Ho letto voci che
considero autorevoli, come quelle di Tonia Mastrobuoni e Nadia Terranova, criticare l’articolo
sul Sole 24 Ore con cui Claudio Gatti dà conto di un’indagine documentale sua e
di suoi colleghi di altre testate che porta a svelare la vera identità del nom de plume Elena
Ferrante, narratrice ormai star internazionale dell’editore romano E/O.
Gatti arriva alla sua
deduzione analizzando i bilanci di E/O, che è una società di capitali e deve
quindi depositarli, e visure catastali (che chiunque ormai può fare online
pagando piccole somme) riguardo alle proprietà immobiliari dell’autrice.
Tonia Mastrobuoni
e Michele Serra, in particolare, parlano di “diritto all’anonimato” o “all’assenza” violato per la
Ferrante.
Un'installazione a Expo 2015 |
Esiste un simile diritto
nel nostro ordinamento? Sì, nelle norme del diritto d’autore, che danno gli
strumenti giuridici a un autore per percepire compensi anche se non vuole
rivelare la sua identità.
Ma né l’ordinamento né la giurisprudenza limitano la
libertà di chiunque di informarsi e rivelare, senza violare altre norme,
l’identità di un autore che pure non lo desideri. Se così non fosse, avremmo
una limitazione della libertà d’informazione (diritto passivo di tutti noi
previsto in Costituzione) basata sul semplice desiderio dell’interessato di
essere lasciato in pace.
Oltretutto, sia la giurisprudenza sulla privacy sia
quella sul cosiddetto diritto all’oblio discriminano i personaggi pubblici,
verso i quali considerano la curiosità pubblica, chiamiamola così, maggiormente
degna di tutela.
Deve comunque un
giornalista rispettare una deontologia nel rendere pubblici dati, pur
pubblicamente accessibili, come appunto parti del bilancio di una s.r.l. o una
visura catastale? Sì, secondo il garante della privacy che ha pubblicato lineeguida in materia: il giornalista deve valutare la congruità della
diffusione delle informazioni rispetto al fatto d’interesse pubblico narrato.
E
Gatti a mio avviso lo fa: infatti non scrive a quanto ammontano i compensi trasferiti da E/O, né dov'è l'immobile dell'autrice a cui fa riferimento, né altri dati personali cui comunque ha avuto
accesso. Semplicemente scrive chi è Elena Ferrante e spiega come l’ha capito.
Risponde cioè alla curiosità indurre la
quale è uno dei fini (se non voluto, prevedibile e inevitabile, e
verosimilmente remunerativo) della scelta di anonimato editoriale.
A ben vedere nelle
censure a Gatti c’è anche un altro filone: il tabù del fare i conti in tasca
alla gente. Come se far soldi fosse un’onta. E Gatti peraltro non rivela le cifre.
Sapete una cosa? A me che
qualcuno oggi riesca a fare milioni con un romanzo sembra una notizia bella e
meritevole di pubblicità e sì, sono curiosissimo di sapere chi. E grato a chi
come Claudio Gatti sa fare giornalismo investigativo e non solo d’opinione.
Per la consulenza a questa puntata ringrazio Fabio Macaluso (qui su twitter), avvocato esperto
in diritto d’autore, di cui ha scritto in “E Mozart finì in una fossa comune” per le edizioni Egea, e autore
sull’Espresso del blog
“impronte digitali”, dove anche lui si occupa del caso Ferrante.
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