martedì 1 dicembre 2020

Le gambe corte dei rating autarchici (Puntata 463 in onda il 1/12/20)

Foto di Perla Lisset Medina
Leggo sul numero dell’Economist del 21 novembre [2020]  di alcuni recenti default di pagamento di aziende a controllo pubblico in Cina, tra cui  la Yongcheng Coal and Electricity che un mese dopo aver ottenuto da un’agenzia di rating locale la valutazione AAA non è riuscita a pagare la cedola di un’obbligazione ai suoi creditori. Un caso nemmeno isolato, che secondo l’articolo ha creato un’improvvisa inquietudine tra gli investitori istituzionali esteri che si sono resi conto da un lato di non poter affidarsi troppo al rating autarchico diciamo così, del paese, dall’altro che la proprietà pubblica in Cina evidentemente non garantisce il fatto che un’azienda in difficoltà finanziaria venga salvata con soldi pubblici. La Cina infatti non si può più permettere di salvare indiscriminatamente aziende non profittevoli, scrive il reporter da Hong Kong dell’Economist.

Rifletto sul fatto che evidentemente l’Italia sì, invece se lo può permettere, visto che aziende pubbliche strutturalmente in perdita vengono da noi mantenute in vita a fronte del semplice enunciato che fanno qualche forma di servizio pubblico, anche quando quello stesso servizio potrebbe essere benissimo offerto da altri fornitori che già sono sul mercato ma vengono tenuti fuori dalla possibilità di competere magari attraverso forme non contendibili di concessione, riserva o di protezione regolatoria.

Italia insomma più dirigista in economia della Cina, da questo punto di vista.

L’articolo mi porta anche a riflettere su un’altra cosa. Tutte le volte che, prima che la banca centrale europea anestetizzasse il mercato dei titoli di Stato comprandoli lei, l’Italia se l’è vista brutta nel collocare nuovo debito sul mercato, qualche negazionista del problema, chiamiamolo così, ha dubitato che sia accettabile che agenzie di rating internazionale possano influenzare i mercati rispetto all’affidabilità dei titoli di Stato italiani, lasciando intendere che dovrebbe essere magari proprio lo stesso Stato a dire quanto lui è affidabile come debitore. Ecco, il crollo di credibilità dell’agenzia cinese che aveva appena promosso l’azienda pubblica che poi non ha ripagato la cedola, e l’ondata di sfiducia che è seguita a quel pur limitato default, con danni all’accesso al credito anche per altre aziende, mostrano che non c’è retorica nazionale che tenga a lungo dove i mercati sono globali.

Il mancato rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali è esso stesso qualcosa che spaventa i mercati? Abbiamo visto casi in cui non è stato così. Aziende globali che hanno preferito asservirsi a comportamenti totalitaristi pur di non perdere aree d’affari a vantaggio di concorrenti. Ma credo che dove un Governo può interporsi all’autodeterminazione dei soggetti economici per motivi non prevedibili dai mercati, o limita la diffusione delle informazioni, questa incertezza finisca per danneggiare l’economia locale in termini di afflusso di capitali
esteri.

Se qualche lettore di Derrick ha in mente letteratura rilevante rispetto a quest'ultimo punto, per favore ci scriva!


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