Illustrazione di Copilot (che spiega la scritta "tatirri" come un errore) |
Questa puntata si può ascoltare qui.
Facciamo il punto sul mercato europeo e italiano del gas naturale approfittando di un eccellente articolo di Bruegel a firma Keliauskaité, Tagliapietra, Zachmann uscito il 2 aprile 2024 il cui link metto qui sotto.
Nel 2024 rispetto all’inizio della guerra l’Europa ha
ridotto a 1/3 le importazioni di gas russo, malgrado l’aumento notevole di
quelle via nave. Queste ultime peraltro sono le uniche in cui l’UE abbia
introdotto un qualche tipo di sanzione, vietando da qualche tempo il
transhipping di questo gas, cioè la possibilità di reinstradarlo verso mercati
terzi. Questa limitazione riduce le possibilità della russa Gazprom di raggiungere
mercati dell’Est non sufficientemente interconnessi da gasdotti in partenza
dalla Siberia, e quindi dovrebbe essere un altro colpo ai bilanci già devastati
di Gazprom.
Un’altra azione europea è stata all’inizio di quest’anno il
non rinnovo dell’accordo di transito di gas russo sui gasdotti ucraini.
Tutto sommato un atteggiamento molto cauto da parte dell’Europa,
sebbene (ma col senno di poi è facile dirlo) i numeri mostrino che l’abbondanza
di infrastrutture e il calo dei consumi rispetto all’inizio della guerra avrebbero
permesso di essere più duri con il gas russo senza aspettare, come di fatto è
avvenuto, che fosse Mosca a chiudere perlopiù i rubinetti.
L’introduzione di sanzioni sul gas russo via tubo, tra l‘altro,
come scrive Bruegel, aiuterebbe gli importatori europei a terminare
unilateralmente contratti d’importazione di lungo termine con meno rischi di
penali negli arbitrati che ne gestiscono le controversie.
Ma secondo Bruegel c’è un’alternativa più furba al bandire
il gas russo o al limitarne le quantità con quote. E sono i dazi, un tema
parecchio di moda recentemente.
I dazi non colpiscono solo l’esportatore, ma anche il
consumatore del Paese che li impone, che perde una fonte competitiva di un
bene. E il bilanciamento tra i due dipende dalle alternative di chi compra e di
chi vende, e dai costi di chi vende. Se un esportatore non ha margini per abbassare
il suo prezzo o ha alternative altrettanto remunerative per piazzare la merce,
l’importatore del Paese che ha messo i dazi, se vuole ancora consumare quel
bene importato, dovrà pagare un prezzo aggravato di gran parte del dazio. Ma se
l’esportatore non ha validi mercati alternativi e ha ampi margini sui costi vivi
di produzione, allora verosimilmente abbasserà lui il suo prezzo per difendere
la quota di mercato. Secondo Bruegel, la Russia è in questa condizione per l’export
di gas – soprattutto via tubo – in Europa, e quindi imporre tariffe potrebbe essere
un’ottima sanzione, producendo un gettito per l’Europa senza rinunciare subito a
gran parte della fornitura e senza aumentarne troppo il prezzo.
La riflessione che aggiungo io è: potremmo fare lo stesso
con il gas liquefatto americano per rispondere ai dazi di Trump? Vediamo: negli
USA il prezzo interno del gas è una frazione di quello eurasiatico, e il principale
mercato alternativo, la Cina, ha addirittura rinunciato ad approvvigionarsi
dagli USA.
Quindi ci sono margini per abbassare il prezzo e criticità
nel trovare mercati alternativi. Di conseguenza sì: dazi sul gas di Trump
potrebbero essere un’ottima idea. O almeno una minaccia efficace e credibile
che l’imbarazzata Meloni potrebbe usare per ritrovare un po’ della sua
sicurezza nei rapporti con gli USA.