Il nostro welfare costa come altri ma è meno universale
Il welfare italiano è allineato
in termini di spesa alla media UE, ma è sbilanciato su pensioni e sanità.
La
nostra spesa per malattia l’invalidità e pensioni è nel periodo 2000- 2013 tra
le più elevate insieme a quella della Francia, e aumenta di quasi tre punti
percentuali durante il periodo di crisi (dal 2008 al 2013), mentre la spesa per
la famiglia, i figli, la disoccupazione, l’abitazione e l’inclusione sociale è
sempre più bassa nel confronto con gli altri grandi paesi europei e durante la
crisi è aumentata solo di meno di un punto percentuale.
Anche la povertà in
Italia è elevata, aumentata recentemente più che nel resto dell’UE e alta in
particolare anche a valle dei trasferimenti sociali, che quindi si mostrano scarsamente
efficaci contro la povertà.
Un limite del nostro
welfare, in particolare rispetto alla disoccupazione, è la sua scarsa
universalità (anche se in via di miglioramento con una legge [A.C. 3594] che ha
delegato il Governo in tema di norme relative al contrasto alla povertà, al
riordino della materia.
Se ne è parlato al congresso
di Radicali Italiani di fine ottobre [2016] con studi tra gli altri di Roberto
Cicciomessere e Vitaliana Curigliano, e interventi tra gli altri di Laura Rossi
assessore alle politiche sociali a Parma.
Una proposta di
riorganizzazione della spesa sociale è stata sviluppata dall’Istituto di Ricerca
Sociale e presentata nel numero 2/2016 della rivista Prospettive Sociali e
Sanitarie. Tra le altre cose, la proposta include un reddito minimo
d’inserimento in forma di integrazione al reddito delle famiglie che oggi sono sotto
al livello di povertà assoluta, e una “dote di cura” per la non autosufficienza.
La riforma costerebbe un
totale di 80 mld, di cui 15 per il reddito minimo, a fronte di una spesa sociale
di 72 miliardi nel 2014, e si tratterebbe di solo il 6% in più della spesa già
impegnata in materia per il 2017 nell’ambito delle riforme già in corso.
(Piccolo inciso: cos’è la
povertà assoluta per l’ISTAT? Per una famiglia urbana di quattro persone con
due minori è l’incapacità di spendere, a indici 2015, 2100 euro al mese in
consumi complessivi, incapacità che riguarda oggi più del 7% delle famiglie in
generale).
Distribuzione del reddito (indice ISEE) delle famiglie italiane. Dallo studio IRS |
Redistribuzione avversa in voci di spesa pubblica non esplicitamente assistenziali
In termini di pensioni, rilevo
invece io dai dati INPS che circa il 5,5% della spesa italiana in pensioni, che
valeva nel 2014 poco più del 17% del PIL, va in assegni superiori ai 5000 euro
mensili, meno dell’1% in numero. Quindi una cifra pari a quasi l’1% del PIL
serve a pagare queste super pensioni, non poco. Non stiamo parlando di pensioni
assistenziali, ma almeno per la loro quota maturata con metodo retributivo si
tratta anche di una questione sociale.
Non compongono la spesa
sociale, ma in realtà hanno interazioni rilevanti in materia, anche forme di
redistribuzione come quelle di detrazione fiscale della spesa per
ristrutturazioni edilizie, in particolare con finalità antisismiche. Abbiamo
visto qui
a Derrick come la legge di bilancio 2017 da un lato aumenta queste detrazioni,
che potrebbero anche essere un volano di viluppo di aree disagiate, dall’altro incredibilmente
ed espressamente vieta la possibilità di cederne i crediti fiscali a intermediari
finanziari, lasciando di fatto la fruibilità delle misure in capo a chi ha i
soldi per anticipare di tasca propria gli interventi.
In conclusione di questa
parzialissima rassegna, credo che la retorica su come un welfare universale e
un reddito minimo siano una chimera sia sbagliata e da superare. Un welfare
universale non solo è un investimento non molto più alto di quanto già
spendiamo, ma è probabilmente indispensabile a una ripresa dell’economia, oltre
che alla sicurezza sociale e all’equità.
Link esterni di
approfondimento:
Povertà e welfare in Europa, di Roberto Cicciomessere e Vitaliana Curigliano
Costruiamo il welfare dei diritti, n. 2/16 di Prospettive Sociali e Sanitarie, rivista dell’IRS
Come si calcola il
livello di spesa di povertà assoluta (ISTAT)
non riesco a capacitarmi come un governo, per di più di centro sinistra non abbia mai affrontato la questione di un nuovo welfare, ma quello che mi da più rabbia e che mi ha fatto perdere qualsiasi speranza nella politica é stata la miopia, non di interventi redistributivi perché la questione non è redistributiva ma di giustizia sociale, nel eliminazione della parte retributiva sulle super pensione sopra i 3000 euro. questo secondo me è uno dei termometri su cui misurare la serietà dei vari governi.
RispondiEliminaun ultimo sfogo, come faranno la generazione che va dai nati dal 80 al 88 a costruirsi una pensione contributiva dopo, se tutto va bene, aver perso dai 7 ai 10 anni di contribuzione per i periodi di inattività,sperando che il 30% di disoccupazione sia di turnover e non riguardi sempre gli stessi individui. reddito o contribuzione di cittadinanza non una chiamera ma una necessità. secondo me si finanzierebbe semplicemente con i tagli alla spesa seri....si entra dentro le amministrazioni e si fa zero budgeting in sostanza si chiede ad ogni struttura/funzione il motivo per cui deve continuare a esistere e la sua utilità invertendo così l'onere della prova. i risparmi allora diverrebbero interassanti.
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