| Illustrazione di Paolo Ghelfi |
È capitato anche a voi di lamentarvi con qualcuno di un errore o un cattivo servizio, e sentirvi dire “abbia pazienza, non vede che sto lavorando”?
Al che a me viene da rispondere che proprio perché stai lavorando
ti ritengo responsabile di quel che fai e penso di avere il diritto, anzi in un
certo senso il dovere, di lamentarmi. Il professionismo dovrebbe essere proprio
questo, prendersi la responsabilità di ciò che si fa a prescindere dai drammi
personali che ognuno di noi ha, presumo, e che possono apparire coinvolgenti o
noiosi a seconda della nostra empatia del momento.
Non a caso le organizzazioni più serie sono quelle che sanno
ascoltare i reclami. Ho già citato qui una volta il lavoro dell’economista un
po‘ eterodosso Albert Hirshmann che nel 1970 notò come i consumatori possano
esercitare il loro potere non solo abbandonando un fornitore, ma anche facendosi
caparbiamente sentire da lui.
Ma torniamo a noi. L’incapacità durante il summit climatico
di Belem di trattare la questione dei combustibili fossili mi ricorda un
atteggiamento che ho sempre visto nei discorsi sulla politica del clima. L’atteggiamento
dell’industria delle energie fossili appunto, che è lì, rappresenta interessi
enormi e procede più o meno con il business as usual perché in fondo sta
lavorando, non fa mica filosofia, deve pur mandare avanti la baracca rispetto all’”ideologia”
di preoccuparsi del futuro.
Io in realtà motivi anche puramente economici di
preoccupazione ne avrei. Tutti gli investimenti chiaramente ridondanti per
esempio sullo sviluppo di nuova capacità di estrazione di idrocarburi come
petrolio rischiano di rivelarsi insostenibili una volta che i consumi calino, sia
che ciò avvenga perché le politiche del clima diventano stringenti (forse uno
scenario ottimistico) sia perché qualche blocco economico rilevante (un tempo
avremmo detto l’Europa, oggi vediamo che è la Cina) decide di investire in
quella direzione con una nettezza di non ritorno.
La stessa Cina però a Belem si è confusa con i BRICS a
difendere gli interessi dei produttori di energia, cosa che ha avuto come
conseguenza l’assenza del tema dell’uscita dalle fonti fossili nell’accordo
delle Parti.
Mi arrischio a prevedere che tra pochi anni invece, quando l’irrecuperabilità
degli investimenti nelle energie convenzionali sarà evidente, saranno proprio i
Paesi o investitori più esposti nel settore a chiedere che il tema sia incluso
negli accordi in modo da prevedere compensazioni economiche a fronte dei tanti soldi
buttati. La risposta a quel punto difficilmente potrà essere “potevi pensarci
prima” (come mi piacerebbe) se il settore sarà ancora rilevante abbastanza da poter
generare default a catena nell’economia.
A proposito di BRICS, trovo anche deprimente (per quanto
legittimo immagino rispetto alle regole d’ingaggio della convenzione-quadro sui
cambiamenti climatici) che la Russia, paria sanzionato nei mercati energetici
di mezzo mondo, sia stata attiva a Belem proprio per cercare unità di vedute
tra i Paesi forti produttori di energie fossili.
E com’è dunque l’accordo raggiunto? Pessimo, come notato da
quasi tutti i commentatori. Privo di avanzamenti. Certo, sì, si menzionano gli
impegni della COP di Parigi a dieci anni di distanza. Il punto 6 “riafferma l'obiettivo
di contenimento del riscaldamento” e il 27 “riconosce la necessità di azioni
urgenti per tornare in linea con il limite di 1,5°” in più rispetto all’era
preindustriale.
Dopodiché cosa volete? Lasciateci in pace, noi qui stiamo
lavorando, mica facciamo filosofia.
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