Molte puntate fa con Stefano Mottarelli facemmo un ciclo sul
prezzo politico dell’elettricità assicurato in vari modi allo stabilimento poi
chiuso di Alcoa a Portovesme, sulle rive sudoccidentali della Sardegna, a due
passi dal bellissimo capo di Portoscuso e dall’isola di Carloforte.
Lì ha sede lo smelter (questo il nome tecnico dell’impianto
per questa fase di lavorazione) per la produzione di alluminio a partire da un
semilavorato (detto allumina) della bauxite, il minerale in cui in natura si
trova il metallo in forma ossidata.
L’impianto usava
grandissime quantità di energia elettrica che in un modo o nell’altro ha pagato
sempre molto meno del suo prezzo di mercato, fino a far incorrere il Governo
nell’ingiunzione europea di farsi restituire parte di questi sussidi, come abbiamo
visto.
Tutto iniziò nel ’96 quando la holding pubblica EFIM dismise
lo stabilimento e per facilitarne l’acquisto promise all’acquirente una tariffa
agevolata dell’elettricità. Il che allora si poteva fare stabilendo che il
monopolista elettrico pubblico del tempo, l’Enel, facesse un accordo ad hoc.
Con la liberalizzazione, la tariffa di favore è diventata uno sconto gestito
dal sistema di perequazione delle bollette, pagato quindi non più con minori
proventi dello Stato – e quindi con le tasse – bensì direttamente nelle
bollette. Uno dei tanti casi di fiscalizzazione delle bollette diventate così veicolo
di politica industriale.
Questo sconto però era difficilmente compatibile con il mercato
dell’energia e aveva caratteristiche tali da assimilarlo secondo l’UE a un
aiuto di stato illegittimo. Da cui la sua interruzione e la fine, almeno per
ora, dell’operatività dello stabilimento.
Cosa ci fa lo smelter di Portovesme con l’elettricità? Ce lo
facciamo spiegare subito da Pierfrancesco Sedda, ingegnere dello stabilimento che
coinvolgeremo in questo nuovo ciclo di puntate scritte con Elisa Borghese.
Ci raccontava poi Sedda che la potenza assorbita dal processo ha raggiunto punte di 170 mila ampère di corrente elettrica (per capirci, un appartamento con tutto acceso ne assorbe al massimo poche decine). In effetti negli ultimi anni di funzionamento lo stabilimento consumava da solo circa un quinto dell’elettricità consumata in Sardegna.
Se chiediamo a Sedda, lui ci dice anche che a suo avviso si tratta di un’azienda tecnicamente
competitiva rispetto ai suoi concorrenti di riferimento in Europa:
Da tempo in effetti il gruppo svizzero Glencore, che ha
altri stabilimenti metallurgici nella zona di Portovesme, sembra interessato a
rilevare lo smelter Alcoa. Negoziati gestiti dal Governo pare abbiano portato
alla firma di un protocollo tra aziende, Governo e Regione Sardegna, protocollo
di cui Derrick non ha per ora disponibilità, in cui le istituzioni si
impegnerebbero a facilitare l’acquisizione dello stabilimento da parte di Glencore
senza concedergli aiuti sul prezzo dell’energia tali da violare come in passato
le norme UE sugli aiuti di Stato.
Questo potrebbe voler dire non ripetere forme di sussidio,
oppure confidare in norme più lasche sugli aiuti alle imprese sui prezzi dell’energia.
Nuove lineeguida UE
Nuove lineeguida UE
In effetti nel 2014 l’UE ha diffuso in materia nuove lineeguida più tolleranti rispetto alla possibilità che alcuni oneri
amministrati della bolletta siano ridotti per tener
conto dell’esposizione alla concorrenza internazionale dei consumatori
industriali energivori.
Queste nuove lineeguida sono probabilmente l’esito di pressioni
tedesche, come abbiamo raccontato a Derrick, avvenute dopo la messa in mora
della Germania perché esentava dall’onere per il sussidio alle fonti
rinnovabili i consumatori energivori.
Insomma l’Europa da un lato persegue la decarbonizzazione e le fonti rinnovabili considerando questa strategia vantaggiosa per tutti nel lungo termine, dall’altro ammette che sia accettabile non farne arrivare il segnale economico ad alcuni comparti, gravando con i costi energetici di breve periodo delle politiche green solo le aziende manifatturiere non energivore e non in competizione internazionale, il terziario e i clienti domestici.
Insomma l’Europa da un lato persegue la decarbonizzazione e le fonti rinnovabili considerando questa strategia vantaggiosa per tutti nel lungo termine, dall’altro ammette che sia accettabile non farne arrivare il segnale economico ad alcuni comparti, gravando con i costi energetici di breve periodo delle politiche green solo le aziende manifatturiere non energivore e non in competizione internazionale, il terziario e i clienti domestici.
Ma questa politica strabica rende la transizione all’economia
decarbonizzata meno efficace e più costosa, perché impedisce che in tutto il sistema arrivino segnali di prezzo coerenti a innescarla.
I nostri prezzi dell'energia
Anche un’altra cosa però è cambiata dai tempi in cui Alcoa decideva di chiudere Portovesme: i prezzi dell’energia elettrica all’ingrosso in Italia hanno continuato a scendere e attualmente sulla borsa elettrica un megawattora costa meno di 50 € contro gli oltre 75 medi del 2012. Sempre però sensibilmente di più che nei Paesi con cui confiniamo, mentre gli oneri in bolletta non legati al prezzo di mercato dell’energia hanno complessivamente continuato a salire.
