domenica 10 maggio 2020

Primo, riaprire le scuole (Puntata 437 in onda il 12/5/20 e in replica il 2/6/20))

Illustrazione di Andrea Ucini (@andreaucini su Twitter) per The Economist
Un articolo sull’Economist del 2 maggio 2020 s’intitola: “Open schools first” e argomenta perché chiudere le scuole provoca danni, anche economici, maggiori ai benefici di riduzione del contagio.

Una questione fondamentale, forse la principale, è il ruolo della scuola nel promuovere parità di opportunità.
L'attitudine di studenti e famiglie ad assecondare la formazione a distanza è molto disuguale, e non solo per il cosiddetto digital divide: la formazione a distanza funziona ma richiede una maggior collaborazione di chi la riceve e un set di competenze già acquisite, e difficilmente permette di costruire lo stesso rapporto di fiducia e lealtà che un docente in gamba stabilisce in aula. Questo vale soprattutto per la scuola primaria, ma se ripenso alla mia formazione io ricordo ancora anche singoli sguardi, consigli, reazioni, gesti di miei insegnanti di liceo che ancora ringrazio non solo per la loro competenza, ma per aver contribuito a sviluppare il mio senso critico e i miei valori nel loro complesso.

In termini di mobilità sociale, è ampia la letteratura che mostra il ruolo decisivo soprattutto della scuola primaria. Non c’è cosa più efficace che uno Stato possa fare per aumentare le chance di benessere ai figli di famiglie disagiate, e quindi in prospettiva alle famiglie stesse, che una buona scuola.

Anna Ascani, viceministro MIUR, in un’intervista a Radio Radicale raccolta da Massimiliano Coccia il 9 maggio 2020 (link sotto, anche a un'altra precedente di Giovanna Reanda) ricorda alcune iniziative già prese dal Ministero per ridurre il digital divide e non esclude (e difficilmente avrebbe potuto del resto) che in particolare per le scuole superiori si prospetti per il prossimo anno scolastico una riduzione dell’attività didattica in presenza.
“Nessuno in ogni caso perderà l'anno” dice Ascani, affermazione che personalmente trovo preoccupante perché lega, in modo implicito, la perdita dell’anno alla perdita del valore legale dell’istruzione per quell’anno anziché al mancato raggiungimento degli obiettivi formativi.
Ma se il problema fosse non perdere il valore legale dell’anno scolastico, un 6 politico risolverebbe tutto.
Il danno grave, se mai, è quello al capitale umano perso per gli studenti (tanto che da genitore potrei avere interesse a chiedere piuttosto la ripetizione di un anno che non si sia potuto svolgere in modo efficace).

Se alcune scuole riprenderanno le lezioni frontali con classi dimezzate, è evidente che si dovrà ricorrere a nuovi docenti. È in grado il sistema scolastico di trovarli da qui a settembre o di chiedere a quelli curricolari di lavorare significativamente di più? Avrebbero i nuovi docenti le stesse competenze di quelli da affiancare, o si stravolgerebbe anche il programma di studi?
Se metà delle ore diventassero un doposcuola con meno insegnamenti scientifici o di lingua italiana avremmo probabilmente un problema in prospettiva, se è vero che quelle scientifiche e logiche, insieme alla capacità di comprendere un testo complesso, sono competenze fondamentali perché una società civile sia meno prona a fake news e a politici ignoranti.

I dati di alfabetizzazione scientifica in Italia sono in miglioramento, secondo uno studio Observa di qualche anno fa, e non è certo il caso di invertire il trend, se è vero che nel 2016 secondo lo stesso studio più del 37% del campione pensava che il sole fosse un pianeta. Con un andamento migliore dei giovani rispetto agli anziani, ai numi piacendo.


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