martedì 27 maggio 2025

Il vento giusto (Puntate 673-4 in onda il 27/5 e 3/6/2025)

Illustrazioni di Paolo Ghelfi
Questo testo è apparso in una forma simile su QualEnergia, che ringrazio.

Il testo si può ascoltare qui (prima parte) e qui (seconda).

Il 18 agosto 2021, con 43 minuti di ritardo rispetto ai piani di volo, è atterrato al Pinal Airpark un Airbus A330 registrato in Canada come C-GITS.

Non si sarebbe più alzato da quella pista. Pinal Airpark è un deposito nel sud dell’Arizona per aerei destinati allo smantellamento. Grazie all’aria secca del deserto, i metalli dei velivoli parcheggiati si degradano più lentamente. E perché il sole non disintegri le plastiche e gomme degli interni, alcuni parabrezza vengono oscurati e i portelli di cabine e stive lasciati socchiusi per ventilarle un po’. La pioggia non è un problema al Pinal Airpark.

L’estate successiva, con mia figlia, nei pressi del forte Santa Catarina abbiamo atteso a lungo il traghetto che dall’isola Terceira, nell’arcipelago portoghese delle Azzorre, ci doveva portare all’isola Graciosa. Era in ritardo a causa del vento impietoso e del mare grosso.

Appena a bordo mi sono sistemato in una poltrona e ho aperto il laptop in vista delle molte ore di navigazione, ma dopo due minuti l’avevo già richiuso in preda alla nausea. Sono arrivato a Graciosa distrutto malgrado il soccorso di una coppia di attempati lusitani che ci ha regalato due compresse per il mal di mare.

Vent’anni prima del suo ultimo volo, il C-GITS era stato battezzato “Azores Glider” (aliante delle Azzorre) dopo le riparazioni in seguito a un atterraggio molto duro a Terceira. Aveva subito danni per la violenza del contatto con la pista e letteralmente grattugiato via le gomme e perfino i cerchioni dei carrelli posteriori. Era arrivato molto più veloce del normale, di punta, senza gli ipersostentatori che normalmente permettono di rallentare prima del touch down, senza gli spoiler che aumentano l’aderenza alla pista, senza il sistema antibloccaggio dei freni. Senza motori. Planando fino all’impatto in un silenzio che dev’essere apparso surreale a chi fosse alle prime luci del giorno d’estate sulla pista di Lajes, Terceira, Azzorre.

I cerchioni ormai privi di pneumatici hanno tagliato per un lungo tratto l’asfalto come avrebbe fatto un apriscatole.

Ai comandi c’era un canadese del Québec con discutibili capelli lunghi e un passato da contrabbandiere di marjuana con aerei da turismo che gli era costato negli anni Ottanta sedici mesi di carcere negli Stati Uniti. Il suo nome era Robert Piché.

Piché aveva appena pilotato per 120 km a motori spenti un aereo intercontinentale con 306 persone a bordo. Un record mai battuto su un aereo del genere, e con manovre non previste nemmeno in simulatore. Il carburante, disperso da un tubo sbagliato montato in uno dei motori, si era esaurito all’alba sopra l’oceano Atlantico. A bordo si erano spente tutte le luci e tutte le apparecchiature elettriche tranne gli strumenti minimi per la navigazione e il controllo dell’aereo. Gli assistenti di volo avevano preparato i passeggeri a un ammaraggio senza dire quel che molti intuivano: sarebbe stato potenzialmente letale.

Per 20 minuti i passeggeri hanno assaporato la fine.


La terraferma nel porto di Praia a Graciosa è stata una liberazione. Era ormai tardo pomeriggio, il vento incalzava. Era così bello avere i piedi sul suolo che anziché prendere un taxi ci siamo inerpicati per chilometri sulla strada alta sul mare verso il capoluogo Santa Cruz, tra costruzioni rurali e un paesaggio curiosamente simile a torbiere scozzesi o irlandesi. Il caldo dell’estate continentale sembrava lontanissimo, eppure proprio in quei giorni gl’incendi divampavano nei dintorni di Lisbona, mentre in Italia il governo Draghi si preparava a soccombere alle successive elezioni anticipate.

Passato un valico e percorso un lungo rettilineo in discesa, finalmente si vedevano da lontano le prime case di Santa Cruz, mentre alla nostra destra sfilava una rada zona industriale in cui si notava un capannone più grosso degli altri con una scritta: Central da baterias, Graciolica. Poco dietro, all’interno dello stesso recinto, un parco fotovoltaico.

