martedì 19 febbraio 2013

D150 - Mobilità ferroviaria ad alta velocità (parte 2)

La settimana scorsa ho iniziato a parlare di valutazione economica degli investimenti in linee ferroviarie ad alta velocità. Continuo ora e lo farò per un'ulteriore puntata almeno, perché c'è molto materiale che, anche se non sempre recente, merita di essere passato in rassegna. Grazie intanto a Mario Marchitti per le sue utili segnalazioni e al materiale che mi ha indicato e userò prossimamente parlando in particolare di TAV merci.

L'altra volta ho introdotto uno studio di Beria e Grimaldi del Politecnico di Milano che compie una prima valutazione dell’Alta Velocità ferroviaria italiana tra Torino e Salerno e evidenzia che i costi sono lontanissimi dall'essere coperti dalla disponibilità a pagare teorica dei viaggiatori, se non nella tratta Milano-Bologna. Lo studio non calcola il valore dei biglietti alta velocità venduti, bensì quello del tempo risparmiato dai passeggeri rispetto a treni più lenti. Del resto quando si pianifica un'infrastruttura non si può che fare così: serve un'idea della domanda potenziale del nuovo servizio per capire se l'investimento torna sul piano economico, che equivale a capire, riuscendo a dare un valore economico a tutte le variabili rilevanti, se l'investimento ha senso dal punto di vista del benessere collettivo tout court.

Allora: per dare un valore al tempo si possono intervistare le persone: "Quanto mi daresti in cambio di arrivare prima?". Oppure si può considerare il costo opportunità, cioè il reddito che un uso del tempo alternativo allo stare in treno produrrebbe. Reddito da lavoro. Nell'ipotesi che se uno è in treno non lavora.

E qui, fermiamoci un attimo. Che il tempo in viaggio sia tempo perso in termini di lavoro è un'ipotesi molto forte. Probabilmente nel lavoro intellettuale è sempre meno così: le persone possono maturare e comunicare le loro decisioni anche in un treno, soprattutto se su quel treno funziona internet e l'ambiente è abbastanza confortevole. In altri termini: potrebbe essere più rilevante la compatibilità di un viaggio a un'attività di lavoro con pc o telefono, rispetto a un risparmio sul tempo di percorrenza. Per esempio io sarei disposto a metterci mezz'ora in più tra Milano e Roma a pari prezzo se internet e il mio telefonino a bordo funzionassero senza inconvenienti.

Addirittura mi spingerei a sostenere, come ho già scritto, ma in un romanzo, che l'idea stessa che i manager debbano spostarsi con mezzi molto veloci è anacronistica. Perché nell'era dell'informazione istantanea e delle videoconferenze è ben più importante che un decisore abbia modo di pensare, piuttosto che faccia presenza fisica in tutte le riunioni.
Questo non toglie che spostarsi, evadere da un posto verso l'altro, possa essere un bisogno connaturato in noi. Come il bisogno di interazione con gli altri. Al limite, se avessi la ragionevole aspettativa che a bordo di un intercity è probabile incontrare persone interessanti, potrei preferirlo all'alta velocità. Di nuovo, quindi, è verosimile che per molte categorie di viaggiatori sia più utile spostarsi confortevolmente e in modo affidabile, piuttosto che lucrare un po' di tempo.

La prossima volta tornerò in binari più economici, sempre sul tema alta velocità ferroviaria.


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