domenica 6 aprile 2025

Dazi al gas di Trump? (Puntata 666 in onda l'8/4/25)

Illustrazione di Copilot
(che spiega la scritta "tatirri"
come un errore)
 

Questa puntata si può ascoltare qui.

Facciamo il punto sul mercato europeo e italiano del gas naturale approfittando di un eccellente articolo di Bruegel a firma Keliauskaité, Tagliapietra, Zachmann uscito il 2 aprile 2024 il cui link metto qui sotto.

Nel 2024 rispetto all’inizio della guerra l’Europa ha ridotto a 1/3 le importazioni di gas russo, malgrado l’aumento notevole di quelle via nave. Queste ultime peraltro sono le uniche in cui l’UE abbia introdotto un qualche tipo di sanzione, vietando da qualche tempo il transhipping di questo gas, cioè la possibilità di reinstradarlo verso mercati terzi. Questa limitazione riduce le possibilità della russa Gazprom di raggiungere mercati dell’Est non sufficientemente interconnessi da gasdotti in partenza dalla Siberia, e quindi dovrebbe essere un altro colpo ai bilanci già devastati di Gazprom.

Un’altra azione europea è stata all’inizio di quest’anno il non rinnovo dell’accordo di transito di gas russo sui gasdotti ucraini.

Tutto sommato un atteggiamento molto cauto da parte dell’Europa, sebbene (ma col senno di poi è facile dirlo) i numeri mostrino che l’abbondanza di infrastrutture e il calo dei consumi rispetto all’inizio della guerra avrebbero permesso di essere più duri con il gas russo senza aspettare, come di fatto è avvenuto, che fosse Mosca a chiudere perlopiù i rubinetti.

L’introduzione di sanzioni sul gas russo via tubo, tra l‘altro, come scrive Bruegel, aiuterebbe gli importatori europei a terminare unilateralmente contratti d’importazione di lungo termine con meno rischi di penali negli arbitrati che ne gestiscono le controversie.

Ma secondo Bruegel c’è un’alternativa più furba al bandire il gas russo o al limitarne le quantità con quote. E sono i dazi, un tema parecchio di moda recentemente.

I dazi non colpiscono solo l’esportatore, ma anche il consumatore del Paese che li impone, che perde una fonte competitiva di un bene. E il bilanciamento tra i due dipende dalle alternative di chi compra e di chi vende, e dai costi di chi vende. Se un esportatore non ha margini per abbassare il suo prezzo o ha alternative altrettanto remunerative per piazzare la merce, l’importatore del Paese che ha messo i dazi, se vuole ancora consumare quel bene importato, dovrà pagare un prezzo aggravato di gran parte del dazio. Ma se l’esportatore non ha validi mercati alternativi e ha ampi margini sui costi vivi di produzione, allora verosimilmente abbasserà lui il suo prezzo per difendere la quota di mercato. Secondo Bruegel, la Russia è in questa condizione per l’export di gas – soprattutto via tubo – in Europa, e quindi imporre tariffe potrebbe essere un’ottima sanzione, producendo un gettito per l’Europa senza rinunciare subito a gran parte della fornitura e senza aumentarne troppo il prezzo.

La riflessione che aggiungo io è: potremmo fare lo stesso con il gas liquefatto americano per rispondere ai dazi di Trump? Vediamo: negli USA il prezzo interno del gas è una frazione di quello eurasiatico, e il principale mercato alternativo, la Cina, ha addirittura rinunciato ad approvvigionarsi dagli USA.

Quindi ci sono margini per abbassare il prezzo e criticità nel trovare mercati alternativi. Di conseguenza sì: dazi sul gas di Trump potrebbero essere un’ottima idea. O almeno una minaccia efficace e credibile che l’imbarazzata Meloni potrebbe usare per ritrovare un po’ della sua sicurezza nei rapporti con gli USA.

Link:

lunedì 31 marzo 2025

Il doge (Puntata 665 in onda l'1/4/2025)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Oggi mi prendo un po’ di libertà rispetto all’argomento e torniamo a uno già affrontato qui in almeno un paio di puntate: Elon Musk, di cui abbiamo parlato come imprenditore e riguardo alle sue capacità di imporre svolte notevoli ai settori di cui si occupa. L’Economist ne ha fatto qualche mese fa una copertina in cui lo definiva se non sbaglio il grande “disruptor”, parola che forse non ha una traduzione esatta e la più vicina che mi viene in mente, ma suona più debole di quella inglese, è innovatore. Ma si potrebbe dire pure: demolitore in senso anche positivo, demolitore di ciò che c’è al fine di costruire, si spera, velocemente e radicalmente qualcosa di nuovo.

Ci focalizziamo sul Musk capo di fatto (ma non formalmente, e questo è inquietante) dell’agenzia per l‘efficientamento della pubblica amministrazione statunitense (DOGE). Agenzia che con un manipolo di fedelissimi a Musk sta lavorando in modo a dir poco aggressivo, con vere e proprie invasioni, a volte addirittura effrazioni fisiche o informatiche, nei vari dipartimenti o agenzie pubbliche per scoperchiarne le attività e dismettere quelle che il DOGE ritiene costi inutili. In altri casi l’invasione è stata con mail mandate a milioni di dipendenti pubblici con proposta di un piano di dimissioni oppure con la richiesta di spiegare in breve su cosa il ricettore della mail stesse lavorando negli ultimi tempi.

