Rupert Darwall pochi giorni fa su The Wall Street Journal
Europe ha scritto un commento velenoso circa la recente svolta della politica
energetica del Regno Unito. Che succede nel Regno Unito? Succede che il governo
Cameron sta iniziando a tradurre in norme applicative un documento di indirizzo
di qualche tempo fa, che prevede un consistente ripensamento della politica
energetica britannica, con introduzione di forme di programmazione prima
assenti in quel che è stato di gran lunga il primo mercato energetico europeo a
liberalizzarsi, indicando ai tempi la strada al resto dell'Unione Europea.
I punti salienti della riforma inglese sono direi un paio:
1) La riforma e il potenziamento del sostegno alle produzioni energetiche a bassa emissione di CO2 (nucleare incluso) con anche una carbon tax integrativa all'obbligo di acquisto di permessi di emissione già in vigore in tutt'Europa.
2) L'introduzione di sistemi di supporto alla realizzazione di capacità di generazione elettrica che superino lo spontaneismo degli investimenti privati in sola risposta ai prezzi di breve periodo dell'energia.
Si tratta di misure che, evidenza Darwall, presuppongono,
oltre che la necessità di perseguire in modo più efficace la lotta ai
cambiamenti climatici, anche prospettive di prezzi crescenti per l'energia, da
cui il bisogno di dotarsi di capacità produttiva prima e più di quanto
farebbero i mercati spontaneamente.
Darwall fa un parallelismo tra la scelta inglese e le misure
pro-indipendenza energetica del presidente americano Carter nel '77, che – a
parte forse alcune reazioni al primo shock petrolifero – furono all'avanguardia
in termini di visione pro rinnovabili e pro efficienza energetica (curioso che
la Casa Bianca installasse allora pannelli solari sul tetto, in seguito
smontati e – scrive Darwall, non più rimontati).
Carter in particolare ce l'aveva con la dipendenza
dall'importazione di energia, cosa che forse si legava anche alla divisione in
blocchi del mondo di allora. Ma l'autarchia energetica, scrive Darwall, non è
meno sbagliata e dannosa di quella in qualsiasi altro settore. Derrick in
questo stracondivide: non si capisce, o non del tutto, perché in un mondo
globalizzato occorra spaventarsi se si è importatori di energia più di quanto
lo si faccia riguardo ad altre importazioni comunque vitali, per esempio beni
alimentari, commodity minerarie o chimiche, prodotti elettronici.
Insomma: mi piace Darwall quando stigmatizza il mito
dell'autonomia energetica. Ma dietro la logica del governo Cameron, e in
generale dietro a quella dell'efficienza energetica e della decarbonizzazione,
c'è un tentativo di affrancamento più generale: quello dalle prospettive future
di scarsità di fonti energetiche fossili e di qualità dell'ambiente. In questo
senso, se d'autarchia si tratta, lo è a livello globale, non regionale o
nazionale. Un desiderio al quale conviene attenersi, almeno finché non saremo
in grado si colonizzare altri pianeti ricchi di risorse.
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