del 2008. Una differenza rispetto ad allora salta all’occhio: in questo caso il petrolio fa solo le spese, se così si può dire, della crisi da covid19, mentre allora l’aumento enorme dei prezzi del greggio prima del crollo aveva esso stesso contribuito alla contrazione dell’economia.
Il prezzo del petrolio è
piuttosto volatile perché l’offerta fa fatica ad adattarsi alle fluttuazioni
della domanda, che dipende dall’andamento dell’economia e dalle attese di breve
periodo di questo andamento. L’offerta infatti nel breve periodo è rigida in
aumento (pur con differenze tra tecnologie) perché è costoso o impossibile
incrementare in poco tempo la capacità produttiva fisica (come avviene del
resto perfino con beni semplici come le mascherine chirurgiche, lo stiamo
vedendo), mentre per chiudere i rubinetti occorrono azioni dei produttori che avvengono
solo in presenza di un incentivo individuale in tal senso o di un coordinamento
efficace tra produttori (cioè un cartello che funzioni).
E quest’ultimo aspetto,
come qui a Derrick ci siamo detti varie volte, è molto mutato nell’ultimo
decennio. In particolare da quando, con incrementi soprattutto tra il 2012 e il
2014 e poi di nuovo dopo il 2017, la capacità produttiva dei campi di shale oil
americani ha prima raggiunto e poi superato la produzione sia dell’Arabia
Saudita sia della Russia viste singolarmente.
Oggi l’Opec, che include i produttori del Golfo, molti di quelli africani e il Venezuela, da sola non è in grado di sostenere il prezzo mondiale del greggio riducendo la propria produzione. Può certamente contribuire a farlo, purché ci sia la collaborazione di altri big come la Russia. La quale, invece, non si è prestata per ora a un accordo, innescando quella che molti giornali hanno definito una guerra commerciale. Dal canto loro i produttori nordamericani, come ha scritto Massimo Nicolazzi (docente a Torino su questi temi e più volte ospitato su queste frequenze) sul Foglio del 12 marzo 2020 (link sotto) sono una moltitudine con scarso coordinamento tra loro.
Oggi l’Opec, che include i produttori del Golfo, molti di quelli africani e il Venezuela, da sola non è in grado di sostenere il prezzo mondiale del greggio riducendo la propria produzione. Può certamente contribuire a farlo, purché ci sia la collaborazione di altri big come la Russia. La quale, invece, non si è prestata per ora a un accordo, innescando quella che molti giornali hanno definito una guerra commerciale. Dal canto loro i produttori nordamericani, come ha scritto Massimo Nicolazzi (docente a Torino su questi temi e più volte ospitato su queste frequenze) sul Foglio del 12 marzo 2020 (link sotto) sono una moltitudine con scarso coordinamento tra loro.
La vita più breve dei
pozzi shale, inoltre, fa sì che da un lato questi produttori debbano remunerare
nel breve periodo anche i costi fissi di perforazione, e dall’altro che essi siano
relativamente reattivi nel ridurre la capacità se il prezzo non permette questa
remunerazione.
Per questo credo si possa
dire che il limite a quanto il greggio può scendere è probabilmente proprio il
livello dei costi dello shale oil nordamericano. Sotto tale limite questa fonte
realizzerebbe una stretta dell’offerta relativamente rapida in grado di fermare
la discesa dei prezzi.
Qui però entra in gioco
la politica, visto che Trump il 13 marzo ha dichiarato che considererà di
approfittare dei prezzi bassi per chiedere al suo “secretary of Energy” di
comprare petrolio per riempire le riserve strategiche del Paese. Questo
renderebbe addirittura istituzionale il ruolo degli USA come freno a ribassi
ulteriori. Una sorta di calmiere da banca centrale rispetto alla grandissima
incertezza sul lato della domanda. Come scrive Nicolazzi, che ringrazio anche
per la consulenza a questa puntata - che non toglie che ogni eventuale errore
sia mio -, il ciclo epidemico è più difficile da prevedere di quello economico.
Puntata 430
Al crollo-shock del prezzo del petrolio del 9 marzo 2020 di cui abbiamo parlato sopra è seguito un ulteriore ribasso fino a toccare per il brent i 20 $/barile, e solo a quel punto un rimbalzo con risalita oltre 30.
Cosa sta succedendo? Che l'improvviso e globale shock di domanda ha reso ridondante la capacità produttiva e sta rapidamente riempiendo gli stoccaggi, con casi di pozzi non vicini al mare o a oleodotti che in attesa di ridurre la produzione cedono petrolio anche a prezzi quasi nulli, mentre la scarsità crescente di stoccaggi rende l'accantonamento via via più costoso e si ripercuote anche sui costi di trasporto via mare del greggio, perché - come riporta Bloomberg - alcune grandi petroliere vengono usate come stoccaggi.
Una crisi di questo tipo avrà effetti permanenti? Secondo alcuni osservatori sì. Negli USA, dove come sappiamo i costi di breve periodo dei pozzi shale sono più alti che in giacimenti tradizionali, stanno arrivando i primi fallimenti. E la chiusura di pozzi, in generale, può comportare il loro danneggiamento.
È possibile, in altri termini, che prezzi così bassi a lungo causino una riduzione della capacità produttiva con l'allocazione in altri settori delle risorse finanziarie tecniche e umane oggi allocate in quello petrolifero, che Michael Liebreich, citato da Forbes lo scorso 1 aprile [2020], prevede destinato a ridimensionarsi in modo permanente.
L'inizio della fine dell'era del petrolio per il club di Roma e suoi seguaci fino a una decina di anni fa era destinato ad arrivare in forma di una crescente scarsità dei volumi di idrocarburi disponibili, che avrebbe dovuto causare un picco di capacità produttiva. Più recentemente, come sappiamo qui a Derrick, ci si è interrogati sul picco - se mai - della domanda, che però fino alla crisi di questi giorni non si è mai strutturalmente realizzato, pur potendosi prevedere come conseguenza di medio periodo dei grandi investimenti attesi nelle energie rinnovabili. Ora uno shock globale della domanda di petrolio, se abbastanza persistente, potrebbe causare una contrazione improvvisa della capacità di estrazione, riestendere successivamente la quale richiederebbe una nuova stagione di investimenti i cui capitali il petrolio dovrebbe contendersi con i settori dell'energia decarbonizzata. E se è vero che la politica di buona parte dell'Occidente, ma anche di grandi fondi di investimento, ha scelto la strada delle fonti rinnovabili, l'inizio della nuova stagione potrebbe essere proprio lo shock che stiamo vivendo. O perlomeno potrebbe trattarsi di una fortissima avvisaglia.
Link:
- Articolo di Massimo Nicolazzi su Il Foglio del 12/3/2020:
https://www.ilfoglio.it/economia/2020/03/12/news/il-prezzo-e-la-guerra-commerciale-del-petrolio-al-tempo-del-coronavirus-306346/
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