Bene, sapete una cosa? Se io diventassi CEO di un’azienda in effetti chiederei a tutti su cosa stanno lavorando, e lo chiederei in termini sintetici come ha fatto il DOGE. Se penso alla mia lunga esperienza di lavoro in aziende e organizzazioni molto diverse ho imparato che inevitabilmente, soprattutto quando un rapporto di lavoro è percepito come di lungo termine, chi lavora cerca di costruire attorno a sé una barriera rispetto al rischio di perdere le proprie prerogative o le proprie leve di potere, piccole o grandi che siano. Talvolta anche miserabili, ma sufficienti a perpetuare l’apparente necessità di una funzione. Quante volte ci è stato chiesto di riempire moduli con dati che altri pezzi dell’organizzazione che ce li stava chiedendo avevano già? Quante volte ho visto dipendenti, magari io stesso, scrivere note informative su qualcosa, da fornire al superiore di turno o all’ufficio adiacente, che non se ne sarebbero forse fatti nulla? E quante di queste note in ogni caso potrebbero essere scritte dall’intelligenza artificiale, che tra le prime cose che ha imparato è l’arte dei luoghi comuni né più né meno di tanti impiegati che non vogliono grane?

O invece: quante volte abbiamo visto mandare via gente per scarsa produttività? Nella mia esperienza: poche. Mentre ho visto tanti mandati via perché davano fastidio, perché volevano esercitare davvero le responsabilità che in teoria gli spettavano, anziché assecondare il potente della cordata.

Il modo migliore per farsi assumere non è fare un colloquio stupefacente, tutt’altro: è farne uno rassicurante.

Quel che ho imparato del mondo del lavoro è che una buona parte delle cose che si fanno è una rappresentazione che serve a giustificare il proprio stipendio. Poi capita anche di produrre vero valore aggiunto, ma non è la norma e addirittura può creare problemi a chi lo fa, perché per essere produttivi serve rischiare, in un modo o nell’altro.

Ma allora un’azienda o uno Stato con deficit spaventosi come possono rendersi più efficienti in termini di macchina amministrativa? Non certo chiedendo ai vari capi quali delle unità da loro guidate in realtà non servono o sono anzi dannose. Difficilmente funziona. Né è facile misurare in modo convincente il contributo di singole parti di un organismo. Ma nemmeno fare tagli proporzionali ai budget ha senso.

E quindi? E quindi non lo so. Ma penso che occorra ogni tanto un po’ di rimescolamento di carte, di distruzione delle aree di comfort perché possa rinascere qualcosa di più agile, innovativo, efficiente. E questo ha anche a che fare con la mobilità sociale, che penso sia un ingrediente importante sia della crescita economica sia della tenuta delle democrazie.

Dare un futuro alle persone non significa necessariamente garantire quello dei pezzi di organizzazioni in cui lavorano.

Tutte le puntate di Derrick su Elon Musk qui.

lunedì 24 marzo 2025

Debito nucleare francese (Puntata 664 in onda il 25/3/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

Torniamo a parlare di energia nucleare, su cui questo blog ospita una sezione dedicata ricca di fonti qui.

Sappiamo che la Francia è uno dei paesi al mondo che usa di più l’atomo per fare elettricità e sappiamo che l’età media avanzata delle sue centrali avvicina per il Paese la questione difficile di come finanziare lo smantellamento degli impianti da chiudere e la costruzione dei nuovi che Macron ha annunciato.

Come sono stati pagati e a quale prezzo viene venduta l’energia degli impianti oggi in servizio in Francia?

Sono stati pagati dallo Stato con le tasse dei francesi. Il che rende poco sensato misurare l’economicità della macchina energetica francese guardando il solo prezzo locale di mercato dell’energia. Coerentemente, la Francia ha un programma chiamato ARENH (Accès Régulé a l’Èléctricitè Nucléaire Historique) nell’ambito del quale Électricité de France cede circa un quarto dell’elettricità delle sue centrali nucleari agli altri fornitori di energia a un prezzo politico che attualmente è poco più di 40 €/MWh, un prezzo più basso di quello medio di mercato all’ingrosso del Paese degli ultimi tempi, prezzo peraltro molto volatile che nel giorno in cui scrivo (22 marzo 2025) è di soli 30 € contro i 120 in Italia.

Cosa emerge? Che la Francia ha effettivamente prezzi (non costi) bassi dell’energia perché le centrali storiche, il cui grosso dei costi fissi è stato ammortizzato, sono state pagate non coll’attuale prezzo dell’energia, che anzi come abbiamo visto è tenuto artificialmente basso dall’ARENH, ma con le tasse pregresse dei francesi.

Ma cosa c’è da aspettarsi per il futuro? Per le nuove centrali e siti di trattamento di combustibile e scorie necessari il Governo d’oltralpe ha lanciato un piano pubblico di finanziamento dell’investimento necessario che secondo il sito Énérgies Rénouvables pour Tous (link sotto) costerà tra i 50 e gli 80 miliardi di € al contribuente.

In aggiunta a questo costo, il Governo prevede che la costruzione delle centrali sia resa economicamente fattibile per gli investitori privati dalla garanzia pubblica di acquisto di lungo termine dell’energia prodotta a 100 €/MWh, meccanismo simile a quello che ha permesso la costruzione – sempre da parte del gruppo EdF - del nuovo reattore inglese di Hinkley Point. Prezzo che secondo la fonte già citata si alza virtualmente a 160 tenendo conto del finanziamento pubblico di cui dicevo sopra.

