mercoledì 30 luglio 2025

Riprendiamoci lo spazio (Puntata 682 in onda il 29/7/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

Come sarebbero le nostre città senza automobili? È un tema già toccato in diverse puntate, una dell’aprile 2020 (link sotto) quando osservavo le auto inutilizzate per il covid impolverate parcheggiate sulle strade del mio quartiere, lì inutili a occupare almeno metà della carreggiata disponibile. Sarebbero mai più state usate? In quel clima di incertezza sembrava possibile che ci aspettassero novità radicali, che si potesse approfittare della crisi per liberarci di alcuni ferri vecchi.

Delle cose sono cambiate, ma non – perlomeno in Italia – l’invasione di scatolette metalliche perlopiù ferme in città o in lento movimento a intasarne e inquinarne le strade.

Senza le auto private i trasporti pubblici di superficie avrebbero bisogno di meno mezzi a parità di persone spostate, perché le corse sarebbero più brevi grazie all’assenza del traffico. Camminare o andare in bici sarebbe ancor più piacevole rapido e sicuro. Avremmo un’infinità di spazio in più da usare per attività più intelligenti rispetto a un immenso parcheggio. Io vivo a Roma nel quadrante sud della città e mi sposto spesso nella parte opposta. Coi mezzi ci metto più di un’ora, in bicicletta la metà. Ma se non dovessi schivare le principali arterie automobilistiche impiegherei ancora meno tempo e sarebbe più bello (già ora, malgrado tutto, lo è).

Se anche continueremo a usare un po’ di auto private, con la guida autonoma sarà possibile sfruttare ogni veicolo di più e condividerlo anziché lasciarlo fermo a occupare spazio.

Il capitale e lo spazio allocati in città nelle automobili private (e nel caso di quelle a combustione la loro tecnologia così arcaica) mi sono sempre sembrati così incongrui. Eppure tanto connaturati nelle nostre abitudini e nella nostra economia tanto che proporre di sbarazzarsene sembra una bestemmia.

Non a Giovanni Mori, ingegnere, già portavoce italiano dei Fridays for Future e candidato europarlamentare che sta promuovendo questa e altre innovazioni nell’ambito di un’iniziativa chiamata Italia Impossibile (link sotto). (Si noti l’assonanza con le “Camminate Impossibili” di Derrick in cui ho provato a muovermi a piedi o in bici in zone urbane dove sembra che questa opzione non sia stata nemmeno lontanamente presa in considerazione nel disegno urbanistico).

Sentiamo allora proprio Mori:

https://youtu.be/EJvfsJef8KY?si=GzLgfOuc1eLjoGsv&t=130

Grazie Giovanni Mori.


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venerdì 25 luglio 2025

Dov'è finito il "train manager"? (Puntata 681 in onda il 22/7/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Illustrazione di Paolo Ghelfi

La volta scorsa grazie a una segnalazione di Manuele Aufiero abbiamo indagato il fatto che un punto vendita Bricocenter di Milano si fosse rifiutato di ritirare per il riciclo una batteria auto esausta contestualmente all’acquisto di una nuova. Ci sembrava strano e quindi abbiamo raggiunto via mail Adriano Aureliano Ciarletti, direttore generale di Bricocenter in Italia, il quale immediatamente ha risposto che quanto successo non è quel che loro prevedono, e che tutti i negozi devono ritirare le batterie usate. Ottima notizia, siamo grati a Ciarletti per questa interazione. Per favore ascoltatori o lettori di Derrick avvisatemi se capitassero altri casi in cui la promessa, diciamo così, non è rispettata, o casi che riguardano negozi di altre ditte..

La questione batterie al piombo non si è esaurita, perché nel punto vendita di un’altra azienda, Bricofer, a Roma in via di Donna Olimpia, mi è stato detto che il ritiro viene fatto solo di batterie effettivamente vendute dal negozio. Che di fatto equivale a negarlo nella generalità dei casi. Sto cercando di mettermi in contatto con Massimo Pulcinelli, amministratore unico e verosimilmente proprietario o comproprietario di Bricofer, figlio se ho capito bene del fondatore. Appena ho notizie ne parleremo.

C’è poi un altro disservizio su cui avevo promesso aggiornamenti, riguardo alle condizioni vessatorie dei biglietti elettronici regionali di Trenitalia che anche per i treni metropolitani permettono l’ingresso solo nello specifico treno acquistato almeno cinque minuti prima dell’orario di partenza, e non nei successivi o precedenti, cosa che impedisce di prendere un treno all’ultimo momento o di prenderne uno in ritardo ma che ci torna comodo (per esempio in caso di ritardi a catena su una linea il biglietto non ci permette di salire sul precedente in ritardo. Cos’è se non un dispetto ai clienti?).

