Il duomo di Termoli nella nebbia |
Nella
puntata 514 (qui sotto) avevamo messo in rapporto la crisi dei prezzi energetici in corso con
una reviviscenza di istinti autarchici riguardo alle politiche preconizzate per
affrontare il momento.
D’altra parte
nell’energia è quasi una costante retorica dire che “manca una strategia” e che
c’è il problema della “dipendenza” dall’estero dimenticando che
l’interdipendenza di mercati e infrastrutture, e la loro interconnessione, è
stata uno dei fulcri non solo dello sviluppo del mercato unico energetico
europeo, ma anche di investimenti per interconnetterlo con altre regioni del
mondo. Quindi la strategia energetica non solo c’è e c’è stata, ma ha puntato
proprio su questa temutissima interdipendenza (cos’altro avrebbe potuto fare in
un contesto in cui la transizione alle rinnovabili – che sono autarchiche per
loro natura – era ancora all’inizio e in cui le fonti primarie erano perlopiù
fuori dall’Europa?). Nel gas, questa politica ha portato tra l’altro a nuovi
gasdotti e nuovi porti che permettono anche all’Italia di ricevere gas, per
esempio, anche dal Quatar, dai Caraibi o dagli Stati Uniti da cui non arrivano
tubi.
Oggi però la
narrazione prevalente del Governo rispetto ai prezzi alti del gas è che serva sviluppare
giacimenti nazionali.
Ora, siccome i
concessionari di tali giacimenti già prima della crisi sapevano fare i conti e
quindi ciò che si poteva economicamente coltivare l’hanno coltivato, a maggior
ragione coi prezzi alti c’è da immaginare che continuino a farlo senza bisogno
di decreti. E se la produzione nazionale nel 2021 è stata di poco superiore ai
3 miliardi di metri cubi, cioè un’inezia rispetto a un consumo nazionale di 76
nel 2021, non è stato a causa di autolesionismo di questi operatori, bensì del
fatto che in Italia il gas, come nel mare del Nord, è da tempo in una fase di
inesorabile esaurimento, con i giacimenti che diventano via via più residuali e
costosi. Del resto lo stesso Governo stima in 2 miseri miliardi di metri cubi
l’ulteriore produzione immaginabile a breve, il che è difficile commisurare
alla retorica dell’autarchia.
Il consiglio
dei ministri del 18 febbraio 2022 ha discusso un decreto chiamato “Energia”, la
cui bozza diffusa dai giornali il giorno stesso affida al GSE, l’agenzia del
Tesoro per l’energia, di favorire contratti di lungo termine tra concessionari
di giacimenti di gas italiano per nuova capacità e imprese energivore. Quel che
non è chiaro a chi vi parla, sempre sulla base della bozza, è se lo Stato
finanzierà un prezzo politico per questi contratti, risarcendo in tal caso inevitabilmente
i produttori. Se andrà così, la retorica del gas autarchico si rivelerà sostanzialmente
la copertura d’immagine a un nuovo sussidio ai clienti – in aggiunta a quelli
già attivati dai decreti bollette fin qui per pressoché tutti i consumatori – e,
verosimilmente un sussidio anche ai produttori di gas. Una copertura di cui,
peraltro, non capisco la necessità politica, visto che già c’è un accordo
generalizzato, mi pare, riguardo agli aiuti ai consumatori.
Un articolo
apparso su Altraeconomia, a firma dell’autore di Derrick e di Francesca
Andreolli in qualità di collaboratori del think tank ECCO, approfondisce la
questione del gas nazionale come calmiere ai prezzi, ed è linkato sotto nella sezione "link".
dell’economia globale l’effetto di indisponibilità di alcuni fattori produttivi e beni intermedi esito del covid non sia ancora finito e continui ad alimentare l’inflazione come del resto molti avevano previsto. Aziende come General Electric, Siemens, Tesla, Toyota hanno riferito di dover produrre al disotto della capacità degli impianti a causa di problemi nell’approvvigionamento di beni intermedi. Nei servizi, il problema ha riguardato in particolare la disponibilità dei lavoratori, come nel trasporto aereo nel periodo di Natale e negli Stati Uniti in quello stradale, dove l’associazione delle compagnie di autotrasporto passeggeri lamenta la mancanza di 80 mila conducenti.
