Quando l’imposta non è verde - Fisco e parafisco dell’energia nell’era del
petrolio a buon mercato
(di Michele Governatori - Apparso su QualEnergia n.1/2015)
Imposte sui redditi, imposte sui consumi e sui comportamenti
L’Italia tassa i redditi (quelli noti al fisco, s’intende)
più della media UE. Questo vuol dire che un cittadino o un’azienda onesti hanno
meno interesse ad aver successo economico in Italia che altrove. E infatti in
un contesto europeo integrato è sempre più verosimile che un giovane
professionista o imprenditore sicuri del proprio potenziale decidano di
andarsene altrove. Così come è sempre più probabile che una persona di reddito
medio-alto decida di andare a vivere fuori dal Lazio per non pagare l’addizionale
record d’Italia (e un punto secco in più nel 2015: i fortunati residenti l’avranno
notato con ribrezzo con lo stipendio di gennaio).
Ma qual è l’alternativa a un’aspra tassazione dei redditi? Già
nel 2011 la Banca d’Italia (con un documento a firma del poi sottosegretario
Vieri Ceriani reperibile sul sito della Banca)
consigliava al Governo di rivedere la tassazione spostandone una parte ulteriore
dai redditi ai consumi, e lo stesso faceva sempre nel 2011 la BCE in una delle
sue richieste nella famosa lettera al Governo Berlusconi.
Anche tassare i consumi, naturalmente, ha le sue
controindicazioni. In particolare, è distorsivo tra le categorie di beni
assoggettate a diverse aliquote d’imposta. Ma l’effetto finale torna positivo
se le distorsioni indotte dall’imposta al consumo ne bilanciano altre già
esistenti, per esempio perché correggono esternalità ambientali. Per questo, se
ben bilanciate, le imposte “ambientali” sui consumi possono essere un’ottima
soluzione per introdurre segnali virtuosi in modo non troppo dirigista e nello
stesso tempo permettere di alleggerire il peso sui redditi. Con il risultato di
dare più potere d’acquisto a chi abbia voglia di mutare i propri comportamenti.
Imposte ambientali: rendiamole davvero ecologiche (ed efficienti)
Appartengono alla definizione di imposte ambientali, per
esempio, le accise a prodotti energetici il cui consumo provoca effetti
negativi all’ecosistema. Peccato che, in Italia e non solo, esse vengano
applicate in molti casi con modalità controproducenti dal punto di vista
ecologico. Il caso più clamoroso è quello delle accise sui carburanti che
vedono forti sconti proprio per i consumatori più intensivi: quelli per i quali
il prezzo è più critico per attivare investimenti in efficienza nei consumi. Una
persona comune che fa un pieno di gasolio da 50 litri paga per la stessa
quantità oltre 10 Euro più di un TIR, per esempio. Cioè sussidia i tubi di
scappamento più grossi. L’accisa diventa quindi un’imposta assai poco ambientale,
che si trasforma in uno dei sussidi dannosi all’ambiente secondo la
classificazione dell’OCSE, e che l’OCSE stessa con la sua Environmental Performance Review del 2013 ha raccomandato al
Governo italiano di eliminare.
La necessità di una revisione in chiave ecologica della
fiscalità del resto è anche nella legge italiana. Lo dice la delega fiscale del
marzo 2014 all’articolo 15. Peccato la norma subordini la revisione
all’approvazione della nuova direttiva UE sulla tassazione dei prodotti
energetici, che la neonata Commissione di Schultz ha messo fuori dall’agenda. Così
l’obbligatorietà della riforma è bloccata, a meno che non passi una proposta di
modifica alla delega fiscale come quella di Legambiente e Radicali Italiani nell’iniziativa
#menoinquinomenopago, presentata alla Camera con prima firma dell’on. Oreste
Pastorelli e firme aggiuntive di una quindicina di deputati.
Il legame tra sistema fiscale e sussidi, in particolare
legati all’energia, è evidente, se è vero che uno sconto d’imposta genera un
vantaggio competitivo quanto un sussidio. La riforma ecologica del fisco quindi
deve avvenire insieme a una revisione di tutti i sussidi, in modo che l’effetto
complessivo sia di internalizzare le esternalità oltre che di perseguire la trasparenza
fiscale. E non solo: bisogna mettere mano anche al sistema della parafiscalità
delle bollette, dove si annidano sussidi ai grandi consumatori e a quelli più
intensivi che sono più l’esito stratificato di singoli interventi di aiuto, e
conseguenti reazioni, che di una visione lineare.