Pochi giorni fa viaggiavo (col biglietto giusto) su un regionale partito e arrivato con più di un’ora di ritardo, e nel gelo dell’aria condizionata io e gli altri seccati passeggeri ci chiedevano dove fosse il cosiddetto “train manager” (Trenitalia si esprime così) che secondo un’ulteriore vessazione dei biglietti regionali deve necessariamente vidimare il biglietto elettronico per dar diritto alla compensazione in caso di grave ritardo. Guarda caso però il train manager non c’era. Come succede spesso, quando ci sono disservizi nei regionali i controllori, o capitreno che siano, si nascondono. Mi sono allora improvvisato rappresentante dei viaggiatori vessati e ho iniziato a bussare nell’unica porta dove il soggetto (mai visto in un’ora e mezza di viaggio) poteva essersi ficcato: la cabina del macchinista.
La train manager a quel punto è uscita, e alla mia domanda di perché fosse scomparsa ha avuto il coraggio di dirmi che si era messa lì dentro proprio per farsi trovare. Ora alle domande da fare al management Trenitalia si aggiunge questa:  perché un biglietto che si può usare in un solo treno e non modificare dopo la sua partenza ha bisogno di una vidimazione per ricevere il pur magro (vedremo quanto) rimborso?

Comunque, volevo riferirvi che anche Giampiero Strisciuglio, amministratore delegato di Trenitalia, e il suo ufficio stampa stanno facendo come la nostra train manager: si sottraggono per ora alle mie richieste di spiegazioni da condividere su Derrick. Speriamo ci siano novità positive in futuro.


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martedì 15 luglio 2025

Riciclo batterie al piombo (Puntata 680 in onda il 15/7/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Le batterie al litio sono diventate molto popolari. Alimentano anche i veicoli elettrici e l’industria del riciclo si prepara a quando i volumi di quelle esauste diventeranno rilevanti. Ma che ne è stato delle classiche batterie al piombo che abbiamo in ogni auto tradizionale? Nulla: sono sempre lì e – sorpresa – sono ancora anche in gran parte delle auto elettriche moderne per alimentarne i circuiti a bassa tensione. (Curiosità: la Panda Elettra del 1990 usava le batterie al piombo anche per la trazione).

Su queste batterie l’industria del riciclo è matura e profittevole, il che ne rende la dispersione nell’ambiente, ma anche il conferimento coi rifiuti urbani, non solo vietati perché dannosi (il piombo e gli acidi usati come elettroliti sono tossici), ma anche insensati economicamente. Tant’è che oltre al consorzio obbligatorio esiste almeno un’azienda (Rebat) che le ritira su appuntamento e le paga anche (attenzione: non ho provato, mi baso su quanto scrive il sito che metto sul blog di Derrick).

Qualche giorno fa ricevo questo vocale da Manuele Aufiero, ingegnere nucleare e imprenditore milanese nel campo dell’energia che conosco per una collaborazione su un altro tema.

[Vocale di Manuele Aufiero e parte successiva della puntata]

Aufiero poi racconta che il punto vendita si è rifiutato di ritirare la sua vecchia batteria e che il responsabile presente in quel momento lo ha motivato sulla base di una direttiva interna. Io ho provato in un altro punto vendita milanese di Brico, quello in via Corsica, dove l’addetto del reparto ha detto che invece sì le batterie le ritirano, ma non ne avevo una per metterlo alla prova. Aufiero ha fatto un’ulteriore verifica nel punto vendita di via Washington a giorni di distanza e un diverso dipendente gli ha ripetuto che no: hanno ricevuto istruzioni di non ritirare batterie esauste.

Ora, la legge, in Europa e in Italia, prevede l’obbligo di chi le vende di ritirare le batterie al piombo usate e di conferirle correttamente per lo smaltimento. Per questo l’episodio raccontato da Aufiero è rilevante e preoccupante.

Derrick sta cercando di mettersi in contatto con Barbara Casartelli e Adriano Ciarletti [in precedenza avevo scritto erroneamente il nome di un precedente incaricato, mi scuso con entrambi], rispettivamente capa della sostenibilità e direttore generale di Brico Italia, entrambi invitati alla futura puntata con cui chiuderemo spero positivamente il caso. Nel frattempo, ascoltatori e lettori cui sia stato negato il ritiro di batterie al piombo da negozi che le vendono sono invitati a scrivere a derrick.energia@gmail.com.

Per ora oltre a Manuele Aufiero ringrazio per la consulenza alla puntata Silvia Bodoardo, ordinaria di elettrochimica al Politecnico di Torino e già nota a questi microfoni, e Attilio Piattelli, un altro ingegnere nucleare e imprenditore dell’energia, oggi presidente di Coordinamento FREE. Eventuali errori, naturalmente, sono mia responsabilità ed è importante per Derrick riceverne notizia.

Ciarletti ci ha poi risposto. Ne abbiamo parlato in questa puntata.

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martedì 8 luglio 2025

Nomine collegio ARERA 2025 (Puntata 679 in onda l'8/7/25)

Illustrazione di Paolo Ghelfi
Questa puntata si può ascoltare qui.

Scade ad agosto [2025] il collegio dell’ARERA, l’Autorità indipendente su energia, rifiuti, servizio idrico. È un organo della Repubblica il cui collegio è nominato su indicazione del Parlamento, e ha il dovere di essere indipendente dal Governo e dai soggetti che regola o vigila.

