Chi ascolta Derrick sa che il prezzo dell’energia che
paghiamo nelle bollette è solo in parte, e una parte ormai minoritaria, legato
ai costi vivi di produzione o approvvigionamento di luce o gas. Anche perché
nell’elettricità, che viene ormai in Italia per un terzo da fonti rinnovabili,
è crescente la quota di energia che non ha costi di combustibile, bensì fissi, legati
alla realizzazione e manutenzione degli impianti stessi.
Poi ci sono gli
incentivi alle fonti rinnovabili, sempre pagati come oneri in bolletta, e i
costi delle reti, e altri minori. Si possono chiamare parafiscalità perché come
nel sistema fiscale coprono spese per servizi e infrastrutture di interesse
generale, che in questo caso afferiscono però al sistema dell’energia.
Se però le tasse si pagano sul reddito, questi oneri per la
maggior parte si sono finora pagati in base ai volumi di consumo d’energia,
benché in modo non progressivo come invece vale per le tasse sul reddito. I grandissimi
consumi di energia anzi pagano in proporzione molto meno parafisco nelle
bollette di quelli medi.
Ma che succede se uno l’energia se la produce sul tetto di
casa o con un microgeneratore autonomo? A norme attuali, dove rilevano i
prelievi dalla rete, succede che paga meno paratasse, e contribuisce meno ai
costi generali energetici. E siccome l’autoproduzione è in effetti sempre più
comune, il problema di sostenibilità economica delle infrastrutture generali si
pone.
Il 3 settembre 2015 il ministro dello Sviluppo Economico
Guidi ha firmato una risposta scritta a un’interrogazione parlamentare dei
senatori Girotto e Castaldi del M5S che criticano una riforma tariffaria
avviata dall’Autorità dell’energia che mira proprio a rendere meno legati gli oneri
in bolletta ai consumi, e più alla potenza di allaccio alla rete, cioè alla capacità
massima di prelievo o immissione.
La proposta di modifica vuol quindi far pagare più oneri non
a chi preleva tanta energia, ma a chi ha bisogno di una forte connessione alla rete
anche solo di emergenza, in caso di guasto dell’autogeneratore.
Scrive il ministero dello Sviluppo nella sua risposta ai due
senatori:
Se tutti i consumatori si autoproducessero l'energia di cui abbisognano pagando gli oneri solo in minima parte, non si capirebbe chi dovrebbe pagare questi oneri. Né si capirebbe chi dovrebbe sostenere la spesa per mantenere e ammodernare la rete elettrica.
La preoccupazione del Governo è comprensibile, ma la
soluzione di legare gli oneri alla dimensione della connessione alle reti
potrebbe rivelarsi presto inefficace o addirittura controproducente.
Infatti all’autoproduzione
elettrica diffusa (che è stata resa possibile prima dai sussidi alle
rinnovabili e poi facilitata dal calo dei prezzi degli apparecchi) potrebbe
aggiungersi l’autostoccaggio dell’energia attraverso batterie. E quindi la capacità
di produrre e consumare non contemporaneamente, affrancandosi dal bisogno di
cedere alla rete eccedenze o di prelevarne il disavanzo produttivo. Da cui, la
possibilità di staccarsi del tutto dalla rete, e diventare un’isola energetica.
Se questo succederà, e io credo che prima o poi per alcune
categorie di consumatori succederà, la platea dei percettori di bollette cui
far pagare i costi delle infrastrutture energetiche generali si ridurrà. Comprare
un kit di produzione e stoccaggio domestico di elettricità sarà come liberarsi
di un po’ di Stato. Se non del fisco, almeno del parafisco energetico.
Un problema di budget pubblico.
Ma un effetto positivo questa minaccia potrebbe averlo:
costringere i regolatori a contenere la dimensione del parafisco delle bollette,
se vogliono ritardare la convenienza dell’autarchia energetica ed evitare un
fuggi-fuggi generale.
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