L’Azores Glider sarebbe potuto arrivare con un motore funzionante da Toronto all’arcipelago portoghese malgrado la perdita di carburante, se solo Piché e il suo giovane copilota avessero seguito le procedure corrette dopo che gli strumenti di bordo molto prima dell’alba li avevano avvertiti del consumo anomalo. Avrebbero potuto spegnere il motore con la perdita e far passare il carburante residuo nell’ala senza perdita. Invece hanno fatto il contrario: per bilanciare i pesi hanno spinto il carburante verso il buco, fino a trovarsi completamente a secco sopra l’oceano.

Senza la spinta dei motori si è fermata anche la pressurizzazione della cabina. Sono scese le maschere per l’ossigeno mentre Piché iniziava la discesa in planata. L’unica fornitura elettrica residua del bestione intercontinentale era affidata a un piccolo generatore eolico d’emergenza sotto alla carlinga, sceso automaticamente per forza di gravità.

La mattina dopo l’arrivo a Santa Cruz mia figlia e io abbiamo preso due bici a noleggio per esplorare l’isola. Un’ora più tardi, alla fine di un ripidissimo strappo di salita, eravamo sul punto più alto di Graciosa tra aerogeneratori in funzione. Un sentiero faceva il periplo di un antico cratere vulcanico. Ma il vulcano attivo dell’isola è la caldeira do Enxofre, più a Ovest, dove in una grande grotta echeggiano bolle di fanghi sulfurei.

Le indagini dopo l’incidente AirTransat 236 hanno acclarato che il potenziale disastro è stato causato prima da un errore di manutenzione e poi dalla reazione sbagliata dei piloti alla perdita di carburante. Questo non ha impedito a Robert Piché di essere da allora considerato un eroe, di ricevere un premio dall’associazione internazionale dei piloti e di iniziare una carriera parallela di conferenziere. Il giorno del suo ultimo volo prima della pensione ancora i passeggeri gli chiedevano selfie e autografi. Che cosa strana la vita, ha detto in un’intervista: un giorno finisci in galera, un altro temi di morire e dopo un’ora ti chiamano eroe. Su di lui, oltre a decine di video di ricostruzione dell’incidente più o meno accurati, è stato prodotto un film biografico (Piché entre ciel et terre, disponibile su YouTube nella versione originale in québécois).

Nel 2018 la società energetica Graciolica ha ordinato a Wartzila e altre aziende tecnologiche le macchine per creare a Graciosa un sistema di generazione elettrica e batterie in grado di funzionare al 100% con fonti rinnovabili.

All’inizio del 2020 la nuova configurazione ha iniziato a ridurre le ore di attivazione dei vecchi generatori diesel. Nel novembre dello stesso anno l’intera isola ha funzionato per 150 ore consecutive al 100% con eolico e fotovoltaico.

Chissà se l’Azores Glider è ancora intero, a parte i motori e gli strumenti più preziosi che saranno stati subito cannibalizzati. Le sue capacità di volare a vela come fosse un aliante di pochi quintali, testate per la prima volta da Piché per salvare la vita sua e dei passeggeri, hanno contribuito al prestigio di Airbus, oggi di gran lunga il più grande produttore di aerei civili al mondo e un caso di successo di un’azienda globale pianificata e incubata dall’Unione Europea. La sua divisione ZeroE dal 2020 sviluppa soluzioni per aerei a zero emissioni dannose con celle a combustibile e motori elettrici, o con turbine direttamente alimentate a idrogeno.

Il villaggio di Santa Cruz a Graciosa è fresco anche a luglio, spazzato dal vento dell’Atlantico. Non è il posto giusto per imparare il portoghese a causa del dialetto che si mangia ancora più vocali che nel continente. Trovare una bici senza la catena corrosa dalla salsedine è difficile. Nel piccolo porto di pescatori hanno tirato su un muro bianco in alcuni punti, credo per difendersi dalle mareggiate che il nuovo clima sta rendendo più aggressive. Ma a Graciosa, riguardo al clima, non si limitano all’adattamento.

martedì 20 maggio 2025

Il ponte sul Topino (Puntata 672 in onda il 20/5/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi.
Chi è Paolo Ghelfi?
Questa puntata si può ascoltare qui.

Pontecentesimo. Sapete dov’è? È una frazione di Foligno, provincia di Perugia, città certo meno turistica (e più grande) rispetto alle vicinissime Assisi e Trevi, ma interessante anche per i tanti canali che la raffrescano. Acqua che arriva anche dal fiume Topino che dà il nome alla valle a NE della città dove passano la via Flaminia (sia nel tracciato romano che nella versione superstradale) e la ferrovia per Ancona di cui Derrick si è occupato più volte. Una valle fresca e lussureggiante dove l’acqua è anche nel nome di Capodacqua, con la sua stazione ferroviaria ormai chiusa come quella di Valtopina. (Di stazioni che chiudono o rischiano di farlo ho parlato a Derrick riguardo a Colli di Monte Bove - link sotto).

