Baku |
La conferenza, partita così, si è chiusa con quello che la
maggioranza dei commentatori considera un esito deludente: un accordo su una
somma di 300 miliardi di dollari all’anno fino al 2035 che i Paesi sviluppati
si impegnano a trasferire a quelli che lo sono meno, nell’ambito di un
principio consolidato nelle politiche del clima sul doppio binario dello sforzo
economico, che segue da un lato la responsabilità storica più lunga sul clima
che hanno i primi paesi a essersi industrializzati, dall’altro il fatto che per
fare investimenti servono i soldi.
C’è nel documento finale della conferenza anche una
quantificazione, relativa ai paesi in via di sviluppo, dei costi di mitigazione
(cioè riduzione delle emissioni dannose per il clima) per le azioni cui il
mondo si è già impegnato, circa 500 miliardi di $ all’anno, e di adattamento
(cioè protezione dalle conseguenze ormai acquisite dei cambiamenti climatici),
circa 300.
Manca ogni accelerazione e perfino ogni richiamo agli
obiettivi della COP precedente sull’uscita dai combustibili fossili, che quest’anno
non sono proprio citati nell’accordo finale. Non solo: l’impegno di
contenimento dell’aumento di temperatura è tornato a essere menzionato nella
sua versione della COP di Parigi, in cui il limite invalicabile sono 2° di
riscaldamento mentre gli 1,5° sono solo auspicati.
Sulla base di un articolo del penultimo Economist sui costi
della decarbonizzazione dell’economia, quest’ultimo aspetto potrebbe essere
meno nocivo di quanto sembri. L’Economist sostiene che i costi stimati della
transizione sono in genere esagerati per eccesso, e un motivo è proprio che si
rincorre un obiettivo (1,5° di riscaldamento massimo) che è pressoché già stato
mancato e che quindi ha i costi alti di ciò che è quasi impossibile. Un altro
motivo della sovrastima è che non si tiene conto del mare di incentivi alle
fonti fossili (il 7% del PIL mondiale secondo il Fondo Monetario
Internazionale) che ostacola lo sviluppo delle tecnologie verdi e quindi dovrebbe
essere considerato tra i costi dell’inazione, non delle politiche del clima. E
proprio i danni economici che subiremmo dal fallire le politiche del clima sono
secondo l’Economist la voce più sottostimata, il che contribuisce a sbagliare
per eccesso la previsione del fabbisogno economico netto delle politiche del
clima.
Link
- Informazioni sulla COP29 nel sito ufficiale UNFCCC: https://unfccc.int/cop29
Nessun commento:
Posta un commento