Poco meno di due anni fa parlammo qui della decisione
del Governo inglese di assicurare a Electricité de France 92 sterline al MWh per
35 anni per la futura produzione di elettricità da fonte nucleare dell’impianto
da costruire a Hinkley Point. Un prezzo che è più che doppio di quello del mercato
all’ingrosso, che in Italia per esempio, passata l’afa di luglio, è tornato sotto
i 50 euro.
Sulla decisione inglese protestarono gli ambientalisti di
Greenpeace, ma anche produttori concorrenti che ravvisavano un aiuto di Stato
illegittimo, perpetrato perdipiù – aggiungo io - proprio nel Paese che inaugurò
la liberalizzazione dei mercati europei dell’energia.
La Commissione Europea invece, in quello che a me sembra l’assecondamento
di protezionismi nazionali tipico di un organo politico in difficoltà, in
questo come in altri casi recenti ha acconsentito agli aiuti. Sono i contribuenti
inglesi che però adesso iniziano a preoccuparsi, come riporta la stampa
specializzata degli ultimi giorni, tra cui l’utilissimo compendio di Luca
Tabasso su Quotidiano Energia da cui riporto:
il senior research fellow di Chatham House Antony Froggatt ha quantificato in oltre 40 miliardi di sterline i sussidi [alla nuova centrale nucleare] […]. Peter Atherton, analista della banca d'investimento Jefferies, ha calcolato […] che i 3.200 MW dei due nuovi reattori [previsti] costeranno come quasi 50.000 MW a gas: "Ciò significa che con la stessa spesa si potrebbe sostituire l'intero parco termoelettrico britannico, per gran parte obsoleto e inefficiente, con cicli combinati di ultima generazione a basse emissioni e alta efficienza", ha dichiarato Atherton al Guardian.
Aggiungo che il nuovo impianto nucleare britannico arriverebbe
comunque troppo tardi per evitare almeno parte dei costi dell’ammodernamento del
parco termoelettrico cui si riferisce Atherton.
Il Governo inglese dal canto suo ha iniziato a dare segni di
ripensamento, facilitati dal fatto che – stando a notizie di stampa recenti - nemmeno
ai prezzi pattuiti EDF e il costruttore sempre francese e di Stato Areva sembrano
in grado di garantire la fornitura.
Areva che l’anno scorso ha perso 5 miliardi di Euro e che da
sette anni non riceve ordini per nuove centrali, come scrive Gero Reuter di Deutsche Welle, e che nei suoi due canteri aperti per impianti
con la stessa tecnologia assiste a un lievitare di costi e tempi che sembra senza
fine, come abbiamo visto varie volte qui a Derrick.
Un esempio è il nuovo
generatore normanno di Flamanville: costerà almeno tre volte quanto avrebbe
dovuto, attestandosi sulla decina di miliardi di Euro, e problemi tecnici
continuano a rimandarne l’ultimazione.
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