Pontecentesimo, dunque, è una delle prime località che s’incontrano imboccando la val Topina poco fuori Foligno.

Se siete lì o più a nord nella valle e avete una bici, o siete a piedi, e appartenete a quel piccolo novero di privilegiati dotati di arti inferiori e di capacità deambulatoria, sappiate che a Foligno con l’energia muscolare non potete arrivarci, salvo abbandonare lungamente la valle con centinaia di metri di dislivello nella zona di Ravignano.

Perché non si può andare dalla Valtopina a Foligno in bici o a piedi? Perché, seppure per solo un chilometro, la vecchia Flaminia converge nella superstrada vietata a bici e pedoni. E non ci sono alternative in quel breve collo di bottiglia. Nemmeno sentieri.

Il cancello tra il ponte abbandonato e
la superstrada Flaminia,
dove c'era lo svincolo di ingresso.
Fino ad alcuni anni fa il tratto di superstrada obbligatoria era di soli 150 metri, grazie a un ingresso dalla via Flaminia Nord di Foligno adiacente a un ponte sul Topino. Un ponte che da almeno cinque anni è in rovina e ospita una modesta discarica informale. È piegato trasversalmente forse per uno smottamento e forse è pericoloso per il flusso del fiume se dovesse cedere e ostruirlo in caso di piena. L’ingresso sulla superstrada (che probabilmente era pericoloso in assenza di corsie di accelerazione) è stato chiuso e al suo posto c’è un cancello, apribile fino a qualche tempo fa e poi bloccato da una catena. Poco dopo il ponte, allontanandosi dalla superstrada, c’era un passaggio a livello sulla ferrovia, oggi letteralmente murato (inglobando le barriere mobili nel muro con un inquietante effetto-Pompei).

Per curiosità sono andato a vedere le immagini satellitari e da terra di Google dove il ponte, l’ingresso in superstrada e il passaggio a livello sono ancora aperti.

Bene. La mia opinione è che la messa in sicurezza o l’aggiornamento di una superstrada non possa implicare l’istituzione di una barriera bloccante per le forme di movimento inadatte alla superstrada. Se mai, si affianca la sede stradale a corsie protette per pedoni e ciclisti, o si degrada quel tratto eliminando le esclusioni e imponendo agli automobilisti di rallentare.

Chi va in bici sa quanto spesso occorre violare barriere o divieti per muoversi in un paese dove la progettazione viaria molto spesso dimentica il traffico non automobilistico e ne diventa un impedimento.

Se pensate che questa puntata sia un invito a scavalcare (più facile passare sotto se siete abbastanza smilzi) il cancello sul Topino e avventurarvi sul ponte storto per poter continuare a percorrere in bici o a piedi la bellissima val Topina da o verso Foligno minimizzando la superstrada, la mia reazione è: no comment.


Link

martedì 13 maggio 2025

Lo spegnone (o apagón parte II) (Puntata 671 in onda il 13/5/25)

La precedente puntata sullo spegnone in Spagna è qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

Questa puntata si può ascoltare qui.

Ho deciso che sostituirò il termine “blackout”, almeno in riferimento a quello iberico del 28 aprile 2025, con “spegnone”, che ho introdotto nella scorsa puntata. Del resto se Fiat auto inventò il neologismo “comodosa” in riferimento alla Regata, tre volumi per famiglie erede della 131 lanciata negli anni ’80, perché non può Derrick introdurne uno, spero, altrettanto intuitivo?

E dunque, continuano le conclusioni massimaliste tratte da chi commenta lo spegnone. Per esempio che occorre nazionalizzare il gestore della rete elettrica (che in Spagna come da noi è un’azienda di diritto privato, ma concessionaria di un servizio regolato) o all’opposto che lo spegnone è stata colpa di cattiva politica o regolazione.

Che il gestore della rete spagnola abbia fallito nel farla funzionare correttamente, come ha scritto Carlo Stagnaro, mi sembra la conclusione meno controvertibile.

Abbiamo già visto che ci vorrà un po’ per sapere tecnicamente cosa è andato storto, ma la speranza che prima o poi ciò avvenga è alimentata dal fatto che anche un’istituzione europea, l’ACER, agenzia di coordinamento delle autorità indipendenti dell’energia, parteciperà alle indagini, così come l’organo di coordinamento dei gestori delle reti elettriche ENTSO-E.

Ricapitoliamo quali caratteristiche ha il sistema elettrico iberico: molte fonti rinnovabili, in particolare eolico, un prezzo dell’elettricità che è passato in sette anni da essere tra i più alti al più competitivo d’Europa, come ha ricordato il premier Sanchez pochi giorni dopo lo spegnone, tanto da attrarre investimenti in settori ad alta intensità di fabbisogno elettrico come i datacentre e da ottenere una crescita economica più che doppia della media europea negli ultimi due anni.