Una riflessione che per qualche motivo non sento mai è: se l’obiettivo è fare un prezzo politico basso dell’energia, come nel programma ARENH, dove sta scritto che occorra anche farsi male in Italia producendola a costo più alto rispetto alle alternative disponibili? Se proprio si deve socializzare il prezzo dell’energia – cosa che a me non piace affatto visto che consumo e pago poco – almeno si evitino investimenti pubblici folli aumentando ulteriormente la bolletta fiscale. Così, quando sento gli entusiasmi confindustriali per l’avventura nucleare italiana mi chiedo da dove arrivi per Confindustria l’interesse, oltre che a chiedere un prezzo politico basso per gli energivori, anche ad aumentare il costo della macchina energetica nazionale.


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martedì 18 marzo 2025

Quali reti energia e a che costo? (Puntata 663 in onda il 18/3/25)

Schema di trasformatore elettrico. Da qui
Questa puntata si può ascoltare qui.

La scorsa settimana Riccardo Zucconi, parlamentare di Fratelli d’Italia, ha lanciato un allarme piuttosto rilevante di cui ho appreso da articoli su Quotidiano Energia e Staffetta Quotidiana. Zucconi nota che il collegio dell’ARERA, l’Autorità indipendente per energia e altro, sta per mettere mano a uno dei componenti con cui viene calcolato il costo del capitale sulla base del quale è stabilita la remunerazione delle reti dell’energia elettrica e del gas. La modifica comporterebbe un aumento con effetti rilevanti nelle bollette in una fase in cui i tassi di interesse di mercato (determinante fondamentale del costo del capitale investito nelle reti) sono in discesa stabile da una decina di mesi. Secondo Zucconi, la modifica in arrivo vanificherebbe questo calo. Il costo del capitale riconosciuto oggi in Italia ai gestori delle reti energia (al netto del possibile aumento) va dal 5,5% circa fino a oltre il 6,5% a seconda del tipo di cespite, mentre è impressionante notare che in Svizzera l’Autorità locale si ferma ben due punti più in basso, circa un terzo in meno.

Zucconi fa anche notare che la decisione verrebbe presa da ARERA proprio mentre si avvicina la scadenza del mandato del suo collegio, di cui si attende il rinnovo per l’estate o subito dopo in caso di proroga. E anche questo è rilevante.

Ma quanto contano i costi delle reti nelle bollette? Sempre di più, perché sempre di più con le fonti rinnovabili l’energia costa poco generarla ma di più trasmetterla in sicurezza limitando il più possibile che la rete diventi un collo di bottiglia per produzioni meno prevedibili. Per una bolletta elettricadomestica con consumi attorno ai 100 kWh/mese e una potenza installata in grado di reggere pompe di calore o elettrodomestici impegnativi, i costi di rete equivalgono oggi a quelli della materia prima energia. Non si tratta quindi di un valore irrilevante.

Ha certamente ragione quindi Zucconi a essere vigile e critico: perché da noi il capitale investito nelle reti energia è così ben remunerato?. E la domanda è da porsi a maggior ragione quando la politica ha deciso scandalosamente, con un blitz nell’ultima legge di bilancio, di rinnovare senza gara le concessioni di distribuzione elettrica, cioè il diritto degli attuali monopolisti delle reti cittadine, a continuare a operare senza gara. Rendite alte, quindi, e nessuna contendibilità.

C’è anche questo dietro al caro bollette, e le decisioni sembrano andare verso un loro aumento ulteriore.

Le cose si complicano, e richiedono discernimento, quando ci chiediamo quali investimenti vengano remunerati. Se nel caso dell’elettricità è unanime il riconoscimento che soprattutto a livello di bassa tensione serva un grande adeguamento della rete per assecondare l’elettrificazione dei consumi, per quanto riguarda il gas la costruzione di nuove infrastrutture, sia a livello di dorsali sia di reti locali, sta profilando un colossale sovrainvestimento che renderà le bollette o le tasse ulteriormente alte – e su questo a Derrick abbiamo citato vari esperti in puntate anche recenti.

martedì 11 marzo 2025

Decreto bollette (Puntata 662 in onda l'11/3/25)

Questa puntata si può ascoltare qui.

I prezzi del petrolio e del gas sono scesi rispetto ai valori della prima decade di febbraio [2025]. Riguardo ai prezzi gas a termine, probabilmente una ragione è che sembra sempre meno un tabù la prospettiva di una ripresa delle importazioni europee via tubo dall’Ucraina, che spiazzerebbe il più costoso gas via nave in particolare dagli USA proprio mentre l’amministrazione Trump pianifica di aumentarne la capacità.

I tempi della politica però sono più lenti di quelli dei mercati spot, e questa settimana il Parlamento italiano inizia le audizioni in vista della conversione in legge del decreto di contenimento delle bollette, che abbiamo menzionato solo en passant la scorsa settimana.

Gli elementi principali della misura sono:

Introduzione di un bonus di 200 € per tutti i clienti domestici di elettricità con ISEE inferiore a 25.000 €, che si aggiunge al bonus energia già in vigore per clienti con ISEE più basso.

Si tratta di una soluzione ben disegnata, perché così come il bonus a cui si aggiunge non è indiscriminata né disincentiva all’efficienza nei consumi, visto che i soldi arrivano anche se si consuma meno.

Introduzione per Acquirente Unico della possibilità di approvvigionarsi di energia anche con contratti bilaterali e non solo sulla borsa elettrica.

