Tunnel di valico della ciclabile (ex ferrovia) Spoleto-Norcia (Foto Derrick) |
E questa ragione è il boom di domanda e prezzi del gas in
questa fase di centro inverno 2021. Una combinazione di freddo e ripartenza delle
economie ha fatto aumentare i consumi rispetto a un trend di lungo periodo che almeno
in alcune regioni del mondo è ormai di stagnazione strutturale. Per esempio in
Italia il record dei consumi di gas risale al lontano 2005. Le infrastrutture in
vece
si sono moltiplicate: gasdotti potenziati, soprattutto in Europa, e una rete di
porti per la liquefazione e la rigassificazione in tutto il mondo, che come
sappiamo permettono tra l’altro agli USA di operare ormai da anni come
importante esportatore e hanno di fatto creato un mercato abbastanza
globalizzato.
L’aumento recente dei consumi in Cina, in particolare, ha
alzato il prezzo spot nella regione dell’estremo oriente fino a livelli mai
visti negli ultimi due anni, e anche i prezzi degli hub americani ed europei
sono schizzati. Finalmente il gas immagazzinato nei depositi geologici (di
solito giacimenti esauriti) si sta rivelando un affare per i trader che l’hanno
comprato in estate. Insomma, per una volta la ciclicità stagionale attesa di
questa commodity energetica si comporta in modo da giustificare gli
investimenti nella sua macchina.
E qualcosa di storico è successo anche in Italia: la
prospettiva di diventare un paese esportatore (di transito, ovviamente) di gas,
che fece sorridere tanti osservatori quando il governo di allora diede via
libera al progetto del TAP (il gasdotto transadriatico che approda nel
brindisino attraverso Mare Adriatico, Albania e Grecia e che tramite la dorsale
turca ci collega ai maxi giacimenti azeri), si è almeno per qualche momento
realizzata. Uno dei gasdotti transalpini infatti ha invertito la spinta per
portare stavolta gas italiano in Francia. Sembra la rottura di un incantesimo: si
è invertito lo spread che tipicamente ha reso il prezzo italiano superiore a
quello dell’hub nordeuropeo di riferimento, il TTF. E quindi l’Italia, con
prezzo stavolta più basso, ha esportato.
Questo non significa, naturalmente, che il macrotrend di declino della prospettiva di uso del gas nel mondo si sia invertito. Le politiche di decarbonizzazione, aiutate anche dei prezzi recentemente elevati dei permessi a emettere CO2 in Europa e dai progressi di rinnovabili e batterie, vanno chiaramente in una direzione alternativa ai combustibili fossili. E non stupisce infatti che Marco Alverà, l’amministratore delegato della società italiana dei gasdotti che del citato TAP è uno dei principali azionisti, la Snam, abbia parlato in pubblico da quando ricopre questo ruolo più di idrogeno che del suo core business: il vecchio gas, appunto.
Il caso Algeria (puntata del 16/2/21)
A quale paese si pensa quando s’immaginano gli effetti dell’embargo al commercio internazionale di automobili? Effetti che visti con gli occhi parziali del turista possono anche essere affascinanti come auto americane degli anni Cinquanta portate a nuova vita. Mi riferisco a Cuba, naturalmente.
Ma molto più vicino a noi c’è un altro Paese che sperimenta
l’arrivo di automobili dall’estero con il contagocce. Ne parla un articolo dell’Economist
del 4 febbraio 2021. Un Paese che le auto non le produce e che non per sanzioni
o embarghi, ma per legge dal 2016 contingenta molto l’import. Si tratta dell’Algeria.
Come tanti esportatori di petrolio e gas, l’Algeria ne ha patito negli ultimi
anni il calo dei prezzi. Ma non solo: ha patito anche gli scarsi investimenti locali
nel settore, che hanno portato a produzione e export in declino. Un articolo su
Platt’s dell’8 febbraio 2021 quantifica in 400 mila barili/giorno, sul milione
totale attuale, la produzione di petrolio persa dall’Algeria in una dozzina d’anni,
mentre il gas si è contratto solo nell’ultimo anno del 9%.
Cali che hanno messo in crisi la bilancia commerciale e
indotto l’amministrazione come contromisura a limitare le importazioni di altri
beni. Recenti tentativi di insediare in Algeria fabbriche di assemblaggio di automobili
Volkswagen e Hyunday, scrive l’Economist, non hanno dato grandi risultati a
causa dei costi elevati in un contesto senza filiere adatte e, più banalmente, perché
il valore aggiunto del solo assemblaggio, limitato, può far poco rispetto al
valore delle parti d’automobili comunque importate.
Una nuova legge algerina, scrive Platt’s, mira ora a
riattrarre gli investimenti da parte dei petrolieri europei, tra cui Eni e
Total.
Certo, almeno nel gas, come abbiamo visto nella scorsa
puntata, la concorrenza non mancherà. La vicina Libia potrebbe (speriamo) risollevarsi
e riprendere appieno le esportazioni attraverso il relativamente recente gasdotto
Greestream verso la Sicilia, mentre il nuovissimo TAP pompa gas azero e le navi
metaniere portano anche in Europa la nuova capacità di esportazione dell’America.
Senza contare le prospettive di decarbonizzazione. Anni fa
si parlava di progetti mastodontici di elettricità fotovoltaica prodotta nel
Sahara da esportare in Italia o Spagna. Progetti magari improbabili a causa dei
costi d’infrastruttura e delle perdite di rete. Ma meno intempestivi, forse, di
una ripartenza del settore degli idrocarburi avviata solo oggi.
Link:
- L'articolo dell'Economist sulla limitazione di import d'automobili in Algeria (a pagamento): https://www.economist.com/middle-east-and-africa/2021/02/04/what-a-shortage-of-cars-says-about-algeria
- Tutte le puntate di Derrick sui rapporti energetici Italia-Francia: http://derrickenergia.blogspot.com/search?q=francia
- Tutte le puntate di Derrick sul gas: http://derrickenergia.blogspot.com/search?q=gas
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