domenica 19 novembre 2023

Banalità artificiale? (Puntata 598 in onda il 21/11/23)

Edificio incompiuto
in un'isola delle Maldive
“Serve una cabina di regia!”, “Ce la possiamo fare con la collaborazione costruttiva di tutte le istituzioni e della società civile”, “Dobbiamo portare l’alta velocità a Moncalvo!” (Dove al posto di Moncalvo mettete qualunque area d’Italia che secondo il politico di turno ha bisogno di diventare un hub di alta velocità oltre che naturalmente di avere il suo aeroporto internazionale e la sua autostrada e la sua università).

Quante volte sentiamo banalità del genere (o cretinate, scegliete voi) dai politici?

E nel mondo del lavoro non va meglio. In quanti convegni vediamo relatori mettere insieme sequenze di frasi fatte che sembrano concepite solo con il fine di non rischiare alcun errore, ossia di non dire niente che possa essere inatteso e non condiviso da qualcuno in platea e quindi creare potenzialmente grane.

Produrre questi contenuti d’arredamento è un lavoro di interpolazione di parole o narrazioni già sentite, che si considerano adatte al contesto. Un lavoro simile a quello che fanno le applicazioni che oggi chiamiamo di intelligenza artificiale: masticazione di espressioni (verbali, acustiche, visive) già viste e loro riproposizione in nuove sequenze con qualche adattamento al nuovo contesto.

Leggo in un articolo sull’Economist (link sotto) della terza settimana di novembre 2023 che la piattaforma di ebook di Amazon ha recentemente limitato a tre al giorno (sic) il numero di libri autoprodotti pubblicabili da un singolo autore. Anche sulle piattaforme di streaming musicale il materiale in arrivo si è moltiplicato grazie agli strumenti di intelligenza artificiale.

Si tratta di una minaccia per gli artisti in carne e ossa?

Non, scrive l’Economist, per quelli molto noti, che nel mare di prodotti rimasticati e scarsamente innovativi o distinguibili costituiscono una sorta di porto sicuro per chi acquista opere d'ingegno. Se mai, il problema delle star è quello di non riuscire a controllare i prodotti di contraffazione di sé, che sempre grazie all’intelligenza artificiale è possibile generare creando performance nuove, per esempio far dire o cantare a un certo volto o a una certa voce nuove cose, attraverso sorte di avatar. I quali possono moltiplicare le opportunità commerciali degli artisti famosi sempre che loro riescano a regolamentare le proprie moltiplicazioni e farsene pagare i diritti.

Quando mi sono laureato nel 1996 in economia industriale ho fatto una tesi sul mercato nascente delle televisioni commerciali in Italia che analizzava i trend del settore anche in altri paesi dove il fenomeno era partito prima. Curiosamente, emergeva che malgrado la tecnologia allora permettesse una moltiplicazione dei canali commerciali, quelli generalisti vedevano suddividere lo share tra pochi canali che erano quelli in grado di assoldare i volti più noti. In altri termini, a fronte della disponibilità di una scelta enorme e spesso di qualità bassa gli ascoltatori finivano per concentrarsi nei porti sicuri delle firme già note.

Parlando di televisione, non è certo detto che i volti noti siano quelli che hanno qualcosa da dire di innovativo o intelligente, anzi. Però è significativo come per il pubblico l’investimento di cercare cose di qualità nel mare dell’offerta tenda a diventare poco sostenibile, fino a ridurre l’investimento nello scouting, con notevole rischio per l’evoluzione culturale.

Un altro trend che mi sembra emerga dal successo delle nuove applicazioni di A.I. è qualcosa che mi rallegra molto. Questo: i produttori di contenuti ovvi sono destinati a essere sostituiti da un software. Chessò: la pubblicazione di un post buonista su linkedin per raccontare quanto l’azienda X investa sui giovani, sull’innovazione o sulla sostenibilità è qualcosa che mi aspetto faranno sempre più spesso degli algoritmi. Così come sospetto che saranno solo altri algoritmi, quelli dei profili fake, a leggerle. 

Produttori di banalità: preparatevi ad essere costretti a trovarvi un altro lavoro!


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