In termini di interconnessioni con i paesi limitrofi, Spagna e Portogallo da un lato sono dotate dell’unico collegamento transmediterraneo d’Europa, perdipiù sincrono, con il Marocco, dall’altro sono scarsamente interconnessi con il resto d’Europa. (Su cosa s’intenda per “sincrono” invito a consultare la pagina di introduzione per non tecnici al funzionamento delle reti elettriche in corrente alternata - link sotto).

Questa scarsa interconnessione ha significato che la capacità della rete europea di sostenere quella spagnola in difficoltà fosse ridotta, e quando gli interruttori con la Francia si sono aperti la penisola si è trovata sola nel suo destino. (Interessante che il gestore della rete francese si sia affrettato ad affermare che il distacco non si è configurato come una mancanza di supporto della rete francese). E il distacco di una centrale nucleare sempre in Francia nei momenti della crisi anch’esso viene citato da molti osservatori.

La Spagna curiosamente ha visto negli ultimi anni un rallentamento dell’installazione di batterie elettriche. Se è vero che il sistema iberico partiva da valori elevati di disponibilità di batterie, è anche vero, come ha scritto GB Zorzoli su Staffetta Quotidiana, che la disponibilità complessiva di accumuli iberici non sembra tenere il passo delle fonti rinnovabili a maggior ragione se consideriamo il relativo isolamento del sistema. Un articolo di José Roca dal Periodico de la energia (link sotto) nota che la nuova capacità di batterie è in calo da tre anni in Spagna mentre a livello europeo la corsa è rallentata solo nel 2024, anno che comunque ha visto aumentare la capacità continentale di un altro 15%.

Ma proprio lo spegnone potrebbe dare una sveglia al mercato iberico degli accumuli, anche quelli domestici. Sempre nel Periodico de la energia (link sotto) leggo di un aumento repentino delle richieste di sistemi che siano in grado non solo di autoprodurre e conservare l’energia, ma anche di staccarsi dalla rete in caso di blackout, per non esserne coinvolti.

Se è vero che sempre più il bilanciamento delle reti si fa anche con risorse distribuite, lo shock dello spegnone potrebbe accelerare la tendenza.


Link

martedì 6 maggio 2025

Apagón (Puntata 670 in onda il 6/5/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi
(Dopo che Copilot ci ha delusi
con un precedente tentativo)

La risposta è no: non mi avventurerò in speculazioni sulle cause del blackout spagnolo prima di vedere un rapporto dettagliato  - quand’anche provvisorio – del gestore della rete spagnola o di una delle autorità rilevanti. Voglio però commentare la bellezza del termine spagnolo per blackout: apagón, che viene da apagar (spegnere). La trasposizione letterale in italiano potrebbe essere “spegnone”. Invece noi tristemente usiamo l’anglosassone blackout anche perché l’algido termine “disalimentazione” che usano i gestori delle reti è assai poco evocativo.

Come in tutti i settori che di colpo diventano popolari per un evento, un sacco di gente sta commentando a sproposito. Per differenziarsi e contribuire in senso opposto, questo blog ha inaugurato una nuova pagina (link sotto) con una breve descrizione per non tecnici di come funziona una rete elettrica e sarò felice di ricevere commenti e critiche in materia.

Segnalo poi un eccellente articolo in materia di Luigi Moccia nel suo blog dal nome calviniano Mappe di città invisibili. L’articolo si chiama Le bufale sul blackout spagnolo (link sotto). (Moccia cercherò di corteggiarlo per portarlo in voce prima o poi qui a Derrick).

Può però essere utile impostare la questione e parlare delle caratteristiche del sistema elettrico spagnolo, tra i più avanzati d’Europa per uso di energie rinnovabili e per conseguente riduzione del prezzo dell’energia, il che sta contribuendo a far crescere il paese ben più del resto d’Europa. (Ma attenzione: perfino in Italia dove le rinnovabili coprono ancora in media meno della metà del fabbisogno di energia, ci sono momenti, come il primo pomeriggio dello scorso primo maggio, il cui quasi tutta è da fonti rinnovabili).

Abbiamo su questo con un accademico (ne stiamo avendo diversi ospiti a Derrick ultimamente): Fulvio Fontini, ordinario di Economia applicata all’Università del Salento, già membro della commissione PNRR-PNIEC, autore di molte pubblicazioni in tema energia compreso, insieme ad Anna Cretì, Economics of Electricity, manuale di riferimento nei corsi avanzati di economia dell’elettricità.

Sentiamolo qui.

Grazie Fulvio Fontini, speriamo di riaverlo ancora su questo tema.


Link