martedì 25 novembre 2025

IA e scuola (Puntata 696 in onda il 25/11/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

L’ultima volta ho chiuso parlando dell’uso dell’intelligenza artificiale nella didattica, e l’Economist cosa fa? Piazza subito dopo un articolo (link sotto) che riprende la questione e secondo me merita di essere riferito.

Parla di una sorta di riflusso di scuole e università, soprattutto nei paesi ricchi, contro l’uso delle tecnologie digitali in classe. Non solo per evitare che si bari agli esami scritti, ma anche per interrompere la continua distrazione che deriva dai dispositivi. Justin Reich, direttore all’MIT del Teaching Systems Lab, dice che da ampie ricognizioni negli USA emerge che sistematicamente nelle high school e perfino al college i compiti a casa sono fatti dagli studenti con sistemi automatici. Chi vi parla si arrischia a confermare che da noi è lo stesso.

Diverse scuole, scrive l’Economist, stanno riadottando per reazione perfino carta e penna e chiedono lavori scritti a mano. Almeno l’apprendimento dell’amanuense così dovrebbe arrivare, commento io.

Ma torniamo all’Economist: anche i genitori, scrive, sono spesso d’accordo sul ritorno a classi vecchio stile, ma talvolta sono gli istituti scolastici a non poterselo più permettere perché i metodi di verifica tradizionali, come gli esami orali, richiedono troppo personale docente, mentre cavarsela con prove scritte magari da fare a casa in forma di presentazioni Power Point è più semplice. Lo stesso vale per classi di dimensioni sufficientemente piccole a rendere l’interazione possibile e in grado di coinvolgere tutti gli allievi: richiedono più insegnanti, e capaci di farlo.

Insomma, nell’era dell’AI che efficientizza, tornare alla didattica tradizionale, diciamo così, significa spendere di più, e non tutti se lo possono permettere. Il che fa il paio alla triste tendenza, non difficile da osservare, per cui i genitori con meno risorse finiscono per abbandonare i figli a un uso più massiccio del cellulare. E il problema non è internet in sé, naturalmente, bensì il modo diabolico con cui le varie piattaforme, anche usando protocolli di intelligenza artificiale, ci imbottiscono di serie ininterrotte di minivideo che sembrano studiati per inertizzarci e farci bere uno spot pubblicitario ogni trenta secondi. (Tra parentesi, non ho mai capito perché le pubblicità, già infestanti di loro, debbano anche essere così idiote. Più volte io da utilizzatore ho accettato di far accedere i vari Google a informazioni più vaste sulle mie interazioni sperando poi di essere trattato non più come un cretino, ma non ha funzionato).

Tra i genitori, sono quelli più benestanti e istruiti a desiderare meno tecnologia in classe, afferma Anne Maheux dell'Università della Carolina del Nord a Chapel Hill. Un rapporto del Pew Research Centre di dicembre 2024 ha rilevato che negli USA il 58% degli adolescenti ispanici e il 53% di quelli neri dichiaravano di essere quasi costantemente connessi a internet, rispetto al 37% degli adolescenti bianchi.

Un digital divide al contrario, commenta l’Economist.

“Forse la cosa migliore che possiamo fare oggi in classe è dare ai giovani il dono di un tempo senza distrazioni”, chiosa Reich dell’MIT.

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