domenica 30 novembre 2025

COP 30 (Puntata 697 in onda il 2/12/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi

È capitato anche a voi di lamentarvi con qualcuno di un errore o un cattivo servizio, e sentirvi dire “abbia pazienza, non vede che sto lavorando”?

Al che a me viene da rispondere che proprio perché stai lavorando ti ritengo responsabile di quel che fai e penso di avere il diritto, anzi in un certo senso il dovere, di lamentarmi. Il professionismo dovrebbe essere proprio questo, prendersi la responsabilità di ciò che si fa a prescindere dai drammi personali che ognuno di noi ha, presumo, e che possono apparire coinvolgenti o noiosi a seconda della nostra empatia del momento.

Non a caso le organizzazioni più serie sono quelle che sanno ascoltare i reclami. Ho già citato qui una volta il lavoro dell’economista un po‘ eterodosso Albert Hirshmann che nel 1970 notò come i consumatori possano esercitare il loro potere non solo abbandonando un fornitore, ma anche facendosi caparbiamente sentire da lui.

Ma torniamo a noi. L’incapacità durante il summit climatico di Belem di trattare la questione dei combustibili fossili mi ricorda un atteggiamento che ho sempre visto nei discorsi sulla politica del clima. L’atteggiamento dell’industria delle energie fossili appunto, che è lì, rappresenta interessi enormi e procede più o meno con il business as usual perché in fondo sta lavorando, non fa mica filosofia, deve pur mandare avanti la baracca rispetto all’”ideologia” di preoccuparsi del futuro.

Io in realtà motivi anche puramente economici di preoccupazione ne avrei. Tutti gli investimenti chiaramente ridondanti per esempio sullo sviluppo di nuova capacità di estrazione di idrocarburi come petrolio rischiano di rivelarsi insostenibili una volta che i consumi calino, sia che ciò avvenga perché le politiche del clima diventano stringenti (forse uno scenario ottimistico) sia perché qualche blocco economico rilevante (un tempo avremmo detto l’Europa, oggi vediamo che è la Cina) decide di investire in quella direzione con una nettezza di non ritorno.

La stessa Cina però a Belem si è confusa con i BRICS a difendere gli interessi dei produttori di energia, cosa che ha avuto come conseguenza l’assenza del tema dell’uscita dalle fonti fossili nell’accordo delle Parti.

Mi arrischio a prevedere che tra pochi anni invece, quando l’irrecuperabilità degli investimenti nelle energie convenzionali sarà evidente, saranno proprio i Paesi o investitori più esposti nel settore a chiedere che il tema sia incluso negli accordi in modo da prevedere compensazioni economiche a fronte dei tanti soldi buttati. La risposta a quel punto difficilmente potrà essere “potevi pensarci prima” (come mi piacerebbe) se il settore sarà ancora rilevante abbastanza da poter generare default a catena nell’economia.

A proposito di BRICS, trovo anche deprimente (per quanto legittimo immagino rispetto alle regole d’ingaggio della convenzione-quadro sui cambiamenti climatici) che la Russia, paria sanzionato nei mercati energetici di mezzo mondo, sia stata attiva a Belem proprio per cercare unità di vedute tra i Paesi forti produttori di energie fossili.

E com’è dunque l’accordo raggiunto? Pessimo, come notato da quasi tutti i commentatori. Privo di avanzamenti. Certo, sì, si menzionano gli impegni della COP di Parigi a dieci anni di distanza. Il punto 6 “riafferma l'obiettivo di contenimento del riscaldamento” e il 27 “riconosce la necessità di azioni urgenti per tornare in linea con il limite di 1,5°” in più rispetto all’era preindustriale.

Dopodiché cosa volete? Lasciateci in pace, noi qui stiamo lavorando, mica facciamo filosofia.

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