Il gas naturale,
abbiamo visto, è uno dei casi di beni intermedi diventati temporaneamente più
scarsi rispetto alla domanda e quindi costosi. Ed è uno dei casi, come quello
che riguarda i chip elettronici, in cui la concentrazione della produzione in
poche aree aggiunge al problema il rischio che gli oligopolisti sfruttino la
propria posizione, come la Russia.
Quale l’antidoto
nel medio periodo? Per i paesi trasformatori, che sono anche i più sviluppati
del mondo, diversificare gli approvvigionamenti e investire nella filiera dove
quella esistente non è abbastanza, creare nuove connessioni con potenziali
nuovi fornitori. Curiosamente, però, la reazione alla scarsità (cioè maggior
prezzo) di energia in qualche autorevole caso avviene nella forma di un
auspicio di autarchia che è a dir poco antistorico.
Un documento
del Copasir, commissione parlamentare per la sicurezza nazionale, arriva ad
affermare che l’integrazione dei mercati energetici e delle stesse reti elettriche
europee sia un pericolo perché un guasto in una centrale lontana potrebbe
trasferire i suoi effetti da noi. In realtà da decenni investiamo proprio perché
la rete europea sia abbastanza magliata da far sì non solo che nessuna centrale
o tratta di rete da sola possa provocare un blackout, ma che a livello internazionale
sia sempre più possibile, in coerenza con gli obiettivi climatici, consumare l’energia
più economica sulla base delle disponibilità di fonti primarie, anche se non è
strettamente quella più vicina.
Secondo il Copasir invece si starebbe diffondendo il timore di un blackout europeo (il condizionale è nel testo, che non cita alcuna fonte per quest’affermazione), e la soluzione sempre secondo il Copasir è far fare in italia impianti nucleari ad Ansaldo (che sarebbe in grado di realizzarli del tipo modulare di piccola taglia e autofertilizzanti, cioè capaci di riutilizzare il combustibile e generare poche scorie) e sviluppare il gas nazionale (che come abbiamo visto altrove avrebbe un effetto minimo in termini di minore dipendenza). Come dire, una soluzione autarchica integrata ai problemi dell’energia.
Che però non solo a mio parere non
funzionerebbe e costerebbe di più, per le ragioni espresse qui e in talte altre puntate di Derrick, ma anche ignorerebbe almeno in parte quello che
forse per il Copasir non è un problema di sicurezza altrettanto prioritario: i
cambiamenti climatici.
Commenta e
controbatte in questo senso al documento Copasir, intervistando esperti, un
articolo di Duccio Facchini su Altraeconomia, linkato qui sotto e che a sua volta contiene il link al documento commentato.
Link
- "Gas fossile italiano", di Francesca Andreolli e Michele Governatori, su Altraeconomia del 27/1/22: https://altreconomia.it/gas-fossile-italiano-conviene-svilupparlo-le-risposte-di-ecco-per-smontare-i-luoghi-comuni/
- "Sicurezza energetica: qualcuno ci salvi dai capitani Achab del Copasir", di Duccio Facchini, su Altraeconomia: https://altreconomia.it/sicurezza-energetica-qualcuno-ci-salvi-dai-capitani-achab-del-copasir/
- Dall'Economist del 29/1/22: https://www.economist.com/business/2022/01/29/why-supply-chain-problems-arent-going-away
- Le puntate di Derrick sul caro-energia 2021-2022:
http://derrickenergia.blogspot.com/2021/09/impennata-dei-prezzi-elettrici-fine.html
Il documento è stato approvato all'unanimità dai componenti del COPASIR?
RispondiEliminaNon lo so, anzi se lei ha competenza sulle modalità di approvazione sarei felice di aggiungere informazioni
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