Acquirente Unico è un broker pubblico di elettricità che la compra all’ingrosso per rifornire oggi i clienti cosiddetti vulnerabili, che continuano ad aver diritto a una tariffa a condizioni standard paradossalmente più soggetta alle fluttuazioni di prezzo rispetto a buona parte delle offerte sul mercato libero. Questa norma appunto mira a rendere possibile la fissazione di prezzi meno volatili anche per i clienti vulnerabili. Se può sembrare una buona idea, in realtà ci sono ottime ragioni per cui il legislatore aveva invece deciso l’opposto anni fa, imponendo ad Acquirente Unico di acquistare solo sulla borsa elettrica, che è un mercato regolato e trasparente per costruzione. Ragioni volte ad evitare comportamenti arbitrari da pare di un’azienda pubblica nel negoziare bilateralmente condizioni che potrebbero rivelarsi sfavorevoli in caso di prezzi di borsa in discesa successivi alla stipula dell’accordo.

Azzeramento per 6 mesi per i consumatori non domestici di dimensioni rilevanti (potenza maggiore di 14,5 kW) della principale componente regolata delle bollette elettriche.

Qui da un lato per una volta si interviene a favore di una categoria (i clienti business non energivori) che è tra le più maltrattate del sistema regolato delle bollette, bene quindi, dall’altro lo si fa senza introdurre alcun incentivo all’efficienza dei consumi, il che è male.

Un sistema – da stabilire con norme successive – di restituzione a “famiglie e microimprese vulnerabili” del maggiore gettito IVA legato all’aumento dei prezzi del gas.

Vedremo come verrà attuata, ma è una buona idea perché non taglia indiscriminatamente l’IVA sull’energia come fu fatto in passato, ma nello stesso tempo ne calmiera l’impatto attraverso una restituzione selettiva.

Infine il decreto prevede che l’Autorità per l’Energia introduca nuove norme per aiutare la trasparenza e confrontabilità delle offerte commerciali ai clienti domestici.

Se per confrontabilità si intende disponibilità di tariffe standard semplificate, esistono già le offerte cosiddette “Placet”, attraverso cui tutti i fornitori devono proporre una formula facile a prezzo fisso o variabile rispetto all’andamento del mercato all’ingrosso. Questo decreto potrebbe essere un’occasione per aggiungere due nuove opzioni:

Una con prezzi dinamici che davvero rispecchino quello dell’ora specifica di consumo, il che darebbe incentivo a consumare quando l’abbondanza di fonti rinnovabili abbassa il prezzo, e non quando la necessità di accendere centrali a gas lo alza (cosa che tipicamente succede nelle prime ore serali).

L’altra che preveda un impegno di lungo termine di acquisto esclusivo da impianti da fonti rinnovabili con emancipazione dal prezzo del gas. Questa renderebbe possibile quel “disaccoppiamento” con il prezzo del gas di cui si parla tanto ultimamente.

In entrambi i casi il consumatore avrebbe più strumenti per favorire transizione ed economicità.

Se la norma invece prelude a limitazioni alla creatività dei fornitori nell’assecondare le esigenze dei clienti, allora potrebbe essere controproducente.

Ringrazio per questa puntata Marco Ballicu. Ogni eventuale errore è però mio, come sempre.I prezzi del petrolio e del gas sono scesi rispetto ai valori della prima decade di febbraio [2025]. Riguardo ai prezzi gas a termine, probabilmente una ragione è che sembra sempre meno un tabù la prospettiva di una ripresa delle importazioni europee via tubo dall’Ucraina, che spiazzerebbe il più costoso gas via nave in particolare dagli USA proprio mentre l’amministrazione Trump pianifica di aumentarne la capacità.

I tempi della politica però sono più lenti di quelli dei mercati spot, e questa settimana il Parlamento italiano inizia le audizioni in vista della conversione in legge del decreto di contenimento delle bollette, che abbiamo menzionato solo en passant la scorsa settimana.

Gli elementi principali della misura sono:

1) Introduzione di un bonus di 200 € per tutti i clienti domestici di elettricità con ISEE inferiore a 25.000 €, che si aggiunge al bonus energia già in vigore per clienti con ISEE più basso.

Si tratta di una soluzione ben disegnata, perché così come il bonus a cui si aggiunge non è indiscriminata né disincentiva all’efficienza nei consumi, visto che i soldi arrivano anche se si consuma meno.

2) Introduzione per Acquirente Unico della possibilità di approvvigionarsi di energia anche con contratti bilaterali e non solo sulla borsa elettrica.

Acquirente Unico è un broker pubblico di elettricità che la compra all’ingrosso per rifornire oggi i clienti cosiddetti vulnerabili, che continuano ad aver diritto a una tariffa a condizioni standard paradossalmente più soggetta alle fluttuazioni di prezzo rispetto a buona parte delle offerte sul mercato libero. Questa norma appunto mira a rendere possibile la fissazione di prezzi meno volatili anche per i clienti vulnerabili. Se può sembrare una buona idea, in realtà ci sono ottime ragioni per cui il legislatore aveva invece deciso l’opposto anni fa, imponendo ad Acquirente Unico di acquistare solo sulla borsa elettrica, che è un mercato regolato e trasparente per costruzione. Ragioni volte ad evitare comportamenti arbitrari da pare di un’azienda pubblica nel negoziare bilateralmente condizioni che potrebbero rivelarsi sfavorevoli in caso di prezzi di borsa in discesa successivi alla stipula dell’accordo.