Un caso emblematico della
guerra nei sussidi dell’energia è stata la prevedibile reazione dei settori
energy intensive non manifatturieri a una delle norme di sconto politico sul
prezzo che avvantaggiava solo i loro concorrenti manifatturieri.
Il governo Renzi ha iniziato a metter mano al sistema dei
trasferimenti tra categorie di consumatori delle bollette, ma non ancora nel
modo più coerente e radicale, che sarebbe quello di far pagare il costo totale
dell’energia (esternalità e oneri di sistema diretti inclusi) senza alcun
sussidio incrociato. Coerente anche con il primo punto della Strategia
Energetica Nazionale che pone l’obiettivo dell’efficienza energetica.
Riflettiamoci: come si fa a consumare in modo efficiente una
risorsa di cui si paga un prezzo politico diverso dal costo pieno?
I sussidi alle fossili di energia e la loro interazione con quelli alle
fonti rinnovabili
Come hanno scritto Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro il 21
gennaio sull’Huffington Post, gran
parte dei sussidi da eliminare nell’energia sono quelli alle fonti fossili, che
una volta tolti possono comportare possibilità di alleggerimento anche di
quelli alle fonti rinnovabili.
Saravalle e Stagnaro, come già la Banca Mondiale nel suo
ultimo Global Economic Prospects e il
Fondo Monetario Internazionale con dichiarazioni di Olivier Blanchard,
affermano che il prezzo eccezionalmente basso del petrolio è un’occasione d’oro
per procedere alla revisione dei sussidi dell’energia, perché la riduzione dei
prezzi dei prodotti energetici fossili rende assorbibile un taglio degli aiuti
al loro consumo.
Più complessa a parere di chi scrive è l’interazione lato
offerta dei sussidi all’energia col petrolio a buon mercato. Il quale rende
l’offerta più competitiva solo quando l’input del processo di trasformazione ha
un prezzo legato a quello del petrolio. In questo senso, un recentissimo parere
dell’agenzia statunitense per l’informazione sull’energia (eia.gov) afferma che
le fonti elettriche rinnovabili non dovrebbero veder danneggiata la loro
competitività dal calo del greggio, in quanto competono con produttori i cui
costi sono perlopiù non legati a quello del petrolio.
Più nel dettaglio, un articolo di Marianna Antenucci e del
sottoscritto sul volume XVI di Critical
Issues in Environmental Taxation indaga usando dati empirici del mercato
italiano come nel sistema della generazione elettrica una carbon tax
avvantaggerebbe alcune categorie di fonti rinnovabili (quelle che percepiscono
un incentivo indipendente dal prezzo di mercato dell’elettricità) e si chiede
che tipo di incentivi alle rinnovabili si adattano automaticamente alle
fluttuazioni del prezzo delle emissioni CO2 o all’intensità di una carbon tax,
elemento quest’ultimo che è ragionevole aspettarsi venga reintrodotto una volta
messa in campo la riforma del fisco cui accennavo. Maggiori informazioni sono
sul blog Derrickenergia di cui al link sotto.
In ogni caso, lato domanda e lato offerta, per fare
affermazioni conclusive in termini distributivi occorre valutare la
competitività dei mercati per capire quali parti della filiera si tengono
effettivamente l’effetto del minor sussidio e del minor prezzo del petrolio. È però
certamente condivisibile l’affermazione generale di Saravalle e Stagnaro circa
il fatto che la riduzione di un sussidio a una determinata categoria crea di
norma spazio per un “disarmo” multilaterale, per un effetto di de-escalation simmetrico a quello
descritto sopra.
Dobbiamo essere ottimisti riguardo a una possibile riforma
da parte del Governo?
Una nota positiva è l’annuncio da parte di Renzi per marzo
di un “Green Act”.
Quanto più sarà pervasivo l’intervento, toccando le regole
della parafiscalità e della fiscalità legate all’energia e all’ambiente, tanto
più potrà dare effetti positivi in termini di efficienza dei mercati e
correttezza della concorrenza, eliminazione degli incentivi dannosi
all’ambiente, naturale incentivo all’efficienza energetica.
Italia - Sconti alle accise sui prodotti energetici per settore
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Stime 2014
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Stime 2014
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Settore
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Sconto in milioni di €
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Di cui a fonti fossili
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(Stime a inizio 2014 - Ragioneria
Generale dello Stato)
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(Stime dell'autore su dati Ragioneria)
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Trasporti
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3943,3
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3757,7
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Agricoltura
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1016,5
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975,8
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Manifattura
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71,5
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71,5
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Altro
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828,4
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586,6
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Totale
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5859,7
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5391,6
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