martedì 6 febbraio 2024

Il dumping ambientale (Puntata 609 in onda il 6/2/24)

In kayak sul lago di Idro
Un luogo comune sbagliato è che la Cina sia un inquinatore indifferente alle politiche globali del clima, mentre è il Paese dei grandi numeri anche sulle nuove fonti rinnovabili e sul nucleare per generare elettricità senza danno al clima, ma anche sull’elettrificazione dei consumi energetici.

Di recente infatti il produttore cinese di veicoli elettrici BYD ha superato Tesla per numero di veicoli prodotti in un anno, e da tempo, mi dice chi frequenta la Cina, nelle grandi metropoli del dragone gli scooter sono elettrici mentre da noi sospetto che si possano ancora immatricolare i motorini a combustione a due tempi, quelli che bruciano olio insieme al carburante lasciando scie bluastre di idrocarburi incombusti.

La Cina è diventata economicamente più simile all’occidente anche da altri punti di vista: più ricca, con crescita ormai ridotta, pochi figli e debito in aumento, e con un costo del lavoro non più basso come un tempo. Nel frattempo, i problemi geopolitici con Taiwan e gli Stati Uniti rendono incerte le prospettive.

Ne sta beneficiando il vicino Vietnam, che secondo un articolo dell’Economist (link sotto) si avvantaggia proprio della sua equidistanza nei rapporti tra Cina e USA oltre che di costo del lavoro più basso e di un sistema di servizi e infrastrutture accettabile.

C’è un settore però in cui il Vietnam è arretrato: quello della produzione di elettricità, con centrali vecchie e una penetrazione minima di fonti rinnovabili dovuta anche – sempre secondo l’Economist – alla pressoché nulla possibilità di competere con l’operatore ex (o forse tuttora) monopolista di Stato. Questo implica che tra i vantaggi di costo nello spostare produzioni energivore in Vietnam c’è quello dei mancati costi di investimento in energie pulite, un classico caso di dumping ambientale.

Come se ne proteggono i mercati che invece hanno introdotto al loro interno meccanismi di disincentivo al danno climatico o all’inquinamento, come l’Europa con il suo meccanismo di permessi limitati e in molti casi onerosi alle emissioni-serra?

Nel caso dell’Europa un sistema ora in fase di pre-rodaggio è il cosiddetto “CBAM”, che sta in inglese per sistema di aggiustamento di frontiera in base al danno climatico. Questo prevederà a regime che i beni, almeno quelli più rilevanti in termini di danno, importati in Europa da paesi senza simili sistemi di disincentivo dovranno pagare alla frontiera la differenza rispetto alla carbon tax europea (uso questo termine impropriamente a vantaggio della comprensibilità).

Un meccanismo complicato, quello del CBAM, se non altro perché richiede collaborazione o intelligence proprio coi Paesi che lo subiscono, ma virtuoso e interessante, perché da un lato riduce gli spazi di dumping ambientale, dall’altro introduce l’interesse degli esportatori ad attivarsi localmente per una carbon tax o meccanismi simili anziché pagarla all’Europa. Dovrebbe così favorirsi un’emulazione e di fatto un’estensione del sistema di carbon tax europea, che in effetti ha già ispirato aree come la California e la stessa Cina.

È evidente che mercati globali correttamente competitivi devono prevedere anche omogeneità nelle regole ambientali. Serve quindi un processo politico che va nella direzione opposta a quella del disimpegno di reazione a un presunto autolesionismo europeo nelle politiche del clima.


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