3) Azzeramento per 6 mesi per i consumatori non domestici di dimensioni rilevanti (potenza maggiore di 14,5 kW) della principale componente regolata delle bollette elettriche.

Qui da un lato per una volta si interviene a favore di una categoria (i clienti business non energivori) che è tra le più maltrattate del sistema regolato delle bollette, bene quindi, dall’altro lo si fa senza introdurre alcun incentivo all’efficienza dei consumi, il che è male.

4) Un sistema – da stabilire con norme successive – di restituzione a “famiglie e microimprese vulnerabili” del maggiore gettito IVA legato all’aumento dei prezzi del gas.

Vedremo come verrà attuata, ma è una buona idea perché non taglia indiscriminatamente l’IVA sull’energia come fu fatto in passato, ma nello stesso tempo ne calmiera l’impatto attraverso una restituzione selettiva.

5) Infine il decreto prevede che l’Autorità per l’Energia introduca nuove norme per aiutare la trasparenza e confrontabilità delle offerte commerciali ai clienti domestici.

Se per confrontabilità si intende disponibilità di tariffe standard semplificate, esistono già le offerte cosiddette “Placet”, attraverso cui tutti i fornitori devono proporre una formula facile a prezzo fisso o variabile rispetto all’andamento del mercato all’ingrosso. Questo decreto potrebbe essere un’occasione per aggiungere due nuove opzioni:

Una con prezzi dinamici che davvero rispecchino quello dell’ora specifica di consumo, il che darebbe incentivo a consumare quando l’abbondanza di fonti rinnovabili abbassa il prezzo, e non quando la necessità di accendere centrali a gas lo alza (cosa che tipicamente succede nelle prime ore serali).

L’altra che preveda un impegno di lungo termine di acquisto esclusivo da impianti da fonti rinnovabili con emancipazione dal prezzo del gas. Questa renderebbe possibile quel “disaccoppiamento” con il prezzo del gas di cui si parla tanto ultimamente.

In entrambi i casi il consumatore avrebbe più strumenti per favorire transizione ed economicità.

Se la norma invece prelude a limitazioni alla creatività dei fornitori nell’assecondare le esigenze dei clienti, allora potrebbe essere controproducente.

Ringrazio per questa puntata Marco Ballicu. Ogni eventuale errore è però mio, come sempre.

domenica 2 marzo 2025

DDL delega nucleare (Puntata 661 in onda il 4/3/25)

Il 28 febbraio [2025], insieme al decreto per abbassare le bollette dell’energia, il consiglio dei ministri ha licenziato una proposta di legge delega con la quale il Parlamento dovrebbe dare il via alla nuova stagione di energia nucleare in Italia. Vediamo cosa sa c’è nel testo nella versione circolata immediatamente dopo il Consiglio (passibile di modifiche prima di approdare alle Camere).

Si parla di “nucleare sostenibile” non solo in termini di generazione di energia, ma anche di produzione di idrogeno, smantellamento delle vecchie centrali – da tempo presidiato da Sogin – gestione delle scorie, ricerca. Per capire cosa voglia dire “nucleare sostenibile” torna utile l’articolo 3 1 b), che parla di perseguimento di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Quest’ultima resta al momento velleitaria, visto che sia sulla base delle stime dell’Agenzia Internazionale dell’Energia sia soprattutto dell’esperienza con gli impianti recentemente costruiti il nucleare è lontano dall’economicità di solare ed eolico, a meno che non si consideri il prolungamento della vita di impianti con costi già perlopiù ammortizzati. Il ministro Pichetto Fratin alcuni mesi fa (sotto c’è il link alla puntata in cui ne parlammo) in Parlamento fece una stima di costi molto promettenti ma senza alcuna spiegazione di come fossero calcolati, e il Governo non ha più fornito che io sappia dati sulle ipotesi e sulle fonti.

Anche il processo autorizzativo degli impianti naturalmente dovrà essere regolato dalle norme che il Parlamento delegherà il Governo a predisporre sulla base di questa proposta di legge delega. L’articolo 3 1 alle lettere f) e g) prevede un titolo abilitativo unico che sostituisce qualunque altro permesso tranne la valutazione di impatto ambientale. Sembrerebbe un approccio molto centralizzato, ma la successiva lettera u) concede che le norme dovranno individuare i casi in cui le Regioni abbiano il diritto di dire la loro attraverso la Conferenza Unificata, nel rispetto, dice il testo, del “principio di leale collaborazione”. Detto in un Paese in cui è capitato più di una volta che Regioni si ammutinassero con blocchi totali dei processi autorizzativi per ben più innocui impianti da fonti rinnovabili, qui si nota molto ottimismo o, a seconda dell’interpretazione, velleitario dirigismo. Viene in soccorso però un altro passaggio che prevede campagne di informazione sull’energia nucleare e, alla lettera z), procedure di consultazione dei territori interessati. Peccato che le stesse campagne non si vedano mi pare dai tempi dello shock del 2022 su cose molto più a portata di mano, come il fotovoltaico plug-in, le comunità energetiche, l’efficienza. Ma non ho la tivù e potrei sbagliarmi, grazie in anticipo di correzioni su questo e altro.