(Pensate per esempio che stiamo ancora remunerando il capitale delle reti energetiche italiane a un tasso precedente al quantitative easing, che non tiene quindi conto dei bassi tassi di interesse sul debito pubblico, i quali invece stando alle norme dovrebbero esserne il punto di riferimento).
Lo stato degli accordi Governo-Glencore-sindacati
Come abbiamo visto, Glencore, il gruppo svizzero che ha
sinergie rispetto all’attività dello stabilimento di Portovesme, sta valutando
l’acquisizione dello smelter di Alcoa, e come il suo predecessore chiede facilitazioni allo Stato. (Ve ne sarete accorti: il capitalismo contemporaneo
prevede, e non solo in Italia, che le grandi aziende si facciano pagare dalla
collettività per insediarsi).
Abbiamo su questo il contributo di Marco Bentivogli, segretario metalmeccanici della Cisl, che ringraziamo e che ci racconta dell’intesa già siglata tra Governo, Glencore e sindacati:
A Bentivogli abbiamo anche chiesto il testo del memorandum, ma lui non ce l’ha dato, e noi non siamo ancora riusciti a venirne in possesso.
È corretto che un’intesa già siglata, che implica l’uso di risorse pubbliche e effetti distributivi pubblici non sia essa stessa pubblica? Secondo Derrick no. Chi dovrebbe rendere pubblico il documento è il Governo. Se invece è già online da qualche parte e Derrick non è stato in grado di trovarlo, forse converrebbe renderlo più reperibile, e naturalmente questo microfono è aperto in particolare al ministro Guidi delle Attività Produttive e ai suoi collaboratori, se ora il file è in mano a questo Ministero, se vorranno fornirci informazioni o commenti.
Bentivogli ci parla anche del nodo prezzo dell’energia per lo stabilimento:
Qui però siamo alle solite. Aldilà dei nomi fantasiosi che sono stati dati alle tariffe elettriche scontate, il punto è: sono ridiventati oggi accettabili sconti ad hoc a imprese a spese delle bollette che alla fine dei tempi di Alcoa non lo erano più?
Sopra abbiamo visto che in effetti nelle norme europee qualcosa è cambiato, e stando a quanto dice Bentivogli potrebbe mancare poco a sapere se adesso uno sconto politico otterrà l’ok di Bruxelles.
Costi energetici=costi politici?
Non sono importanti solo i costi dell'energia per fare alluminio. Lo sono anche quelli di
approvvigionamento e trasporto della materia prima (la bauxite), con la
differenza che sarebbe più complicato – benché logicamente identico – chiedere
allo Stato di fornire bauxite a un prezzo politico e di far pagare la
differenza ai contribuenti.
Con l’elettricità sembra più naturale perché le
bollette come sappiamo hanno componenti regolate con varie perequazioni tra
consumatori le quali sono determinate dalle norme primarie e dalle delibere
dell’Autorità di settore.
Un’alternativa a chiedere sconti politici sull’energia, da
parte dell’industria in crisi, è chiedere la costruzione di una centrale
elettrica ad hoc con soldi in parte pubblici e gestione in parte svincolata da
criteri di economicità. Su questo si basa l’ormai secolare storia dello
sfruttamento del carbone del Sulcis, sempre stato diseconomico fin da quando
col fascismo si decise di svilupparlo con soldi pubblici per fornire energia
all’industria locale.
Bene: ricorderete che un altro stabilimento metallurgico per
la produzione di alluminio sempre a Portovesme è, anzi era, quello di
Eurallumina, chiuso ormai da anni.
Nel 2012 le istituzioni statali e regionali siglarono
un accordo
che prevedeva la costruzione di una nuova centrale a carbone cofinianziata da
soldi pubblici per rifornire lo stabilimento. E nel documento si scriveva tra l’altro
che l’assenza di una rete di gas naturale in Sardegna costituiva un handicap
per l’industria locale.
Quest'ultima affermazione, se guardiamo la cosa dall’aspetto dei costi d’approvvigionamento
per Eurallumina o Alcoa, oggi è totalmente sballata:
se escludiamo i picchi da caldo estivo, le centrali a gas sono quelle che perdono
più soldi con gli attuali prezzi di mercato dell’elettricità, a maggior ragione
se come nel caso previsto nell’accordo per Eurallumina devono produrre con
costanza anche vapore non potendo quindi spegnersi quando il prezzo dell’energia
è più basso dei costi di combustibile.
Mi chiedo: se l’obiettivo è far pagare ai cittadini uno
sconto politico sull’elettricità, quale metodo peggiore che costruire una nuova
centrale socializzandone i costi di investimento? È come se, volendo fare gli
sconti al pedaggio di un’autostrada semivuota a una categoria privilegiata, io
chiedessi di costruire con soldi pubblici un’altra autostrada parallela
dedicata a loro.
Puntate realizzate con Elisa Borghese
Grazie a Marco Bentivogli e Pierfrancesco Sedda.
Grazie a Marco Bentivogli e Pierfrancesco Sedda.
Ho letto che grazie allo stampaggio pressofusione alluminioè possibile lavorare l'alluminio rendendolo perfetto per ogni tipo di utilizzo e rendendolo più resistente.
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