lunedì 4 maggio 2020

La ripresa dei trasporti (Puntata 436 in onda il 5/5/20)


Ben il 44% del petrolio è consumato nei trasporti terrestri e un altro 12% in navi e aerei. Dati della Energy Information Administration americana riportati in un vastissimo reportage di Laura Hurst su Bloomberg del 25 aprile mostrano negli USA il dimezzamento dei consumi di benzina nella prima parte di aprile 2020 in seguito alla riduzione degli spostamenti privati, mentre il calo del gasolio, più legato in America ai trasporti commerciali, è meno marcato.

Previsioni a breve di andamento dei consumi di prodotti petroliferi per mobilità sono difficili da fare, visto che ci sono due effetti contrastanti. Uno è il probabile consolidamento strutturale dell’uso delle piattaforme di telelavoro per ridurre gli spostamenti fisici dopo che abbiamo provato l’effetto che fa (come dicevamo nell’ultimo Derrick). L’altro, di segno opposto, è che ci saranno probabilmente restrizioni o anche solo remore nell’uso di mezzi pubblici di trasporto. Se guardiamo alle città, è però improbabile che ci siano spazi per un incremento del traffico a motore, perlomeno quello a quattroruote: quasi ovunque nei paesi sviluppati le metropoli si stanno attrezzando per affrancarsene e non credo proprio che sarebbe saggia una battuta d’arresto ora. Fuori città è invece forse più probabile che una parte degli spostamenti fatti in treno e in bus passi all’auto privata in attesa del vaccino. Dati dalla Cina sono abbastanza impressionanti in questo senso e hanno visto nella prima metà di aprile 2020 un incremento notevole e stabile del traffico privato a motore rispetto all’anno precedente.

Quello del traffico aereo, per quanto come abbiamo visto meno decisivo per quota di consumi, è forse il settore dei trasporti in cui è più evidente il gap tra blocco forzato di passeggeri e capacità produttiva, quest’ultima molto poco flessibile e basata sui costi fissi. Gli aerei a terra e gli aeroporti vuoti in tutto il mondo sono una situazione finanziariamente molto critica che sta già richiedendo massicci interventi pubblici (perfino l’australiano Richard Branson di Virgin, normalmente così tracotante, ha dovuto chiedere un prestito al governo britannico e anche impegnare, se ho letto bene, un’isola caraibica (sic) di sua proprietà). Di mezzo ci sono non solo le compagnie aeree, ma le banche che danno loro in leasing gli aeromobili e la stessa industria aeronautica, un duopolio globale Europa-Usa ormai completo che spazia dai grandi jet intercontinentali wide body a quelli di corto raggio dopo le recenti annessioni di Bombardier a Airbus e Embraer a Boeing e il fallimento commerciale del velleitario progetto italo-russo del “Sukhoi superjet”. Un’industria, quella dei due giganti dei jet, con stabilimenti produttivi in mezzo mondo e molto legata alla protezione e ai sussidi dei due macroblocchi UE e Usa, mentre la grande Cina non sembra attrezzata a competere in questo campo.
Forse è proprio il settore aereo, che veniva da uno stabile trend di crescita, il candidato più credibile a riprendere i suoi consumi appena si potrà volare (e del resto chiudere le frontiere per combattere un virus ormai globale ha ben poco senso, casomai aveva senso prima). Anche perché, in attesa di una diffusione di biocarburanti e carburanti di sintesi, di cui parleremo presto, gli aerei sono l’unico mezzo di trasporto che difficilmente potrà andare a elettricità a breve.


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