Pochi giorni fa il Corriere della Sera ha divertito molti con l’intervista a Salvatore Majorana, direttore del “Kilometro rosso”, un centro di innovazione vicino a Bergamo, che prevede microreattori dolci (parole sue, almeno secondo Federico Fubini che firma il pezzo) privi di qualunque scoria, da mettere anche in auto o in casa. Chissà se con simili reattori sarà ancora necessaria qualunque autorizzazione. A pensarci bene non so se mi preoccupa di più un impianto industriale presidiato, o la prospettiva che il mio vicino di pianerottolo s’imbottisca di reattori portatili dentro casa.

Ma torniamo alla bozza di legge delega. Un punto che ho trovato inquietante è quello dell’art, 2 comma 1 lettera o) quando ci si riferisce all’eventualità  - non all’obbligo - di istituire un’Autorità per la sicurezza nucleare. In Francia, Paese di solito chiamato a modello nel settore e che ha una flotta di centrali perlopiù anziane di cui è difficile dire come verrà finanziato il rinnovamento o la dismissione, garantisce la sicurezza appunto grazie a un’Autorità indipendente che ha il potere di fermare una centrale al minimo dubbio sulla sicurezza, a costo di causare ingenti danni economici all’azienda energetica partecipata dallo stesso Governo che quegli impianti li costruisce e gestisce.

Speriamo che nel nostro Parlamento la maggioranza se lo ricordi quando metterà mano a questo testo.

Questo articolo si può ascoltare qui.


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sabato 22 febbraio 2025

Non bastano le nuove tecnologie (Puntata 659 in onda il 18/2/25)

Meno di due mesi fa guidavo uno scooter nella fiumana del traffico lento e impressionante di Ho Chi Min city, Vietnam meridionale, e passavo dalla sensazione d’insicurezza in mezzo a tutto quel casino al fatalismo sul fatto che seguire il flusso non fosse poi così difficile malgrado l’orda di clacson provenienti da ogni direzione.

Mi godevo l’aria calda e relativamente secca del dicembre vietnamita ma purtroppo respiravo anche chissà quanto inquinamento. Già, perché quei milioni di scooter strombazzanti e occupati perlopiù da giovani in maglietta erano pressoché tutti a combustione, manco fossimo a Roma. Non troppi giorni prima invece ero in Cina, dove i motorini con motore tradizionale sono ormai una rarità e credo proprio del tutto banditi dalle principali metropoli.

Ma torniamo a oggi. È sabato (mi riduco sempre al weekend per fare Derrick, mannaggia a me) e ho letto poco fa sull’ultimo Economist un articolo su come i produttori di auto cinesi si preparino in risposta ai dazi statunitensi a esportare ancora di più tra l’altro in Russia, Europa (altri dazi permettendo) e resto del SudEst asiatico. Ma quante delle auto cinesi complessivamente esportate sono elettriche? Circa un quarto, scrive l’Economist.

Insomma, quel che avevo notato con gli scooter, vale anche con le auto: il leader mondiale dell’auto elettrica (che intende rimanerlo e ha massicciamente investito per questo) esporta per ora soprattutto auto a combustione anche poco fuori dai propri confini. Così com’è vero che la Cina, che installa recentemente ogni anno sul suo territorio la maggioranza assoluta della capacità di produrre elettricità verde del mondo intero, mantiene la stessa leadership con le centrali a carbone.

La disponibilità di tecnologie avanzate – in questo caso rispetto alla sostenibilità ambientale – come si vede non comporta automaticamente la dismissione accelerata di quelle arretrate. Troviamo esempi anche da noi: anche a causa di folli sussidi di retroguardia, oggi in Italia gli stessi produttori di pompe di calore elettriche, più efficienti e pulite, vendono e promuovono ancora le caldaie a gas.

Un paper dell’economista Hans Verner Sinn una quindicina d’anni fa mostrò come la consapevolezza di norme future più stringenti in termini di tassazione delle emissioni di CO2 renda razionale per le imprese petrolifere accelerare, anticipandola, l’estrazione di idrocarburi.

Comportamenti economicamente sensati: fare soldi finché si può con prodotti già sviluppati, in attesa che quelli nuovi coprano tutto il mercato.

Le strategie intertemporali (razionali) dei soggetti economici dunque possono portare a risultati indesiderabili rispetto alle politiche, se queste ultime non sono abbastanza furbe da anticiparle. Restando sulla tassazione delle emissioni dannose, economisti come la star dell’MIT Daron Acemouglu sostengono che essa non basti a innescare una transizione rapida ed efficiente senza la compresenza di altre norme più impositive, per esempio standard tecnologici ambientali.

Il messaggio al legislatore è: se stai incentivando tecnologie future perché ne ritieni urgente l’adozione, forse dovresti anche pianificare l’uscita da quelle vecchie. Il perseverare anche in Italia di incentivi alle fonti fossili di energia, stabilmente più alti che a quelle verdi, non va in questa direzione.

Questa puntata si può ascoltare qui.

domenica 9 febbraio 2025

Il gas nell'era del protezionismo (Puntata 658 in onda l'11/2/25)

Torniamo a parlare di gas, perché nella prima settimana di febbraio 2025 sono state scritte e fatte cose rilevanti in materia. Intanto c’è Trump, che minaccia il mondo di dazi e nello stesso tempo si prepara a esportare più gas e petrolio, evidentemente senza considerare serio il rischio di contromosse a loro volta protezioniste dai Paesi colpiti (oppure solo per sondarne le reazioni e poi effettivamente decidere il da farsi). Nel caso della Cina una prima tranche di dazi è stata introdotta, e la reazione di Pechino ha visto nei giorni precedenti, saggi consigli da Xi Jinping a Trump in cui lo si invitava a tenere conto che i dazi fanno male a tutti, inclusi (anzi, spesso: soprattutto) coloro che li iniziano. Poi, a dazi introdotti, una reazione proprio sull’import cinese di idrocarburi statunitensi. Una mossa che probabilmente Pechino si può permettere perché non aderendo alle sanzioni al petrolio russo beneficia di prezzi scontati su questa fonte.