Perché è importante questa indipendenza, oltre all’efficacia, di ARERA?

Partiamo da un episodio. A inizio luglio [2025] l’ARERA ha pubblicato uno studio sulla competitività del mercato all’ingrosso dell’elettricità che – in modo a mio avviso fin troppo paludato ma con indubbia rilevanza – afferma l’esistenza di indizi di comportamenti anticompetitivi dei produttori elettrici che potrebbero aver determinato nel 2023 e 2024 un prezzo più alto dell’ordine di grandezza della decina di euro medi (e del dieci per cento del totale). Elettricità Futura, principale associazione dei produttori associata a Confindustria, ha immediatamente reagito con un attacco alla stessa Autorità.

Senza commentare lo stile della reazione, è buon segno se i soggetti regolati o vigilati temono gli interventi dell’Autorità e se il Governo non si sente in grado di influenzarli nell’ambito delle prerogative dell’Autorità stessa.

Per molti motivi. Provo a enunciare solo i primi che mi vengono in mente:

1) Il Governo è azionista di maggioranza di Eni ed Enel, due colossi dell’energia. Questo lo pone in conflitto di interessi tra massimizzazione del dividendo economico e promozione della concorrenza, e quindi dell’economicità dell’energia. È un problema in una democrazia liberale che Eni e il Governo, per esempio, si muovano tipicamente insieme in politica estera, a meno di ipotizzare che quel che è bene per l’Eni lo sua per l’Italia, cosa che si può probabilmente escludere riguardo a qualunque singola azienda e ancor più a una che si occupa di energie fossili mentre il Paese deve raggiungere gli obiettivi di transizione stabiliti nel piano energia-clima.

2) Bollette: sono un oggetto complicato. Un po’ esito di mercati competitivi, un po’ di redistribuzione di partite regolate sui cui s’incanala una quota rilevante di welfare e di politica industriale (due esempi: il bonus energia e gli aiuti ai consumatori energivori). Mentre sulla parte di mercato abbiamo come consumatori l’interesse all’effettiva concorrenza, sulla parte regolata, di natura pubblicistica ma al difuori della legge di Bilancio, serve un organo indipendente che controlli queste partite per evitare che diventino una specie di bilancio-ombra (economicamente rilevantissimo peraltro) gestito dal Governo senza trasparenza.

3) Le infrastrutture. Le reti dell’energia sono un elemento critico di sicurezza e competitività e un settore economicamente sempre più rilevante. Se ne occupano monopolisti regolati locali e nazionali, questi ultimi malgrado il controllo pubblico posseduti prevalentemente da fondi internazionali il cui interesse non è che le reti siano efficienti, ma che vi si investa il più possibile ribaltando in bolletta il più possibile. È compito dell’ARERA trovare il giusto equilibrio tra incentivo agli investimenti necessari ed efficienza, e vigilare affinché gli operatori di sistema non sfruttino le proprie prerogative di concessionari per avere vantaggi in settori attigui ma in concorrenza. Su questo non direi che ARERA abbia sempre brillato fino a ora, ma a maggior ragione non possiamo permetterci niente di meno che collegi forti per limitare investimenti inutili (per esempio sulle nuove infrastrutture gas), rendere efficienti e selettivi quelli sull’elettrificazione e arginare le ambizioni di Snam e Terna di determinare la politica energetica che spetta a Parlamento e Governo.

4) Clima. Se un politico ha il diritto di sparare boiate in materia, e vediamo quanto per alcuni di loro questo sia tristemente il fulcro del marketing elettorale, un’Autorità della Repubblica che si occupa di settori per il clima così rilevanti può e deve vigilare sulla coerenza della politica di questi settori rispetto agli accordi internazionali e agli obiettivi nazionali di transizione e in generale alla tutela dell’ambiente prevista in Costituzione.

Per il nuovo collegio di ARERA servono persone sia competenti sia autorevoli, capaci da un lato di usare con impatto il potere regolatorio in settori così tecnici, dall’altro di resistere quando serve alle lusinghe di operatori e Governi. A maggior ragione per le forze parlamentari di opposizione, in un contesto ormai annoso di ridotta agibilità parlamentare a fronte di Governi-legislatori per decreto, si tratta di una partita fondamentale.

Successivamente alla pubblicazione di questo testo è arrivato il commento di Luca Lo Schiavo, già dirigente ARERA, che ringrazio. Lo riporto anche qui di seguito:

C'è anche un altro motivo importante per assicurare che i componenti del nuovo Collegio abbiano le elevate competenze di settore previste dalla legge 481/95: [...] il confronto con le altre autorità europee in sede Acer [l'autorità di coordinamento UE delle autorità energia] [...]. Il rappresentante di Arera nel BoR di Acer non può balbettare. Ne abbiamo scritto, con Diego Gavagnin (ex dirigente Arera come me) qui: ARERA: a Che Serve l’Indipendenza | l'Astrolabio https://share.google/V7FbL4JpTeIcg1Nd1