lunedì 11 febbraio 2019

Auto intelligenti e mercato (Puntata 386 in onda il 12/2/19)

Mare mosso a Salerno
Oggi citerò due articoli recenti di due grandi giornali, Financial Times e Economist. (A chi mi dice che è un po’ radical chic riferirsi a testate del genere rispondo che non l’ho deciso io che sia il giornalismo anglosassone ad avere queste punte di approfondimento e competenza). L’articolo sul FT, di Patrick Mc Gee del 1 febbraio 2019, parla della prossima generazione di autoveicoli e del ruolo che in essi avrà l’intelligenza artificiale.

Quando si dice che le grandi aziende sono miopi e non sanno guardare oltre la remunerazione di breve termine degli azionisti non si tiene conto di un fenomeno opposto, che nel settore di cui parliamo sta avvenendo: aziende che sviluppano tecnologie per la guida autonoma sono state acquistate a caro prezzo o hanno comunque visto la capitalizzazione andare alle stelle ben prima di intravvedere qualunque utile da questo business. Tra i giganti del settore c’è Waymo, l’azienda specializzata di Google.

Secondo molti analisti l’intelligenza artificiale della guida autonoma, insieme a tutta la filiera che la renderà possibile (tra cui la digitalizzazione e compressione efficiente delle mappe di super dettaglio o, in alternativa, le capacità di comunicazione veloce tra auto e database remoti) tenderà a essere fornita da poche aziende, meno di quante oggi occupino un settore peraltro già concentrato come quello della produzione automobilistica. Tant’è che già si prefigurano alleanze tra produttori in passato acerrimi concorrenti, come Mercedes e BMW. BMW che, insieme a Fiat Chrysler, sta contribuendo anche a una piattaforma di guida autonoma sviluppata da Mobileye, azienda israeliana comprata da Intel nel 2017 per oltre 15 miliardi di dollari, scrive il FT.

Probabilmente, azzardo io, è proprio la necessità di interoperabilità a rendere intrinsecamente concentrato il settore dell’intelligenza veicolare, un po’ come avvenne con i sistemi operativi per personal computer, dove il mondo si divise tra sole due piattaforme. In più ora c’è la necessità di tutti gli operatori di usare dati relativi alle stesse strade.

L’altra citazione che avevo promesso all’inizio era dall’Economist, che fa il punto della disfatta in Cina (e non solo) di aziende di bike sharing urbano, che hanno investito enormemente, con grande ottimismo (e con quella visione tutt’altro che ragionieristica cui accennavo prima) ma facendosi una concorrenza insostenibile l’una con l’altra, fino a non essere minimamente in grado di ripagare il costo del capitale. Mi chiedo se questo sia un segnale che perfino nel meno complesso mondo delle bici condivise saranno inevitabili forme di cartelli o di qualche barriera all’entrata al mercato per garantire la sostenibilità economica. 

Un tema che mi appassiona, spero di avere presto elementi per riprenderlo.


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