Il nostro ministro Urso in tutto questo ha dichiarato che “dovremmo guardare con attenzione al gas americano” e direi che stiamo già facendo di più: lo stiamo acquistando per alimentare i nuovi porti per le navi metaniere. In uno scenario però apparentemente contraddittorio in cui da un lato questi porti in Europa così come la capacità di trasporto via nave sono sottoutilizzati, dall’altro i prezzi del gas salgono. Un eccesso di capacità infrastrutturale a fronte invece di una relativa scarsità di gas.

Questo eccesso di capacità riguarda l’Europa in generale, malgrado nel 2024 si sia interrotta la tendenza di riduzione dei consumi. Anche in Germania solo una frazione minima del gas, rispetto al potenziale, è arrivata attraverso i nuovi rigassificatori galleggianti nel 2024. I contribuenti o pagatori di bollette tedeschi almeno possono consolarsi per il fatto che quelle navi-rigassificatrici sono state noleggiate, mentre la nostra attraccata a Piombino e l’altra di Ravenna le abbiamo, ahinoi, comprate.

Tra le analisi sull’eccesso di capacità di trasporto e ricezione di gas liquefatto segnalo rispettivamente Sissi Bellomo sul Sole 24 Ore del 1/2/25 e lo studio IEEFA pubblicato pochi giorni prima (link sotto).

Ma la situazione potrebbe diventare ancora più estrema se si avverasse uno scenario che di colpo sembra meno remoto rispetto a solo poche settimane fa: una riapertura dei flussi via tubo dalla Russia via Ucraina dopo la chiusura totale a inizio anno. Un’ipotesi considerata non da autori di fantapolitica ma dall’executive vice president di Equinor, la società petrolifera norvegese, in un’intervista a Laurence Walker di Montel del 5/2/25. Se si arrivasse a un armistizio, dice Irene Rummelhoff, è ragionevole che riprenderemmo a usare i tubi via Ucraina per 27 miliardi di metri cubi all’anno di gas russo verso l’Europa, il che spiazzerebbe ancor più quello liquefatto.

Si tratta di una prospettiva verosimile? Non lo so. Quel che, forse acrobaticamente, osservo è che con un Trump che si disimpegna nell’aiuto militare all’Ucraina e colpisce l’Europa coi dazi usare la leva del gas con Putin da parte dell’Europa potrebbe da un lato compensare la minor forza militare senza gli USA, dall’altro reagire ai dazi americani colpendo il gas del golfo del Messico, pardon: d’America.


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martedì 4 febbraio 2025

Autoproduzione domestica di energia - intervista a Enrico Palmieri (Puntata 657 in onda il 4/2/25)

Torna su Derrick un’intervista a persone che trasformano le proprie case in luoghi di autoproduzione di energia solare con vantaggi per l’ambiente e il portafogli.

In questa puntata tocca a Enrico Palmieri, commercialista marchigiano che ringrazio per la sua testimonianza.

L’intervista è qui

martedì 28 gennaio 2025

Michele Governatori alle radio (Puntate 655-6 in onda il 21 e 28/1/25)



Qualche volta Michele Governatori appare anche in radio diverse da Radio Radicale. È successo più volte nel gennaio 2025, il 17 con un’intervista per Radio RAI 3 nella rubrica Tutta la città ne parla condotta da Pietro del Soldà, di cui qui c’è una sintesi in cui Del Soldà fa una domanda sull’energia nucleare prima a Davide Tabarelli e poi a Michele Governatori.

Il 23 gennaio è stata la volta di Radio Vaticana, nella rubrica Il mondo alla radio condotta da Alessandro Guarasci. Si parla del report Ember sulle fonti di energia rinnovabile in Europa con dati aggiornati al 2024. Audio qui.

Il 25 gennaio in diretta a Radio 24 una bella conversazione con la conduttrice Laura Bettini di Si può fare sempre sui trend energetici europei, e non solo. Ascoltabile nel podcast della radio qui dal minuto 23 circa.

Il 26 gennaio di nuovo su Radio Rai, primo canale, con Sonia Filippazzi nella sua L’aria che respiri. L’intervento non era in diretta ed è stato montato in modo non sempre lineare, ed è – grande onore – introdotto e chiuso da frammenti di La genesi di Francesco Guccini. La puntata si può ascoltare (almeno per un po’) qui (dal minuto 9).

martedì 14 gennaio 2025

A piedi dall'aeroporto: il caso Paphos, Cipro (Puntata 654 in onda il 14/1/25)


Dopo averci provato a Fiumicino e Zurigo, ho tentato la fuga a piedi dall'aeroporto Paphos, cipro Occidentale.

È andata bene grazie a un sentiero sul mare realizzato nell'ambito del programma UE di percorsi pedonali di lunga distanza e classificato come E4, che va dalla Spagna a Cipro e su cui ci sono informazioni qui.

Un blogger che ne ha percorso decisamente più chilometri di me ne parla qui.

Ecco il link alla mia puntata audio con il racconto: https://youtu.be/S961Mx38SUo?si=STukmKl4jelDL--R

Il punto di uscita dal perimetro aeroportuale







Un video da una delle spiagge del percorso: https://youtu.be/4YTYMSVv9MM?si=-3ALGm9K9UGdkF_h 

lunedì 6 gennaio 2025

Aumento del prezzo del gas a inizio 2025 (Puntata 653 in onda il 7/1/25)

Veduta di Xishuangbanna, Yunan, Cina
Un aumento dei prezzi del gas successivo alla chiusura del transito di gas russo in Ucraina ha riacceso le discussioni in materia.

Come al solito, le soluzioni invocate tendono a guardare inutilmente lontano (un nucleare che in italia non vedremmo prima di 15 anni e a costi proibitivi) oppure alla sindrome di Stoccolma (legarci ancora di più al gas ed esporci così ai danni anche delle prossime crisi) anziché guardare alle tendenze positive già in atto e da incoraggiare (boom delle rinnovabili anche senza incentivi e delle batterie per la sicurezza di fornitura elettrica). Ringrazio Duccio Facchini, direttore di Altreconomia, per aver ospitato il contributo che segue. Sul sito di Altreconomia e di Derrick Energia link al testo.

Ho sempre trovato inquietante che i due paesi in guerra commerciassero in servizi di transito del gas come niente fosse, e credo che la chiusura del transito del gas russo in Ucraina sia opportuna, come lo sarebbe estendere al gas le sanzioni europee applicate al petrolio russo.

L’effettiva fine del transito è stata confermata relativamente all’ultimo, e quindi non mi stupisce che stia avendo effetto sui prezzi (ma i 50 € al MWh attuali sono ben lontani dai picchi di oltre 300 del 2022). Già in tempi non sospetti con il Think Tank ECCO abbiamo evidenziato il rischio che questo inverno portasse di nuovo a bollette elevate (così come avevamo previsto la repentina discesa dopo i momenti più aspri della crisi, trainata dal calo dei consumi di gas). È comunque vero quel che ha detto il ministro Fratin: con gli stoccaggi quasi pieni, è verosimile che in assenza di altri eventi avversi il prezzo attuale sia già il picco più alto dell’inverno in corso.

Riguardo alle soluzioni per abbassare la bolletta, non credo sia utile stigmatizzare la speculazione dei mercati futures (che sono naturalmente volatili e servono proprio ad anticipare potenziali scarsità o eccedenze future del prodotto contrattualizzato) anche se, certo, è importante vigilare contro abusi. Nemmeno credo che un price cap sarebbe una soluzione efficiente, perché a seconda di come lo si realizza può semplicemente spostare il costo su qualcun altro rispetto al consumatore, o produrre rendite indesiderate, o ancora portare a forme di razionamento più indesiderabili rispetto a un prezzo temporaneamente alto. È quest’ultimo l’effetto descritto da Manzoni nei Promessi Sposi sulla farina: se si impone un prezzo politico del pane che ignora una scarsità oggettiva della materia prima, i forni restano vuoti. Ma anche senza scomodare Manzoni, abbiamo visto come il price cap spagnolo, per esempio, abbia portato i contribuenti iberici a pagare per esportare in Francia elettricità da gas a prezzo politico durante periodi di scarsa disponibilità del nucleare francese. Un effetto non desiderabile per gli spagnoli.

Quel che credo invece serva è mettere urgentemente i consumatori di elettricità nelle condizioni di non pagare il costo del gas se accedono a offerte 100% rinnovabili, cosa che purtroppo non è ancora possibile. Come ECCO ha proposto durante l’ultima audizione ARERA, è urgente che i consumatori elettrici possano approvvigionarsi con contratti che escludano l’uso del gas anche per bilanciare i propri consumi, per esempio con accumuli dedicati alla propria fornitura. In altri termini: se a un cliente va bene continuare a esporsi alle crisi del gas – per esempio perché installa di nuovo una caldaia a gas in fase di ristrutturazione o perché compra elettricità generica – se ne assume le conseguenze. Ma chi vuole proteggersi dalla prossima crisi del gas e ha elettrificato ed efficientato i propri consumi e desidera accedere a contratti di fornitura elettrica da sole rinnovabili è incomprensibile che non sia messo nelle condizioni di emanciparsi completamente dal prezzo del gas a meno di staccarsi dalla rete (che è una soluzione irrazionale perché troppo costosa).

Riguardo al prezzo futuro: tornerà a scendere rispetto all’attuale, ma non ai livelli precedenti la crisi, perché il gas liquefatto che arriva da nave costa di più del gas da tubo. Inoltre, il prezzo continuerà a essere volatile e quindi pericoloso e avrà una componente di costi fissi sempre più alta per ripagare l’inutile infrastruttura che abbiamo costruito malgrado la riduzione strutturale dei consumi.

In termini di fonti, dalla dipendenza dalla Russia siamo passati almeno in parte a quella dagli Stati Uniti, ormai principale esportatore mondiale, che di fatto hanno un ruolo crescente di price maker grazie alle decisioni unilaterali riguardo alla capacità di liquefazione che renderanno (o non renderanno) disponibile nel mar dei Caraibi. Abbiamo visto questo effetto già con la presidenza Biden, e non c’è da aspettarsi miglioramenti con le politiche protezionistiche annunciate da Trump.

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